Categoria: massaggiare
Piccole storie ossitociniche: intreccio, tra le mie dita, la trama del tuo sonno.
Sirio ha quasi 8 anni e questa settimana, dopo tanta attesa, dovrà fare un piccolo intervento. Resterà solo un giorno in ospedale, è una cosa veloce. Abbiamo molto parlato di ogni cosa che succederà e lui sembra molto sereno.
Arriva il giorno.
Entriamo in reparto e lui indossa il pigiama preparato per lui. Lo vediamo che parla, parla, parla, salta, sale e scende dal letto, e chiude e apre la tenda che protegge il letto dalla vista degli altri e sbuffa e parla e salta e fa tutto di nuovo. É visibilmente nervoso. Ha dormito poco e male, non ha fatto colazione, non può bere né mangiare e tutto questo lo rende impaziente e si somma al suo nervosismo.
Iniziano a preparare i primi bambini. Lui è grande, di certo dovrà aspettare un po’ di più. Comprensibilmente hanno priorità i bambini piccoli e gli interventi più complessi. Sarebbe bello che riuscisse a riposare…ma per come stanno le cose, sembra davvero impossibile. Eppure ci provo.
“Posso farti un massaggio?”
Lui resta un momento in silenzio, come riflettendo.
“Mamma, ho paura”
“Lo so. É giusto e normale. Per questo siamo qui con te. Sai, in questo ospedale sono molto bravi, sono davvero sicura che andrà tutto bene”.
“Mi sento nervoso, non riesco a stare fermo”
“Posso farti un massaggio?”
“Sì, mamma, grazie”
“Dimmi tu da dove vuoi che inizi”.
Sirio è un bambino massaggiato e lo sa bene: il luogo delle emozioni è il torace. Mi prende i polsi e mi tira finché le mie mani non si posano proprio lì, al centro del petto. Resto. Respiro. Le mani che riposano sul groviglio di emozioni. Lui sospira, sobbalza. Poi, si calma. Silenzio. Le mani scivolano verso le spalle e poi tornano. Si incrociano in movimenti lenti. Piano, piano lo sento ammorbidirsi. Si gira e mi offre la schiena. Avanti ed indietro come le onde del mare, le sue braccia si aprono e si abbandonano al materasso. Trascino via le tensioni, disegno spirali d’amore. Resto, di nuovo. Le mani che riposano su un nuovo momento: il respiro regolare, profondo. Sotto al ciuffo di capelli spettinati i suoi occhi finalmente si sono chiusi e lui riposa. Resto ancora, non si può andare via all’improvviso. Restando, saluto con gratitudine, la sua rilassatezza. Restando, ringrazio il mio percorso di vita per avermi donato questo strumento immenso di relazione.
Tra le mie dita si è intrecciata la trama del suo sonno, sonno di benessere che gli risparmia i pianti intorno, dei bimbi che già tornano e si risvegliano dall’anestesia. Gli risparmia i bip-bip delle macchine, l’inquinamento della paura, la tensione dell’attesa. Sonno di benessere che rasserena anche me, le mie mani che stanno e che adesso possono scivolare via, tirare delicatamente il lenzuolo e, finalmente, nella quiete, andare a posarsi sul mio torace di mamma, a liberare le mie emozioni.
(Veronica)
Un immenso grazie ad AIMI – Massaggio Infantile che ha curato la mia formazione e continua a farlo in modo inappuntabile, ma che, soprattutto, ogni giorno, attraverso i suoi insegnanti, dona questo meraviglioso strumento a centinaia di genitori.
Piccole storie ossitociniche: ma è vero il linguaggio della pelle?
Due storie a distanza di 4 anni. Un bimbo e una bimba. Il massaggio infantile.
C’era una volta un piccolo gruppo di mamme, ciascuna con il suo bambino. Frequentavano un corso di massaggio e erano diventate molto affiatate.
All’ultimo incontro venne un papà. Si vedeva che si sentiva a disagio: aveva percepito questa grande coesione e si sentiva fuori luogo. Ma, coraggiosamente, stava lì.
Mamma si sedette e iniziò a massaggiare bimbo. Babbo le stava accanto e li guardava con amore.
Gambine. Bimbo iniziò a lamentarsi e a sorridere a babbo: “Voglio proprio che mi massaggi tu”, sembrava dicesse…certo era proprio un’occasione da non perdere il babbo lì con loro!
Mi permisi di accennare un suggerimento.
