Categoria: massaggiare
Un dono speciale, il tocco buono.
Vi guardo con lo sguardo leggero che scivola via e non si sofferma più di tanto. Per non rompere la magia, vi guardo appena, così. La magia delle mani che, invece, si soffermano quasi impercettibilmente su ogni millimetro di pelle e proprio lì riversano tutto l’amore e l’emozione che sentite adesso. Perchè la pelle lo sa che ogni millimetro è importante e prezioso. Ed io vi distraggo, con la sequenza e la tecnica, perchè la ragione, impegnata nell’apprendere, lasci libera la pelle di dare e ricevere senza barriere. E nessun massaggio è mai uguale al precedente. Si arricchisce di ogni dettaglio: della luce di quella mattina, del colore dei vestiti, del profumo di lavanda che si sente appena nell’aria, della musica e di ogni diversa sfaccettatura del vostro incredibile amore. Ed è il vostro quello vero. Oltre la tecnica, oltre i dettagli che io ho studiato con cura e che cerco di trasmettervi con passione e delicatezza. Ma è quel tocco speciale tutto vostro che in modo assoluto definisce “il tocco buono”. É tutto il vostro amore che si respira nell’aria, che non vi lascerà più confondere il bene con il male, che sta dando a questi bimbi gli strumenti per distinguere, per proteggersi, per scegliere liberamente la relazione con gli altri. Si sente, si annusa. L’olio ed il suo colore quasi neutro, il suo odore leggero che fanno da cornice ideale…da pretesto, mi viene da dire. E le vostre mani che esprimono, ancora di più dello sguardo, tutta la cura del mondo nell’avvolgere, coccolare, comunicare. Il busto spesso dondola in una danza lieve e segreta, le spalle si stabilizzano per non scaricare il peso, la testa si inclina per scoprire nuove angolazioni, le labbra si aprono in un ninnare giocoso fatto di parole semplici o anche solo di respiro e sorrisi. Nessuno potrà mai ingannare questi bambini. Loro lo sanno quanto amore può essere racchiuso in una carezza. Spesso mi dite “ci hai fatto un regalo meraviglioso, con il massaggio”. Io sorrido, grata, ma non ve lo dico che il regalo più grande l’ho ricevuto. É quell’attimo in cui il mio sguardo può scivolare sul vostro amore come un invitato speciale e discreto. É questo dono quotidiano che fa del mio lavoro l’unico lavoro che vorrei poter fare per sempre. (Veronica)
Ricostruire il tempo – 17 novembre, giornata mondiale del bimbo pretermine
Ci sono momenti nella vita in cui tutto accade d’improvviso e frettolosamente.
E ci prende alla sprovvista e ci lascia con il fiatone.
Quando, poi, è la vita stessa ad accadere d’improvviso e frettolosamente, ecco che inizia un grande cammino di recupero, di comprensione, di ricostruzione.
Oggi è il giorno mondiale del bimbo pretermine.
Vita frettolosa e tenace, relazioni un po’ in salita… ché bisognerebbe fare un passo indietro insieme e capire cos’è successo ed invece si deve scendere subito in trincea, per lottare fianco a fianco, resistere, crescere, sostenersi.
Guerra perlopiù silenziosa, col fiato sospeso.
Perché si tace davanti alla fragilità del corpo e del cuore. Si tace ascoltando le parole dei medici e degli infermieri. Si tace tornando a casa, con il pensiero là, in TIN.
Ma accoccolato nel silenzio c’è il battito del cuore, sempre più stabile. Nascosta nella fragilità c’è la forza di attaccarsi alla vita.
E rispettiamo il silenzio per ascoltare il cuore, rispettiamo la fragilità per leggerne la forza.
I piccoli, piccoli ci comunicano chiaramente cosa sta succedendo. La fatica di tenersi raccolti, la respirazione ancora irregolare, il loro grande cuore: tutto si tranquillizza a contatto con la mamma o con il papà. Grandi mani entrano piano nelle culle termiche, si appoggiano sulla testina del loro bambino, sul sederino o sui piedi. E piano, piano si fanno dolcemente pesanti come a dire: queste grandi mani sono capaci di sostenere ogni tuo tremito.
E poi il petto della mamma, così morbido e profumato. Ecco un ricordo di qualcosa lasciato a metà.
E tutti e due si aggrappano a quel ricordo ma soprattutto a quel presente di condivisione. Di “esserci” profondamente, insieme, lì, in quel momento prezioso e sacro.
Ripartiamo dalla pelle, quel velo così leggero che quasi sembra possa strapparsi con un movimento troppo brusco.
Nutriamo la pelle e con lei tutto il bambino.
Quella pelle che avrebbe avuto bisogno ancora di tempo, di essere accarezzata dal liquido amniotico. Riprendiamo il discorso lasciato a metà, contenendo il nostro prezioso tesoro. Nessuno sa farlo meglio dei genitori, meglio di quella mamma, la cui pelle pure reclama il tempo promesso e mancato.
A volte basta un piccolo sostegno ed ecco che la magia accade: una mamma e un papà offrono le loro mani, le loro braccia, il loro petto, la loro pancia. Le danno come se non fossero più loro, come se fossero il terreno fertile in cui far crescere, ancora, il loro bambino.
Quanta bellezza in questo essere lì, a disposizione. Nonostante le paure, nonostante i timori, nonostante gli incubi. E loro, i piccoli, lo sentono. E tutto diviene calma anche solo per un momento.
Una manina piccola, piccola che stringe il dito della sua mamma o del suo papà. Ed improvvisamente tutto si quieta, il respiro si fa più regolare, i movimenti più lenti, quei genitori si commuovono innamorati. Quel gesto vuol dire forza e fiducia ed è una grande emozione.