Mamma sorridendo fece sì con la testa e cedette il posto. Babbo, un po’ imbarazzato ma felice, massaggiava le gambe. Lui e bimbo si guardavano, bimbo gorgogliava e rideva.
Arrivò il momento della pancia e poi sarebbe stato il turno del torace. Eravamo all’ultimo incontro e bimbo già lo sapeva. Ma le emozioni di babbo erano un po’ troppe per sopportarle con la pancia e con il torace, e bimbo iniziò a lamentarsi e a guardare di nuovo mamma.
Ancora un accenno di suggerimento, ma già stavolta c’era meno bisogno.
Così si scambiarono di nuovo. E bimbo si godette tutto il massaggio.
C’era una volta un piccolo gruppo di mamme, ciascuna con il suo bambino. Frequentavano un corso di massaggio e due di loro erano sempre accanto: le loro bimbe erano cugine!
All’ultimo incontro bimba si lasciava massaggiare con piacere. Com’era diversa dalla prima volta che aveva pianto tanto”
Mamma, contenta e rilassata, mentre massaggiava scambiava qualche parola con la zia di bimba.
Bimba iniziò a lamentarsi, mentre le mani di mamma scorrevano su di lei: “Ehi, mamma, stai parlando con me, non cambiare discorso, lascia fare la zia!”
Mi permisi di accennare un suggerimento.
Mamma sorridendo fece sì con la testa e, interrompendo la conversazione, tornò a concentrarsi su bimba.
Lei e bimba si guardavano, bimba gorgogliava e rideva.
Quando si dice che i bambini parlano a perfezione il linguaggio della pelle e che se, attraverso il massaggio, iniziamo a parlarlo anche noi, poi ci si capisce alla perfezione, si dice solo la verità.
Una verità che stupisce, tanto da non sembrare vera.
Eppure lo è, in tutta la sua forza e la sua bellezza.
(Veronica)
Venite e…portate anche i nonni!
É la mia frase tipica quando invito i futuri o i neo-genitori agli incontri informativi sul babywearing o sul massaggio infantile.
Normalmente assisto a sogghigni o ad espressioni sconsolate. Qualche volta addirittura ad evidenti segnali di fastidio. E le motivazioni sono sempre le stesse:
“Eh sie…tanto hanno poco da criticare!”
“Figurati, loro sono proprio all’opposto di queste cose!”
Eccetera, eccetera…
È successo anche qualche tempo fa, durante un incontro. Allora, mi concessi un pochino di tempo per esporre le ragioni del mio invito e da allora, alcune tra quelle mamme continuano a chiedermi di scrivere le cose che dissi, perché possono servire.
Ed ecco qua, con la mia solita calma, a dar loro ascolto.
Chi sono i nonni di oggi?
In buona parte, sono genitori di ieri, forzati da pregiudizi culturali ed indicazioni mediche dettate da opinioni soggettive a crescere i propri figli con il criterio dell’indipendenza precoce.
I bambini nati e cresciuti negli anni ’80 e ’90 – i genitori di oggi – sono bambini poco allattati al seno, poco tenuti in braccio, mantenuti distanti nel sonno (spesso con i metodi dell’estinzione graduale del pianto, oggi ufficialmente ritrattati), massaggiati poco e raramente.
I loro genitori li hanno cresciuti così convinti di fare il loro bene. A volte in modo per loro naturale, perpetrando modelli pedagogici e di accudimento di tradizione familiare, a volte rinunciando con dolore, per ciò che credevano essere il benessere e la crescita equilibrata dei figli, al loro istinto, alla voglia di star loro vicino, di tenerli vicini.
E gli anni son passati, ed i figli si son fatti grandi, onesti, capaci di andare con le proprie gambe: hanno fatto un buon lavoro, come genitori, va tutto bene.
Finché i figli non diventano genitori.
E magari genitori che scelgono di tirar su i figli “a contatto”, come Natura comanda.
Ed è a queso punto che si crea spesso una voragine tra le generazioni e, peggio ancora, tra gli affetti.
Perché i genitori, per intraprendere il percorso che hanno scelto, si sono informati tanto e tanto faticano ad attuarlo perché tutti sappiamo quanto sia difficile dare ciò che non si è avuto, che non si è mai conosciuto.
Ed in questa fatica, si aspettano il sostegno dei familiari.
Sostegno che, invece, viene soffocato dalle critiche.
D’altra parte, loro, i nonni si trovano improvvisamente davanti a posizioni, informazioni, dati scientifici che comunicano loro soltanto qualcosa di terribilmente doloroso: hai perso un’occasione.
Uscite dalle labbra dei figli, queste nuove informazioni arrivano con un carico – spesso nemmeno voluto – di sensi di colpa, di giudizi. Diventano: con me hai sbagliato, mi hai fatto mancare cose importanti.
Con questi fardelli emotivi la deriva della relazione è quasi una conseguenza naturale.
Però ci sono situazioni in cui le stesse informazioni pesano meno.
E sono gli incontri tenuti da operatori.
L’operatore è qualcuno di estraneo alla famiglia, che non ne conosce la storia e che quindi pesa emotivamente meno di un figlio che quella relazione ha vissuto da protagonista.
Un buon operatore sa che parla per informare e non per giudicare.
Un buon operatore sa “annusare” la tensione emotiva in sala e sa offrire una via d’uscita alla malinconia, al dolore di non aver accudito i propri figli. Sono vie d’uscita piccole ma esistono. Accudire la madre, far da madre alla madre, come dicono le doule. Si può fare, si può imparare. Si può sciogliersi d’amore a qualsiasi età.
Partite per tempo, coinvolgete i nonni nelle scelte di accudimento e nelle scelte pedagogiche, fate filtrare l’emozione attraverso le parole più distanti di qualcuno che è lì proprio per informare, sostenere, incoraggiare, offrire vie d’uscita. E poi, chissà, magari potrete provare a ricostruire quello che è rimasto incompleto.
In ogni caso, ne guadagnerete tutti in benessere, armonia, amore, possibilità di recupero.
Attaccamento morboso
Spesso si sente definire l’attaccamento tra genitori e figli (e più ancora quello tra le mamme e i loro figli) “morboso”.
Considerando la possibilità che ci siano relazioni non sane, vorrei soffermarmi sul significato della parola e sulla norma biologica dell’essere umano.
Il mammifero uomo è un prematuro fisiologico. Questo significa che, anche nascendo a termine, un cucciolo d’uomo ha bisogno di un certo tempo perché le sue funzioni neurologiche e fisiologiche si stabilizzino.
Nei primi 1000 giorni di vita il cervello di un essere umano cresce circa 1gr al giorno. Il contatto positivo, le sensazioni piacevoli favoriscono il crearsi dei collegamenti sinaptici.
Un cucciolo d’uomo nasce con tante competenze ma tante deve crearsele. In primis deve acquisire le capacità di muoversi in modo autonomo per il mondo, deve stabilizzare il proprio sonno, deve preparare il proprio sistema digerente ed intestinale per i cibi solidi e così via.
Oggi OMS ci dice che l’allattamento al seno, quando possibile, è da preferire a qualsiasi altro alimento sul piano nutritivo ma SOPRATTUTTO sul piano relazionale è da protrarsi finché la diade ne sente il bisogno, anche oltre i due anni, perché oltre a portare benefici al corpo, crea una relazione solida e una comunicazione efficace.
Lo stesso si dica delle coccole, degli abbracci, dei massaggi, delle carezze e dei baci: l’essere umano ha bisogno di stimolazioni sensoriali e affettive per crescere sano e sicuro.
Quindi le relazioni affettuose – anche e soprattutto fisiche – tra genitori e figli sono sane, non malate. Oltre stimolare la crescita sana a livello muscolare, neurologico e relazionale dei bambini, insegnano loro a riconoscere il tocco buono, rispettoso, amorevole di chi li ama e a distinguerlo, appunto, dalla morbosità reale. A loro volta, imparano ad amare e a rapportarsi fisicamente agli altri in modo rispettoso e amorevole.
Quindi non confondiamo le cose e lasciamo la patologia ai campi in cui effettivamente ci sono delle disfunzioni relazionali grosse (che invece, specie nel mondo adulto, oggigiorno sembrano essere la norma). La prossima volta che incontrerete un genitore che sta accudendo suo figlio, sorridete loro. Anche se per la vostra visione quel bambino fosse “troppo grande” per essere portato addosso, allattato, massaggiato.
Riserviamo la nostra capacità di dissenso per le reali morbosità: forse nella nostra società ci saranno meno violenze.
morbóso agg. [dal lat. morbosus]. – 1. Nel linguaggio medico, che è proprio di un morbo, o che ad esso si riferisce, o, più genericam., che ha significato patologico: stato m.; condizioni m.; sintomi m.; sintomatologia m.; anche, che apporta un morbo, una malattia: causa m.; agenti morbosi. 2. In senso fig., di sentimento, che, nel suo manifestarsi, denota eccessività rispetto alla norma, e quindi mancanza di misura e di equilibrio; per estens., opprimente, ossessivo
Invece, queste, sono immagini d’amore sano, sanissimo, prezioso.