Qualcuno dirà col naso all’insù che quello stringere « è solo un riflesso neonatale, che i genitori leggono sempre le semplici cose come se fossero grandi messaggi».
Ma, pensandoci bene e abbandonando la saccenza, quello stringere, proprio proprio nel suo essere riflesso neonatale ci dice tante cose: ci dice che quel bambino ha scritto nel suo codice genetico di “portato” che quando riesce a stringere i suoi genitori è al sicuro.
Perciò si calma.
Perciò, come sempre, hanno ragione i genitori ad emozionarsi e ad accompagnare il gesto con le parole più belle che si possono dire ad un figlio : « siamo qui con te».
Questo meraviglioso scambio che avviene tra i genitori ed il loro piccolo è la vera forza.
E su questa forza si costruisce piano, piano – questa volta senza fretta nè precipitosità – la loro relazione d’amore.
A casa, dopo tanti momenti difficili, le piccole cose semplici possono aiutare davvero questa nuova famiglia.
Hanno bisogno di tempo, loro tre, mamma, papà e bimbo (e magari dei fratellini a sommarsi).
Un telo lungo, una fascia portabebè, morbida e sicura come il tocco della mamma. A recuperare quei confini chiari e vicini, a combattere quella forza di gravità così ostile da far distendere quasi a forza piccole braccia e gambe. A ritrovare la luce soffusa, il battito del cuore, il rumore del respiro, il ritmo stimolante dei muscoli che si muovono delicati nel camminare. Tutto com’era dentro la pancia. Una fascia sa inventare tempo nuovo, un tempo enorme che si avvolge intorno alle spalle del piccolo, intorno alle spalle dei suoi genitori abbracciandone i muscoli e le emozioni, invitando a rilassarsi a sentirsi di nuovo tutt’uno, a lasciar finalmente andare tutte le emozioni.
Un momento per massaggiare, magari facendo più grande un’esperienza già iniziata in TIN, per conoscere e far riconoscere quel corpo tanto amato, per dire con le mani che siamo lì, che amiamo quella pelle, quell’odore, quei muscoli che si stanno ogni giorno fortificando. Un momento per lasciare tutto fuori ed occuparsi solo di prendersi cura e di comunicare con l’unico linguaggio che i neonati conoscono: il linguaggio della pelle e del contatto. Giorno dopo giorno le mani si fanno più sicure, la sintonia sempre più perfetta.
Facciamoci in quattro, noi tutti, familiari, operatori, consulenti, amici e vicini di casa. Facciamoci in quattro per allargare il tempo.
Per lasciare spazio alla pelle di ricostruire il legame, di recuperare il tempo mancato, di rallentare il ritmo.
Inventiamoci modi di lasciare a quella mamma il tempo di sentirsi mamma a pieno titolo, forte e competente, colei che calma e contiene, colei che nutre ed osserva.
Inventiamoci modi di lasciare a quel papà il tempo di sentirsi padre, colui che difende e protegge, colui che ha grandi e forti mani per accarezzare ed abbracciare la sua compagna ed il suo bambino.
Inventiamoci cuochi, aiutanti, camerieri.
Inventiamoci cuscini morbidi in cui affondare e sentirsi coccolati, inventiamoci aperitivi analcolici casalinghi per non far sentire i genitori soli. Inventiamoci, al momento opportuno, passeggiate, telefonate, un mazzo di fiori e dei palloncini.
Perchè così il tempo diviene amico e ci accompagna e forse, a volte, si moltiplica e prende anche lo spazio del tempo mancato.
(Veronica)
Per questo post è doveroso ringraziare:
Adele Ricci, amica e collega meravigliosa che ha realizzato questo stupendo disegno.
Isa Blanchi, fisioterapista ed insegnante AIMI, per le preziose informazioni e per la delicatezza del suo approccio.
Alessia Rossetti, amica e collega, per aver condiviso le sue esperienze preziose di sostegno e di incontro.
Il mio percorso di babywearing per avermi svelato una meravigliosa opportunità di relazione.
Tutti i bimbi pretermine ed ex-pretermine che ho conosciuto ed i loro genitori per avermi insegnato cosa siano le difficoltà e la forza.

“Per crescere un bambino, ci vuole un’intera tribù” (detto africano)
Eccoci alle feste di Natale. Un calendario fittissimo di cenoni, visite, pranzi e chi più ne ha più ne metta.
Immaginiamoci Anna, nata da due settimane, ed i suoi genitori.
Nonostante la stanchezza dei primi periodi, le difficoltà ed i momenti critici sono tutti e tre molto felici. Anna è allattata al seno a richiesta. Una di quelle bimbe che stanno acquisendo competenza giorno dopo giorno, con tante poppate una dietro l’altra perchè si stancano un pochino prima di aver davvero riempito il pancino e perchè vicino a tutto quel morbido e a quell’odore così familiare ci si sta proprio bene.
La sua mamma la porta in una fascia che fa un bell’incrocio sul suo corpicino. A volte anche il suo papà se la “veste” in quel modo e lei se ne sta tranquilla. Ma davvero non le piace star sola (a chi piace?) e nemmeno è pronta per conoscere troppa gente e mamma e papà l’assecondano nei suoi bisogni, per loro molto chiari. Sembra tutto perfettamente in armonia.
Ma ecco che inizia il coro dei consigli e dei giudizi non richiesti. Paventano di tutto: dall’obesità al vizio, alla maggiore età ancora attaccata ai genitori.
Mamma e papà si stanno un po’ irritando e sentono davvero il bisogno di pensare ad altro, di continuare nella loro armonia.
Ma ad un certo punto accade qualcosa di bello: le nonne di Anna, sorridendo, allontanano parenti ed amici inopportuni. Con la vecchia zia sottobraccio le sentiamo parlare di continuum, di bisogni, di comportamenti naturali dei mammiferi, di tenerezza, di contatto.