Non confondiamo le cose.
(Veronica)
Piccole storie ossitociniche: mamma massaggia bimba
Entro nella casa attraversando il giardino.
C’è silenzio, profumo di gelsomini e un’arietta leggera.
E se arriva l’anaconda?
La domanda più ricorrente che si pongono le mamme i papà ed i familiari o amici che li circondano è senza dubbio “ma perché questo bambino non sta da nessuna parte? Appena lo metto giù, piange!”
E proprio da questa domanda hanno origine i commenti ed i consigli che ognuno si sente in dovere di dare:
- È colpa tua, lo hai viziato
- È furbetto, ti comanda di già
- Mettilo giù, vedrai che si abitua
- Mica ti puoi far schiavizzare da un neonato
E poi i meno “dannosi” ma pur sempre notevoli a livello di stress:
- Ha fame
- Ha le coliche
- Ha freddo/caldo
Che fanno sentire i genitori spaesati, come se tutti sapessero interpretare meglio di loro i bisogni del loro cucciolo.
A questo aggiungiamo la stanchezza che tutti i genitori vivono nei primi mesi da genitori. E aggiungiamo, infine, last but not least, i doveri sociali e familiari che pretendono che i neo genitori lavorino, tengano la casa in ordine, abbiano una vita sociale e che i bambini sorridano, facciano versetti, mangino e ingrassino e dormano tranquillamente nei loro lettini/cullette/carrozzine/passeggini senza mettere in crisi gli adulti che li circondano.
Tutto questo rende spesso molto sofferente l’esperienza dei primi mesi di vita di un neonato, specie se si tratta di un neonato “ad alto bisogno”.
Chi sono i neonati ad alto bisogno?
Sono i piccoli che dormono solo attaccati al genitore, che stanno fissi al seno, che spesso piangono molto, che vanno “in crisi” dopo un qualsiasi eccesso di stimoli, che sono molto sensibili a livello tattile.
Sono neonati spesso definiti “faticosi”. E davvero lo sono, se si inserisce l’esperienza di far loro da genitori in un contesto come quello di cui parlavamo qualche riga più su.
E allora che si fa?
Una possibilità per “ricaricare le pile” almeno emotivamente è pensare a noi genitori e figli come quello che siamo: mammiferi
L’uomo, come mammifero, è un “portato attivo” ovvero nasce con competenze utili all’essere trasportato dai genitori o dagli adulti del branco.
Il riflesso di prensione serve per aggrapparsi
Il riflesso di Moro per cercare di recuperare l’adulto che improvvisamente il cucciolo si accorge di aver “perso”
La cifosi fisiologica della schiena per adagiarsi su una superficie non piana come il corpo di un adulto
La divaricazione delle gambe e le gambette a semicerchio sono la presa migliore per aderire al corpo in movimento dell’adulto.
Tutto questo perché il cucciolo d’uomo è un prematuro fisiologico, ovvero nasce (anche se a termine) ancora incapace di tante funzioni come, ad esempio, quella di muoversi in modo autonomo.
Nel nostro codice biologico non ci sono città e palazzi che sono molto recenti rispetto alla storia dell’umanità. Nel nostro codice biologico c’è la catena alimentare con prede e predatori. Un cucciolo d’uomo che, come dicevamo e come tutti sanno, non sa muoversi in modo autonomo sarebbe preda facile in natura ed il suo istinto di sopravvivenza gli dice che per non essere mangiato dall’anaconda (o dal falco o scegli tu il predatore più carino ) deve stare addosso ad un adulto in grado di muoversi.
I cuccioli più sensibili alla mancanza dell’adulto di riferimento, oggi chiamati “ad alto bisogno” sono semplicemente i cuccioli che in Natura sopravviverebbero più facilmente. Potremmo quindi chiamarli “ad alto indice di sopravvivenza” che forse già suona meno “patologico/problematico”.
Detto ciò, possiamo aggiungere che (per fortuna!) noi esseri umani abbiamo aggirato la selezione naturale e che oggigiorno i bambini che in natura si salverebbero e proseguirebbero la specie per la loro grande sensibilità sono sempre meno e perciò ci sembrano “strani”. Ma in ogni caso, la gran parte dei neonati – che siano o meno “ad alto indice di sopravvivenza” richiede il contatto, non per chissà quale strategia di seduzione o per chissà quali possibili errori pedagogico-educativi dei genitori ma per il semplice fatto che sanno che, se arriva l’anaconda, se li mangia in un boccone.
Non resta che aspettare con calma e pazienza che finisca l’eso-gestazione e che i cuccioli imparino e consolidino la loro capacità motoria autonoma, magari pensando che, ogni volta che assecondiamo la loro richiesta di essere tenuti addosso comunichiamo loro che ci stiamo prendendo cura, che non c’è anaconda che tenga davanti al nostro amore per loro. Ne faremo adulti sicuri e disposti a loro volta a proteggere ed ascoltare i bisogni e le aspettative biologiche dei loro simili, siano essi piccoli o grandi.
Per conciliare almeno un po’ le grandi richieste dei nostri ritmi di vita e sociali possiamo provare l’esperienza del babywearing e sostituire con una fascia colorata l’utilissimo mantello peloso di mamma e papà scimmia, a cui i cuccioli potevano aggrapparsi. E arrivare a dare disponibilità finché possiamo, finché riusciamo. Un cucciolo ascoltato è un cucciolo che ascolta.
In bocca al lupo (ed è proprio i caso di dirlo stavolta! )
(Veronica)
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Mani che tracciano percorsi
Quando a due o tre anni ti presentano un fratellino o una sorellina non hai tante parole per accoglierlo.
E nemmeno per raccontare cosa ti accade nel cuore, quel tumulto di emozioni che si mischiano: amore istintivo, paura, gelosia, entusiasmo.
Quanti sentimenti! E quante poche parole!
Eppure la via d’uscita esiste e loro lo sanno, i bambini, come fare: hanno la loro risorsa più preziosa, il linguaggio della pelle.
Per conoscere il nuovo arrivato lo vogliono e lo devono toccare.
Per poter comprendere l’istintivo amore, vogliono e devono abbracciare e baciare quel fratellino.
Per metabolizzare la loro gelosia, la loro paura, vogliono e devono essere abbracciati, toccati, accarezzati, contenuti e rassicurati da chi non conosce menzogna: la pelle.
Però, spesso, non sappiamo ritagliarci un momento per dar spazio a questo tipo di contatto.
Pensiamo che il tempo dedicato al grande sia “valido” solo se il piccolo non è presente.
Temiamo che la maldestrezza tipica dei due-tre enni possa nuocere al neonato.
E restiamo con la grande frustrazione di non star costruendo niente di armonico, rifugiandoci nella “saggezza” comune del “poi passa”.
Ma che cosa debba passare, esattamente chi lo sa?
Se passerà l’emozione, se passerà il bisogno di esprimerla, chissà?
Nel frattempo quel che passa sono le giornate, nel tentativo costante di inibire il contatto maldestro, di cercare momenti da dedicare solo al più grande, districandosi tra i pianti di uno e dell’altro così diversi eppure così uguali.
E se invece ci fosse un piccolo aiuto?
No, non parlo di nonne e suocere che vengono a cucinare o a portare il grande ai giardini. Ben vengano ma non sono, adesso, il nostro “fuoco”.
Vorrei raccontarvi, infatti, della magia del massaggio infantile.
Di tutti i benefici del massaggio infantile sul neonato e sulla relazione tra neonato e genitore potete leggere sul sito ufficiale di AIMI.
Qui, invece, vi voglio parlare del potere del massaggio sui fratelli ed in funzione della stabilizzazione di un nuovo equilibrio familiare.
Il bambino grande ha bisogno di toccare, di entrare in relazione, di sentire, di conoscere.
Come si concilia questo con il timore che i gesti ancora maldestri non siano pericolosi per il bimbo?
La reazione più comune degli adulti è negare o interrompere il contatto accompagnando il gesto con le espressioni più incomprensibili della storia, almeno per un bambino:
– No! così gli fai male! [ok, così no…e come allora?!]
– Fai piano! [io STO facendo piano!]
– Fai “caaaaaro”! [Ok, devo fargli una carezza. Quanto pesa la carezza?]
Senza alternative, o con alternative così vaghe che l’unica cosa che il bambino può capire è che quel che sta facendo o come lo sta facendo non va bene.
Si rischia di aumentare la distanza, di dare un messaggio di incompetenza , di trasmettere sfiducia e sospetto, di nervosismo.
Si rischia di ignorare che gran parte della maldestrezza è dovuta al vortice emotivo e che quest’ultimo non farà che intensificarsi, in questo caso.
Il massaggio è un angolo di responsabilizzazione, di permesso, di concentrazione.