I nonni di Anna stringono la mano al suo papà, congratulandosi dell’abbraccio in cui riesce a tenere calma la figlia e anche di quella fascia di cotone, all’apparenza così poco virile, che si è rivelata essere uno strumento straordinario.
La piccola zia di Anna chiede alla sua mamma di insegnarle a portare la sua bambola prediletta.
Una piccola tribù, unita.
Questa scena forse è una perfetta utopia per la maggior parte delle mamme che decidono di tirar su i propri figli in “contatto”.
Ma forse c’è la speranza che prima o poi quest’utopia diventi quotidiana realtà.
Prepariamoci.
Quando apprendiamo di aspettare un bambino, la Natura ci invita a concentrarci su noi stesse, sul nostro nucleo fondamentale e questo è bellissimo.
Ma se riusciamo ad investire un po’ del nostro tempo nel costruire la nostra tribù, poi sarà tutto più facile.
Ascoltarsi, informarsi, confrontarsi, scegliere grossomodo la linea che più si confa a noi stessi. Primo passo.
Non tutto andrà come previsto o immaginato ma se si ha un’idea anche non molto definita di che tipo di genitori vogliamo essere tutto sarà più facile.
Poi, scegliere la nostra tribù.
Avremo bisogno di sostegno, inutile pensare che non sarà così.
La nostra tribù è variopinta: ci saranno dei familiari, degli amici, degli operatori.
Di solito lo scoglio più grande sono i nonni. Questi nonni che remano contro, che perdono il senno per l’amore che li travolge, che guardano con diffidenza ai figli divenuti genitori, che “si permettono” azioni davvero deplorevoli in fatto di educazione e puericultura.
Nei social network e nei blogs si legge sempre più frequentemente la rabbia di mamme esauste di tanta mancanza di comprensione. Rabbia che spesso sfocia in espressioni molto forti, a volte violente.
Questo fa male. Fa male ai rapporti, alla serenità, ai bambini, agli adulti.
Cosa succede in una nonna che invoca il latte artificiale e la carrozzina, in un nonno che rende il ciuccio più allettante con una passata di zucchero o di miele?
Perchè non ascoltano, non rispettano, non sostengono?
Perchè non capiscono. Figli e genitori di un’impostazione forzatamente a basso contatto, han cresciuto figli ascoltando i consigli e le indicazioni degli “esperti” convinti di fare il meglio, convinti di non essere in grado da soli.
Ed ora?
Ora vedono questi genitori, questi loro figli che si curano le ferite cambiando rotta con le nuove generazioni.
Perchè ogni volta che un bimbo piange, piange anche il bimbo che è nascosto dentro alla mamma o al papà. Perchè ogni volta che lo consoliamo e ce ne prendiamo cura, accudiamo anche quel bambino nascosto nel fondo del nostro cuore.
Immagino la sensazione di destabilizzazione, forse anche i sensi di colpa, forse infine una punta di invidia e di gelosia, il rammarico per qualcosa di irrimediabilmente perduto.
Un bambino ancora più antico, ancora più nascosto, che adesso si fa sentire all’improvviso, in un pianto disperato a cui non si può resistere.
Azzittire, acquietare ed allo stesso tempo prendere possesso, recuperare. Dimostrare che “ci so fare” che “a modo mio non piange” che “vedi che pure tu come me non hai latte abbastanza”: in poche parole che il proprio operato di genitori non deve essere messo in crisi.
Un tormento inconscio spesso negato e che una neomamma non ha alcuna condizione di capire e di accogliere. Per la stanchezza, per gli ormoni, per la concentrazione in occuparsi del suo bimbo e della sua nuova se stessa. Per un milione di motivi.
Ma finchè i piccoli sono nella pancia si può fare. Si può scavare, dissotterrare, percorrere i sentieri più scuri ed impervi fino ad arrivare alla comprensione, fino a curare la ferita, a spezzare un anello prima, la catena di dolore che ci ha portati fin qui.
Si può affermare e comunicare che sappiamo che i nostri genitori hanno fatto del loro meglio, che li amiamo così e che ci sentiamo amati, che abbiamo bisogno adesso di sostegno per crescere e per cambiare rotta.
Si può informarli che esiste l’altra strada, quella che stiamo scegliendo, e che non sono invenzioni da figli dei fiori ma constatazioni scientifiche, biologiche e antropologiche. “Usiamo” tutti gli esperti del settore: ostetriche, doule, pediatri illuminati, consulenti di allattamento, consulenti del portare, insegnanti di massaggio infantile, e chiunque possa rappresentare l’autorevolezza della professionalità, per mostrare che la nostra intenzione non è mettere in crisi una relazione ma solamente migliorarsi.
Costruire passo, passo, storia per storia, i legami familiari veri.
Sono percorsi estremamente impegnativi e faticosi, costellati di ostacoli, discussioni, momenti duri e pesanti. Ma sono percorsi che ,se si ha la forza di finire, portano al risultato più atteso: la tribù.
Ed è così necessario costruire la propria tribù, avere un nucleo di persone a proteggerci, sostenerci, accompagnarci. Avere qualcuno di fiducia con cui condividere l’arrivo e la crescita del nostro bambino.
Perchè crescere un bambino “a contatto” prevede l’accudimento condiviso e non a caso.
Chi ci può aiutare:
Per imparare a comunicare in modo efficace e rispettoso: Ass. Comunicazione Empatica
Per scavare a fondo nella nostra storia: Il lavoro emotivo e corporeo di Willi Maurer e qualcosa sulle costellazioni familiari
Esperti sui benefici del portare i bimbi in fascia: Scuola del Portare
Esperti in allattamento e sui suoi benefici : IBCLC e La Leche Ligue
Pediatri: UPPA
Psicologi: Alessandra Bortolotti
Ostetriche: ostetriche libere professioniste (anche nel settore pubblico si trovano splendide professioniste ma purtroppo non esiste un link di riferimento)
Doule: ci sono diverse associazioni sul territorio nazionale. Non segnalo nessuna in particolare per mancanza di conoscenza diretta.