Sono bambini piccoli, ma chi l’ha detto che un bimbo piccolo non può ascoltare, comprendere, imparare?
Una proposta preziosa può essere massaggiare insieme.
Spiegare i gesti, anche attraverso il tatto, il contatto. Mostrarli, farli provare. Una mano dopo l’altra lentamente. Magari sulle gambine, che non sono così delicate.
Un piccolo rituale ogni volta: prendere e scaldare l’olio tra le mani, chiedere il permesso, scoprire il tocco gentile che “ascolta” prima di iniziare.
Tutto, nel massaggio, canalizza l’emozione confusionaria verso qualcosa di importante, di strutturato.
Ecco un modo per toccare quel piccolino con competenza, con concentrazione. Ecco che mamma e papà insegnano e quindi si fidano, danno un compito, un ruolo, definiscono un posto emotivo e fisico di libertà: perché laddove non siamo “schiavi” delle emozioni, siamo liberi, profondamente, di esprimerle, di viverle, di starci dentro nell’ascolto e nell’elaborazione. Laddove ci sentiamo valorizzati nel nostro ruolo e nelle nostre capacità, siamo già più capaci di dare.
Nel massaggio condiviso, stiamo dedicando del tempo prezioso, un momento prezioso che proprio lo è perché non è esclusivo.
Con questi momenti si sostiene il nuovo equilibrio. Perché si vive un momento bello insieme, senza esclusioni: si capisce che il bello continuerà anche con il nuovo arrivo, anzi, specialmente con il nuovo arrivo.
Poi l’ossitocina riempie l’aria ed improvvisamente anche il grande chiede un massaggio. Magari piccolo, magari rapido. Oppure un abbraccio, una coccola alla testa.
Ecco la porta per entrare in un contatto più profondo, più diretto, più sincero. Un contatto non mediato da schemi mentali, aspettative, timori. Un contatto magico che ha il potere di unire, rilassare, trasmettere amore come nessun altro.
Per questo sono così grata le rare volte in cui un genitore viene al corso accompagnata dal bambino grande. Perché so che è iniziato il loro percorso che le porterà ad essere una nuova e rinnovata splendida famiglia.
Le mani lo disegnano, tiepide d’olio, sulla pelle e magari su una bambola. E poi si intrecciano e poi una testolina bionda si appoggia al petto di mamma, scappa un sorriso, appare una piccola tazza per prendere il tè come i grandi e con i grandi mentre il piccolo succhia il seno o pisola, rilassato, sul cuscino.
Nella stanza si diffonde un’emozione carica di dolcezza, di empatia, di partecipazione.
E le chiacchiere delle mamme, oggi, si sono scordate di animare la pausa, soppiantate da un silenzio vibrante, carico d’amore.
(Veronica)
Le grandi mani di papà
Le mani di papà sono grandi e forti
rassicurano e proteggono.
E poi sanno farsi leggere e
e sanno tuffarsi nelle profondità delle emozioni.
Le mani di papà sanno aspettare
perché hanno aspettato lunghi mesi
sanno tenere con cura
e sollevare fin sopra le nuvole.
Le mani di papà sanno scivolare
hanno scivolato a lungo
sulla luna piena del pancione
cercando di conoscere
senza l’aiuto degli occhi,
guidate solo dal cuore.
Le mani di papà, che bello incontrarle di nuovo!
Forse un po’ ruvide, certo…
ma non lo sono anche certi frutti dolcissimi?
Le mani di papà lavorano
ma proprio lì,
tra il palmo e le dita
non smettono mai di stringere e proteggere
il loro grande, grandissimo amore.
(Veronica)
grazie a papà Emiljan, al piccolo Orlando e a mamma Francesca per la foto meravigliosa
“Non è mai troppo tardi per farsi un’infanzia felice” (aut. ignoto)
Capita, a volte, di incontrare madri e padri che vengono ai corsi di massaggio o in consulenza per imparare ad usare la fascia.
Vengono con un piccolo piccolo appena nato e si raccontano. Raccontano di questo nuovo arrivo, della loro emozione nello scoprire nuove risorse di accudimento come quelle in cui mi chiedono di essere accompagnati.
E poi di un bambino o di una bimba “grande” che li aspetta a casa o che è a scuola.
E a questo punto il clima sempre si rabbuia un po’.
Perchè tanti di questi meravigliosi genitori si sentono un po’ in colpa per non aver dato al primo quello che stanno dando al più piccolo.
“Se avessi saputo, se avessi immaginato…quante cose gli ho negato, quanto l’ho tenuto distante…se solo potessi tornare indietro…”
Non si può tornare indietro ma si può non perdere più tempo, ecco la buona notizia.
“non è mai troppo tardi per farsi un’infanzia felice” c’era scritto su un muro in via Bolognese, qui a Firenze. Ogni volta che ci passavo davanti sorridevo pensando a me, a loro, a quei genitori malinconici.
La buona, la buonissima notizia è che ci sono un sacco di cose da fare e che non è mai tardi.
Non è tardi per quel bambino “grande”, non è tardi nemmeno per quell’altro bambino, quello ancora più grande, che è nascosto in fondo al cuore di ogni adulto.
Il contatto ha un grande asso nella manica: il contatto è relazione. Il contatto prende e dà in un continuo scambio. Il contatto non è un oggetto che o l’hai avuto o non lo potrai mai avere. Il contatto si nutre e nutre a sua volta la resilienza.
Basta avere pazienza e spogliarsi.
Certo dei vestiti, perchè la pelle respiri, finalmente.
E poi dei sensi di colpa, che non servono a nessuno e sono solo pietre in tasca (che poi, le tasche…o non c’eravamo spogliati?)
Infine dei giudizi, nostri o altrui, che legano i nostri polsi, chiudono a pugno le nostre
belle mani.
Piano, piano, rispettare i limiti ed onorarli è forse il primo passo per superarli.
Senza fretta, il contatto ha bisogno di tempo e di delicatezza, di movimenti lenti, di respiri profondi, di pause piene soltanto di pazienza e silenzio.
Ascoltare il silenzio, perchè è lì che si percepisce il linguaggio segreto della pelle.
Ricordare che non aver dato, allo stesso tempo significa – quando si parla di contatto – non aver ricevuto. E quindi provare tenerezza , ancorché malinconica, non solo per quel bambino grande ma anche per noi. E dalla tenerezza ripartire con piccoli passi: una filastrocca “camminata” sul palmo della mano, il gioco dei passi
degli animali sulla schiena, un sole sulla pancia, un massaggio alle spalle dopo una giornata di scuola. Chi abbiamo davanti? un bambino ancora piccolo, un bambino giàgrande e molto attivo, un ragazzino, un adolescente, un adulto irrigidito da troppe occasioni mancate?
Senza cercare di scambiarsi ciò che è passato, abbiamo la grande opportunità di iniziare a colmare le lacune con un modo sempre nuovo, sempre attuale di toccare, accarezzare, abbracciare, baciare, massaggiare.
Ancora ascoltare, individuare i limiti, guardar loro con amore. Con amore, piano piano, superarli.
Il dialogo più bello che a volte apre lo scrigno anche delle parole giuste.
Fidarsi della pelle. E’ il primo organo che si forma in un embrione. E’ il più importante e forse il più sottovalutato, come lo sono i grandi geni che parlano di cose troppo grandi per gli altri.
(Veronica)
Un consiglio di lettura utile, con tante idee di giochetti e di massaggi anche per i bimbi più grandi, può essere un bel libretto edito da RED “Il Libro delle Coccole”
“Questa casa ora ha anche un tetto”
Scrivo di getto, dopo che una cara amica mi ha segnalato questo articolo.
L’ennesimo articolo inutile e dannoso.
Come ne vengono scritti quotidianamente sui temi più cari ai genitori, ovvero quelli riguardanti la loro relazione con i loro figli.
In breve questo articolo, pur fregiandosi di riferimenti importanti come le citazioni da E. Weber su cui si dichiara concorde, parlando di babywearing, insinua il dubbio che ci siano derivazioni patologiche del portare.
Quello che rimane al lettore medio è “con ‘sta roba del portare alla fine le mamme patologiche frenano lo sviluppo dei bambini perchè non li lasciano andare”.
Mille altri articoli così sono stati scritti sull’allattamento prolungato, sul cosleeping etc.
Si diffonde il sospetto che il mondo sia pieno di mamme “patologiche” che prolungano il cordone ombelicale relazionale con i figli per misteriose carenze e morbosità fino alla maggiore età di questi ultimi. E, guarda caso, si tratta sempre di mamme che hanno una buona relazione fisica con i loro bambini.
Ecco, lasciatemelo dire, non è vero.
E questa volta sono davvero arrabbiata.
Perchè io rispetto e valorizzo ogni scelta genitoriale, ma quello che non tollero sono i luoghi comuni e le parole dette a sproposito che creano un orribile clima intorno alle famiglie.