Libri sul tema: serie Il Bambino Naturale del Leone Verde
Come scegliere un olio da massaggio
Come scegliere un olio da massaggio?
Questa domanda viene posta molto di frequente dalle donne in attesa che vogliono prendersi cura di loro stesse e dai neogenitori che hanno voglia di fare un massaggino alla loro prole, magari prima o dopo il bagnetto, o come momento di intimità al risveglio, o prima di andare a letto.
Ci sono alcune regole che ci permettono di scegliere in base ai nostri gusti ed esigenze.
Vi propongo il mio criterio di scelta, basato sulla mia esperienza, premesso che esistono olii da massaggio ottimi e “già fatti”.
La prima regola è: olii vegetali spremuti a freddo (e biologici, per me, ma regolatevi in base al vostro criterio!).
La pella assorbe le sostanze contenute negli olii, perciò è importante conoscere la quaità di ciò che andiamo ad applicarvi, inoltre i bambini si leccano ed esplorano con la lingua. Conviene, quindi, che gli proponiamo di assaggiare prodotti commestibili – non pesticidi, nè la paraffina contenuta in molti olii da massaggio industriali, che, anche se può essere apprezzata da alcuni massaggiatori, non è certo da considerarsi alimentare.
La seconda regola è: niente profumi. Intanto perchè coprono gli odori della pelle nostra e del bambino, creando disorientamento, in secondo luogo perchè gli olii essenziali e i profumi sono veri e propri farmaci, che entrano nella pelle e vengono metabolizzati, ed hanno un effetto, che forse non vogliamo, o che potrebbe essere eccessivo per un bimbo piccolo o per una donna in attesa. Se desiderate attingere alle virtù aromatiche delle piante, utilizzate l’olio essenziale diffondendolo nell’aria, piuttosto che tramite il contatto diretto con la pelle.
La terza regola è: occhio alle intolleranze.
A causa del suo odore delicato e della consistenza piacevole viene spesso consigliato l’olio di mandorle dolci o l’olio di germe di grano, ma entrambi contengono allergeni! Accertiamoci che non ci diano problemi, in caso contrario ci sono molte alternative: l’olio di argan, l’olio di jojoba, il burro di karitè, ovviamente se usati in purezza, ossia così che siano privi di aggiunte misteriose e possano essere tranquilamente ingeriti ( e aggiungerei biologici, se lo desiderate, e sempre spremuti a freddo, in quanto il calore altera le proprietà organolettiche dell’olio).
Il contro di questi prodotti è che potrebbero avere un costo elevato.
Conviene dunque, seguendo la tradizione dell’ayurveda, ma anche della nostra erboristeria tradizionale, rivolgersi a prodotti alimentari, di cui conosciamo la provenienza: possiamo scegliere tra l’olio di crusca di riso, l’olio di sesamo, l’olio di semi di vinacciolo (questi due possono anche essere miscelati), l’olio di girasole, l’olio di senape (magari sempre diluito con olio di sesamo), l’olio di cocco, senza dimenticare ciò che in Italia possiamo reperire quasi ovunque a un costo ragionevole: un ottimo extravergine di oliva, magari dal gusto delicato.
La quarta regola è: se è naturale spesso irrancidisce facilmente! compra confezioni piccole o conserva in frigo.
Qui le caratteristiche specifiche di ognuno di questi prodotti, che potete controllare online in uno dei tanti erbari, o su un buon manuale di erboristeria, secondo una mia breve sintesi:
– olio di mandorle dolci:
delicato, emolliente, contiene vitamina A e vitamine del gruppo B
– olio di germe di grano:
nutriente, adatto in caso di pelle secca e delicata, contiene vitamina E
– olio di argan:
ricco di vitamina E, idratante e aninfiammatorio
– olio di jojoba:
elasticizzante, leggero, di rapido e facile assorbimento
– burro di karitè:
lenitivo e antibatterico, può essere usato sulle mucose, così come sulla pelle lesionata, nutriente, antinfiammatorio, protegge naturalmente dai raggi solari
– olio di crusca di riso:
emolliente, antinfiammatorio, protegge naturalmente dai raggi solari
– olio di sesamo:
idratante, riscaldante, adatto a ogni tipo di pelle, protegge dai raggi del sole
– olio di vinacciolo:
antiossidante, ricco di polifenoli, contiene vitamina E
– olio di girasole:
lenitivo, ricco di vitamina E, delicato
– olio di senape:
riscaldante, tonificante, aiuta la circolazione sanguigna, ottimo d’inverno
– olio di cocco:
lenitivo ed emolliente, ottimo d’estate perchè rinfrescante, profumato
– olio extravergine di oliva:
contiene vitamine A ed E, cicatrizzante, elasticizzante, rigenerante, previene ed aiuta in caso di dermatiti
Questi olii possono anche essere miscelati tra loro, per farci ottenere un prodotto piacevole per odore e consistenza (il che è soggettivo!), più o meno consono alla stagione e che, contemporaneamente, non generi reazioni sulla pelle, dunque disagio.
massaggiate, massaggiate, massaggiate!
* postilla: cosa NON è un olio da massaggio.
Quando parliamo di olio da massaggio intendiamo una base neutra, come ad esempio l’olio di jojoba o l’olio di cocco, che, pur avendo caratteristiche chimiche e organolettiche specifiche, non rientra nella categoria dei fitoterapici, ma piuttosto dei cosmetici o degli alimentari, e come tale ha certamente un effetto, ma non paragonabile a un effetto farmacologico. Può contenere conservanti e coloranti, può essere aromatizzato, può essere o meno naturale. La nostra scelta sarà dovuta al gusto personale e all’esperienza soggettiva.
esistono, poi, oli che possono essere utilizzati per il massaggio in circostanze specifiche, ma che contengono dei principi attivi: naturalmente possiamo utilizzarli per massaggi in casi specifici, ma non sono semplicemente oli da massaggio. solitamente, nel caso si tratti di prodotti naturali, ci possiamo aiutare con le preposizioni: l’olio di oliva è ottenuto dalla spremitura meccanica delle olive, l’olio all‘iperico è un olio solitamente di jojoba o di oliva, che è stato tramutato in un oleolito, ossia in cui è stato lasciata in infusione una pianta, l’iperico, per estrarne il principio attivo: questo principio attivo fa rientrare l’olio all’iperico, all’arnica etc. etc. in una categoria differente, che è quella dei fitoterapici. perciò, non è un olio da massaggio, anche se naturalmente un massaggio con l’olio all’iperico può essere utile in certe situazioni: ma non in altre, anzi. questi prodotti sono normati dalla legge italiana, che punisce la loro prescrizione se fatta da persone non aventi titolo per farla. la pelle è l’organo più grande del nostro corpo, beve e respira, e pensare che una sostanza venga assimilata meno, perchè a contatto ‘solo’ con la pelle, significa dare troppo poca attenzione a questa parte di noi, così importante. durante la gravidanza, l’allattamento e nei primi anni di vita dei nostri bambini, dobbiamo avere accortezze particolari, perchè si tratta di momenti particolari della nostra vita, in cui abbiamo esigenze particolari, che vanno amorevolmente rispettate. chiediamo consiglio a qualcuno che sia competente, se siamo nel dubbio su un prodotto, prima di utilizzarlo. per quanto un prodotto naturale possa essere meglio assorbito e tollerato dall’organismo rispetto ad uno di sintesi, non dimenticate che è insito nel significato della parola farmaco il fatto di poter essere qualcosa che ci aiuta o che ci danneggia, a seconda dei casi, e che oli essenziali e estratti sono, a tutti gli effetti, farmaci.
contatti: lamelamara@gmail.com
Benedire i figli
Questo articolo mi sta frullando in testa da un bel po’ di tempo. Ma è un articolo confusionario, che mette tanta carne al fuoco e davvero non son sicura di riuscire a trasmettere quel vortice di associazioni mentali che mi si scatena ogni volta che penso alla benedizione.
Da tempo immemore abbiamo rilegato la benedizione all’ambito religioso…o chi sa non gli sia sempre appartenuta! Certo è che vi abbiamo piano, piano completamente rinunciato lasciando l’atto di benedire alle guide spirituali.
Da quando ho scelto il Brasile come mia seconda patria, ho incontrato la benedizione nelle case: i bambini la chiedono agli adulti di casa al mattino appena svegli e la sera prima di dormire. La chiedono porgendo la mano destra da baciare e baciando a loro volta la destra di chi li benedice. Gli adulti interrompono le proprie occupazioni e si concentrano sul bambino, lo guardano negli occhi, e gli augurano tutto il bene, in nome di Dio ma anche senza necessariamente doverlo tirare in ballo.
L’ho sempre trovato un momento di estrema dolcezza e comunicatività.
Ma non sarebbe sufficiente, forse, per scrivere un articolo. E qui entrano in gioco le associazioni mentali.
Nel mio quotidiano di mamma mi rendo conto ogni giorno di quanti messaggi negativi passiamo ai nostri bambini.
“Sei ancora troppo piccolo, non ce la fai”
“Attento, ti fai male, non sai usare questo strumento”
“Suvvia ma non vedi che sei piccolo, cosa pretendi di fare?”
“Aspetta, ti aiuto io sennò non ce la fai”
E tanti altri.
Sono frasi spontanee, dettate dall’amore, dall’attenzione e dall’istinto di protezione.
Ma inevitabilmente sono frasi che tendono a calare una piccola coltre di sfiducia nelle capacità dei piccoli.
L’ideale sarebbe fidarci di loro e guardarli da lontano, fare i “genitori pigri” insomma. Ma non sempre è facile o possibile. Non tutti siamo uguali e veniamo da storie e percorsi diversi. E’ necessario rispettarsi.
Potremmo, forse, lavorare sulla comunicazione, sul nostro modo di richiamare o di intervenire ma, di nuovo, non sempre è facile o possibile, non sempre è naturale, non sempre ci sentiremmo a nostro agio.
Io non sono una psicologa né un’esperta in comunicazione, ma adoro i momenti un po’ magici che ci ricaricano le energie, che ci mettono in contatto. Ed in mezzo a tanti messaggi negativi “involontari”, penso che potremmo riscoprire, illuminandola di nuova luce, l’antica consuetudine di benedire. Un messaggio totalmente positivo, totalmente consapevole, tenero e serio come lo sono i momenti di vero contatto.
Un momento, ad inizio o fine giornata, in cui guardiamo i nostri figli negli occhi e diciamo loro tutto il bene e soltanto il bene. Un momento di contatto di pelle e anima.
Potremmo, così, forse, strappare la benedizione al contesto religioso e restituirla alla sua etimologia. Potremmo benedire i bambini, con questa o con altre parole. In nome di Dio o nostro o dell’amore o della fiducia, o di quello che di più bello sentiamo nel cuore.
Potrebbe essere un momento sacro, un rituale prezioso per dir loro: ti amo e credo in te, nelle tue capacità, anche se a volte sono pauroso, anche se a volte sono apprensivo, anche se a volte sono troppo ingombrante. Ti benedico, ti auguro tutto il bene che meriti, sono certo che tu sia un essere umano meraviglioso e che lo sarai sempre.