Quindi uso questo mio piccolo spazio per rispondere all’articolo in questione e a tutti gli articoli sullo stesso tono che non smettono di essere scritti.
I bambini sono persone.
E sono persone con carattere definito, con esigenze chiare e molta consapevolezza sui propri bisogni.
L’essere umano è un mammifero.
Ha bisogno di contatto, di scambio tattile, di presenza.
Questo bisogno ad un certo punto, specie se vi si è risposto con competenza e positività, è destinato a sparire. Il percorso che va dalla nascita del bisogno – che corrisponde con quella del bambino – alla sua scomparsa è spesso ben chiaro ad entrambi: bimbo e genitore.
É certamente chiaro dal momento in cui bimbo e genitore sono in sintonia, sia quale sia lo stile che hanno deciso di seguire.
Nessuno forza nessuno.
A volte i bimbi grandi chiedono di essere portati, di essere allattati, di dormire nel lettone, di essere massaggiati. Ma questo non significa che i genitori hanno creato dipendenza nei loro figli con il loro “atteggiamento morboso” o con la loro “patologia”. Significa che quei bimbi sentono quel bisogno ed hanno sviluppato una grande competenza che permette loro di identificarlo e di esprimerlo in una richiesta.
Una mamma che allatta un bimbo grande o che lo porta in groppa non è una squilibrata con chissà quale carenza affettiva o relazionale che soddisfa approfittando della creatura.
É solo una mamma attenta, che ha deciso di rispondere fino a quando se la sente in modo positivo ai bisogni espressi dal suo bambino. Che ha deciso di fidarsi del suo bambino e della sua capacità di leggere le proprie esigenze.
Queste mamme, questi papà sanno accogliere e sanno lasciare andare. Hanno solo la pazienza utile a rimandare il momento a quando tutti sono pronti. Queste mamme, questi papà stanno costruendo con attenzione l’indipendenza dei loro bambini. Ne stanno facendo persone sicure e competenti, LIBERE di scegliere e di chiedere sostegno.
Queste mamme e questi papà non telefoneranno dieci volte al giorno ai figli trentenni perchè stanno offrendo il loro accudimento adesso che è il momento.
Ma chi ha scritto questo articolo ha una vaga idea di cosa significhi tentare di legare una fascia con un bimbo che non vuole? Un bimbo grande si porta sulla schiena: perchè non provare a legare sulla schiena prima di pensare che potrebbe essere possibile costringere un bambino a stare in groppa?
I bimbi portati sanno esattamente quando hanno bisogno di essere portati e quando hanno bisogno di camminare.
Due anni e mezzo fa, in un momento di grande trambusto familiare (ci eravamo trasferiti in un’altra casa e stavamo preparando un viaggio che ancora non sapevamo se sarebbe stato un viaggio o un’emigrazione), la mia bambina di allora tre anni e mezzo chiedeva spesso di venire in groppa.
Un giorno camminavamo sotto la pioggia con l’ombrello e lei ad un tratto abbracciandomi dalla schiena disse “che bello, mamma, ora questa casa ha anche il tetto!”.
Lei, a quasi quattro anni, aveva fatto della mia schiena, della nostra fascia il suo punto fermo dal quale vivere quella situazione così disorientante con la sicurezza di cui aveva bisogno per essere serena.
A distanza di due anni e mezzo, di nuovo il momento è complicato nella nostra vita. Adesso è il piccolo, che ha la stessa età che aveva la grande allora, a chiedere di essere portato spesso.
Io ora lo so perchè, me lo ha insegnato la mia bambina: perchè la schiena è un punto fermo, sicuro, una base da cui guardare il mondo con più fiducia.
E la grande, che è qualche passo avanti nella strada della vita, adesso è al mio fianco che sostiene il fratellino.
E che a volte mi chiede di massaggiarla, perchè sa che le fa bene se si sente di aver accumulato troppa tensione o emozione.
Smettete, vi prego: smettete di considerare la pelle qualcosa di cui aver paura. Smettete di pensare che le mamme con una buona relazione fisica coi loro bambini siano potenzialmente patologiche o egoiste o che vi scarichino frustrazioni da adulto. Smettete di pensare che i bambini siano bambole in balia di donne sull’orlo di una crisi di nervi.
I bambini sono persone e, se li lasciamo liberi di leggere e di esprimere i propri bisogni, sicuri che avranno una risposta sincera ed empatica, saranno persone competenti, libere e sicure.
(Veronica)