Maternità e sindrome del derby
Non so se sia lo stesso anche altrove ma qui in Italia sembra che tutto sia condizionato da una sorta di inarrestabile sindrome del derby. O con me, o contro di me. Bianco o nero.
Sono ormai 4 anni che frequento mamme in consultori, corsi pre e post parto, ludoteche, gruppi sui social network e via dicendo.
Sembra che qualsiasi esperienza di maternità debba essere incanalata, rapportabile ad una sola scelta di maternage, ligia e perfetta secondo i canoni della strada prescelta.
O allatti per anni o sei contraria all’allattamento.
O ti tieni i figli nel letto a scapito pure del marito o pratichi Estevill.
O hai speso 1400€ in un trio all’avanguardia o altrettanti in fasce e marsupi ergonomici.
O sei “ad alto contatto” o sei “a basso contatto”.
E sembra così importante appartenere ad una squadra che per farlo le mamme si informano, si testano nel percorso, chiedono conferme e pareri, non si risparmiano attività di propaganda. Che siano dell’uno o dell’altro team. Per essere riconosciute e per potersi riconoscere in una delle due squadre, tante mamme e tante famiglie compiono scelte “dettate” da regole e opinioni altrui che non appartengono loro.
“Ma sarò abbastanza accogliente?”
“Ma sarò abbastanza severa?”
Ed è forse questa l’origine dell’infelicità così diffusa.
Qualsiasi scelta che facciamo per noi ed i nostri figli dovrebbe assomigliarci. Dovrebbe rispecchiare le nostre caratteristiche, dovrebbe rispettare i nostri bisogni fondamentali. In una parola, dovrebbe essere naturale. E non necessariamente nel senso più mammifero del termine: ogni mamma dovrebbe saper leggere, sì, i bisogni primari del proprio figlio, ma dovrebbe anche comportarsi secondo ciò che si sente di poter/dover fare insieme al proprio bambino.
Ed in questo dovrebbe essere comunque supportata. Perché qualsiasi mamma che farà una scelta non consapevole e non adeguata a se stessa come essere umano, e come donna in particolare, sarà una mamma affaticata e una donna infelice e manderà costantemente messaggi contrastanti ai propri figli.
Il primo e più importante contatto che bisogna curare è quello con noi stesse. Approfittare della maternità per chiarire definitivamente a noi stesse come siamo, chi siamo, ciò che vogliamo o possiamo fare.
Assumiamo un atteggiamento schietto e sincero, proviamo a sostituire il concetto di “sacrificio” con quello di “condivisione”. Mettiamo dei punti fermi laddove stanno i nostri valori irrinunciabili e degli obiettivi laddove sentiamo di dover crescere, migliorare, cambiare.
Ogni bambino è felice della sua mamma nel momento in cui percepisce che lei è davvero così come gli si presenta, che i suoi comportamenti sono armoniosi con la sua personalità, che lei lo ama e fa di tutto quanto in suo potere per trasmettergli questo amore.
Purocontatto vuole essere il luogo in cui si accolgono le mamme. In cui si trovano informazioni ma allo stesso tempo si da valore alle differenze e – soprattutto – alla consapevolezza delle proprie scelte.
Questo breve appello alla semplicità è scaturito grazie a due amiche. Sono due persone molto diverse tra loro e molto diverse da me. Ma abbiamo tutte e tre delle cose in comune.
La cosa più bella che, credo, condividiamo, è l’essere esattamente come siamo in ogni ruolo. Incluso quello di mamme.
Una di loro, quando le proposi di far parte dello staff di purocontatto, mi disse “Ma io non son sicura di essere una mamma da purocontatto: ho portato ma ho usato anche tanto il passeggino, ho allattato ma mi son pure stufata, e non ci penso nemmeno a dormire tutti insieme”.
In verità non esiste la mamma da purocontatto. O meglio, esiste: è ogni mamma che è o che vuole essere in contatto con se stessa prima di tutto. Ogni mamma che si rispetta, che rispetta i suoi limiti e valorizza i suoi pregi. Che rispetta i propri tempi e cerca il punto d’incontro con quelli del suo bambino. Quella mia amica è una delle mamme più “purocontatto” che io conosca.
L’altra amica mi chiama affettuosamente “l’extracomunitaria” quando mi vede con le mie fasce ed i miei figli attaccati al seno. Una volta mi disse “Sono proprio fortunati i tuoi bimbi ad avere una mamma così mamma come te”. Ed invece il suo meraviglioso, geniale, amatissimo bambino se ne uscì al tempo con un “Mamma sai, prima di nascere c’erano un sacco di mamme in fila davanti a me. Ed io ho scelto te”.
Un bambino fortunato, né più né meno dei miei.
Quello che siamo viene dalla storia della nostra società, dalla storia del nostro Paese, delle nostre città, della nostra famiglia. Dalla nostra storia.
Sia quel che sia, il “naturale”, il “fisiologico”, devono per forza confrontarsi con quello che noi siamo: è importante avere le giuste informazioni ed il giusto sostegno per poter lavorare su noi stesse. Chiarire innanzitutto come e dove possono arrivare le nostre forze, la nostra volontà, il nostro piacere. E poi, forse, riflettere su cosa abbiamo perso, cosa possiamo recuperare, cosa ci ha portato fin qui.
Roma, purtroppo, non è stata fatta in un giorno. Né in un giorno può essere cancellata.
Stiamo in contatto. Confrontiamoci a cuore aperto e senza sindrome del derby. C’è possibilità di crescere per tutte noi.
La strada tortuosa
Chi non ha mai visto un bambino sorridere felice davanti ad un regalo? La maglietta piena di brillantini, il camion pieno di luci, il bambolotto che fa cacca-pipì-chiamamamma e via dicendo, o anche solo un colorato lecca-lecca o del cioccolato o il gelato dopo un pranzo qualsiasi o…
I bambini adorano i regali. Anzi, se me lo consentite, le persone adorano i regali. Ed è facile, facilissimo, ricordarsi con benevolenza di chi ci fa un regalo o di chi ci abitua a riceverne molti.
Grandi o piccoli che siano, basta che siano qualcosa di speciale.
Per chi vuole attirare l’attenzione di un bambino o guadagnarsi (comprarsi?) un posto speciale nel suo cuore, la strada più facile è quella dei regali.
Il vero problema è che spesso ci si presenta come l’unica strada possibile: l’abitudine alle autostrade ci fa scordare le strade statali che si inerpicano sui monti, questo è normale. Comode e veloci sono da sempre preferite fino a sembrare le uniche opzioni. E non importa se alla fine dobbiamo pagare il pedaggio.
Così nella relazione con i piccoli.
Usciti a stento (o forse ancora nemmeno del tutto) dal periodo del distacco forzato, della non-relazione, dell’accudimento come risposta consumistica al bisogno, ci ritroviamo senza opzioni. Ci hanno abituato a “compensare” la distanza ammucchiando oggetti.
L’autostrada.
Solo che, in questo caso, il pedaggio non è solo il costo degli oggetti ma la perdita dell’opportunità di creare una relazione forte.
La strada tortuosa, di montagna, sconnessa e interminabile.
Perché la relazione è questo: è fatica, impegno e sudore. Mettersi in gioco, rivedere i nostri schemi, le nostre abitudini, le nostre categorie di giudizio è un procedimento che richiede molta energia, molta presenza.
Guadagnare (stavolta sì!) un posto speciale nel cuore di un bambino cercando i punti che ci uniscono a lui, accogliendo i suoi bisogni mentre insieme a lui li scopriamo, andare oltre la comunicazione verbale per cercarne una più efficace, rischiando tutto per affermare anche i propri irrinunciabili bisogni ma considerandoli “alla pari” con i suoi, è un lavoro lento, quotidiano, minuzioso, appassionato, stancante, costante, sfinente.
Ma il paesaggio traboccante d’amore e di comprensione che questa strada tortuosa ci offre non ha paragoni. Ed il pedaggio è solo il nostro impegno.
Questo articolo, sia ben chiaro, non ha l’intento di demonizzare i doni, anzi. Tutti amano i regali, come ho scritto. Questo articolo vuole essere più una specie di “suggerimento d’uso”. Proviamo a guardare gli oggetti oltre i loro colori. Proviamo a vederci il fine di cui noi stessi li stiamo caricando. E se è un bisogno d’amore, mettiamoli da parte per tirarli fuori quando, raggiunto il nostro obiettivo attraverso la relazione, potremo usarli come strumenti di celebrazione.
(grazie, Giorgia Cozza per il tuo “Bebé a Costo Zero“)
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Un corso di massaggio infantile…
Un corso di massaggio…chissà perchè una mamma o un papà dovrebbero pensare di fare un corso di massaggio per coccolare i loro piccoli: non fa parte dell’istinto?
Certo che sì.
Fa parte dell’istinto genitoriale abbracciare, accarezzare, coccolare, cullare, baciare, annusare i propri piccoli. Fa parte dell’istinto ascoltare ogni sussulto dei loro piccoli corpi e armonicamente poggiare le dita proprio lì dove daranno sollievo.
E quindi?
E quindi è un discorso lungo, se vogliamo. Se vogliamo, un argomento complicato e forse anche un po’ doloroso. È la storia di come noi, abitanti del mondo “civilizzato” abbiamo perso l’abitudine al tocco, l’abitudine all’osservazione e all’ascolto, l’abitudine al contatto.
Dimentichiamoci (figurativamente, certo!) dei nostri piccoli e pensiamo a noi.
Quanti di noi sono abituati a scambiarsi effusioni che non siano quelle dei momenti intimi con i nostri partners? Quanti di noi sono abituati anche soltanto ad ascoltare il proprio corpo, i suoi messaggi, a capire il linguaggio segreto della pelle, le confessioni dei muscoli, le confidenze “profonde” dei nostri organi interni?
Siamo cresciuti in uno stato di asetticità sempre più ingombrante ed ermetico. Le distanze con i nostri simili sono andate sempre più aumentando grazie a carrozzine, girelli, biberon, miniappartamenti, condomini senza cortili, piazze senza angoli tranquilli, città grandi e rumorose, cibi precotti e auto con impianti perfetti di aria condizionata e finestrini chiusi.
Ed improvvisamente ecco qualcosa di atteso, anzi qualcuno. Un piccino picciò che fin da dentro la pancia della mamma inizia a scalfire le mura, inizia a risvegliare i sensi e ci comunica che soltanto noi possiamo capire davvero i suoi messaggi non parlati.
Dentro di noi, mamma e papà, ci sono gli strumenti, le competenze per capire quel piccino picciò, per mettere le dita esattamente dove daranno sollievo, per annusarlo e bearsi di quell’odore speciale che resterà per sempre nella nostra memoria.
C’è tutto. Ogni mamma, ogni papà ha tutto dentro di sé.
Il massaggio infantile è l’occasione perfetta per tirar via polvere e ragnatele da queste competenze ataviche e meravigliosamente potenti.
Una sequenza che ha un senso corporeo ed energetico e che con il suo ritmo ed i suoi massaggi, con le sue evocazioni figurative, i suoi gesti armonici ci comunica la pace necessaria a scoprire che sappiamo toccare davvero, sappiamo abbracciare, sappiamo dare sollievo, sappiamo amare il nostro bambino. E che lo sappiamo fare da sempre, da quando abbiamo iniziato a pensare al suo arrivo.
Non c’è niente di meglio di lasciare solo un momento da parte la responsabilità di “trovare”, di “inventarsi” un modo efficace di comunicazione per scoprire che abbiamo dentro di noi il più perfetto sistema di intesa con il nostro piccolo.
Quindi ci affidiamo alla sequenza, che è un ottimo inizio. È una sequenza studiata per dare sollievo, per stimolare, per rilassare. Ma la cosa più importante che questa sequenza ci regala è il senso del rispetto, della competenza del nostro bambino e nostra e soprattutto ci regala IL RITMO. È il cuore che batte e che manda via con la sua musica calma e costante ogni ansia o pretesa. È il cuore che batte in armonia con il respiro e le mani che scivolano sulla pelle delicata del nostro bambino, a quel ritmo che lui conosce meglio perchè fin da dentro la pancia ne ha segnato le ore ed i minuti.
Un corso di massaggio infantile A.I.M.I. è un’occasione speciale per ritrovare il tempo giusto, l’armonia della danza e della comunicazione e quel tesoro di competenze che giace addormentato tra lo stomaco ed il cuore di ogni mamma e di ogni papà.
Per sapere di più sul massaggio infantile date un’occhiata al sito www.aimionline.it
Dall’accudimento alla relazione
Quando si parla di neonati, ci viene immediatamente in testa l’accudimento: il cuore e l’immaginazione si riempiono di tenerezza e si materializzano in noi immagini emozionanti di grandi mani che si occupano di piccoli miracoli della Natura e li nutrono, li spogliano, li puliscono, li vestono, li ninnano, li trasportano da un luogo ad un altro e così via.
Sicuramente i neonati hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro e li aiuti a svolgere al meglio le loro funzioni vitali almeno per un buon periodo di tempo: tra la nascita e l’acquisizione dell’indipendenza (o semi – indipendenza) psico-motoria. Ma quello che il concetto di accudimento trascura o porta a dimenticare è che i neonati hanno numerose competenze fondamentali all’assolvimento di quelle funzioni di cui tendiamo a ritenere gli adulti gli unici garanti.
La capacità di suzione, i riflessi motori, i codici comunicativi, i piccoli gesti, la grande sensibilità tattile e olfattiva. Senza queste competenze qualsiasi affanno per “accudire” i neonati sarebbe vano. E quindi perchè non provare a cambiare punto di vista? Perchè non provare a vederci non dispensatori di vita e di quotidianità ma compagni di viaggio? Perchè non provare a trovare una via comunicativa che dia origine ad una relazione profonda e collaborativa? Strumenti di questo percorso di “rilvoluzione copernicana” del maternage possono essere molti. L’allattamento al seno a richiesta, il portare i bimbi addosso, il massaggio (e le coccole in generale). Quando allattiamo un bambino a richiesta impariamo a leggere i suoi segnali poiché chi allatta sa che attaccare correttamente un neonato piangente è faticoso e difficile e che il pianto è solo l’estremo tentativo di comunicazione nel caso che i codici precedenti siano passati inosservati. La piccola lingua lambisce le labbra, una manina arriva alla bocca, l’altra perlustra lo spazio intorno alla ricerca del seno di mamma. La mamma si stringe il piccolo al seno e glielo offre. Quello che è successo è che il codice comunicativo si è dimostrato efficace: il neonato sa, adesso, di avere una risorsa che funziona e di aver stabilito un contatto con la mamma. E sa che la sua mamma rispetta e si fida dei suoi ritmi, dei suoi bisogni. Non è più un adulto che determina il nutrimento di un neonato ma una coppia di persone che si ama alla follia che comunica le proprie necessità, le proprie risorse, la propria disponibilità ed apertura ad accogliere.
Quando portiamo un bambino addosso, che sia in braccio o con le fasce, non lo trasportiamo semplicemente da un luogo ad un altro. Gli comunichiamo che abbiamo coscienza che le sue mani sono forti, che sappiamo che le dita sanno stringersi, che le caviglie sanno circondare il genitore, che il suo cervello è in grado di leggere i movimenti del nostro corpo e di apprenderli. Gli facciamo capire che non è solo, che il suo bisogno di affrontare la realtà ancora attraverso un filtro è comprensibile ed accettabile. Il messaggio che gli diamo è che si trova in un luogo sicuro dove le sue competenze gli possono permettere di sviluppare la sua idea di realtà ed il miglior modo per approcciarla.
Il massaggio al bambino – se la lingua me lo permettesse direi “il massaggio con il bambino” – è un momento speciale. Vimala Mc Clure, fondatrice dello IAIM (AIMI in Italia) ha introdotto un dettaglio meravigliosamente forte: la richiesta di permesso. Prima di iniziare il massaggio, il genitore chiede al proprio piccolo il permesso di iniziare quell’esperienza comune, quel viaggio insieme che è il massaggio. E già questo significa riconoscere al neonato una completezza, una dignità, una sacralità rare e preziose. Tanto rare che spesso i genitori si sentono ridicoli a farlo. Non è affatto una domanda retorica: il piccolo ci risponderà con il linguaggio che conosce bene e che noi abbiamo piano piano dimenticato, il linguaggio del corpo. Ci risponderà sorridendo e agitando serenamente le manine verso di noi oppure chiudendosi a riccio e protestando. E noi piano, piano impareremo a capirlo confermandogli che il suo modo di comunicare funziona, che rispettiamo i suoi tempi ed i suoi momenti, che vogliamo fare qualcosa con lui ed abbiamo bisogno della sua complicità, che siamo in contatto.
Si stabilisce la comunicazione e si cresce insieme. I piccoli imparando il linguaggio delle parole, i grandi riscoprendo la potenza della pelle. Entrambi competenti, in un’unica tensione verso il migliorarsi.
Proviamo a cambiare punto di vista: quando è successo in astronomia in una sola occhiata l’uomo ha infranto 7 cieli di cristallo e s’è lanciato verso l’infinito.