Categoria: piccole storie ossitociniche
Piccole storie ossitociniche: la cura e i colori
La Cura, i Colori
Vedo rosa in più sfumature, di pelle e di stoffa;
Vedo nero, bianco, marrone scuro, marrone chiaro;
Vedo il grigio della strada e molto amore;
Vedo qualcuno che per prendersi cura di chi ama non usa solo le braccia ma anche la schiena ed i piedi con cui cammina;
La cura ed i colori non si fanno domande. Semplicemente si accompagnano, si cullano, si fondono in un’unico passo in avanti.
Oltre chi resta indietro a guardare le tonalità di pelle e si perde una giornata di sole;
Oltre chi resta indietro a chiedersi come mai, se sarà adottato, se sarà figlio di stranieri;
Oltre chi resta indietro a giudicare la quantità di amore dello stare vicini, che pare sempre si rischi di amare troppo;
Oltre chi resta indietro ad argomentare che un genitore presente e amorevole non faccia la differenza;
Oltre chi resta indietro a dividere le culture, quando siamo tutti nati per imparare;
Oltre chi resta indietro a pensare che educare i bambini sia qualcosa di tanto diverso dall’amarli indiscriminatamente.
Un’unico passo in avanti, e poi un altro.
Lasciali indietro, piccola creatura, che il mondo non vede l’ora di cambiare con te.
(Veronica)
Ringraziamenti: Grazie alla piccola O. per la speranza di un mondo migliore. Grazie a mamma e babbo per aver curato un amore così grande con il loro grande amore. E Grazie per questo scatto che mi avete regalato ❤
Piccole storie ossitociniche: intreccio, tra le mie dita, la trama del tuo sonno.
Sirio ha quasi 8 anni e questa settimana, dopo tanta attesa, dovrà fare un piccolo intervento. Resterà solo un giorno in ospedale, è una cosa veloce. Abbiamo molto parlato di ogni cosa che succederà e lui sembra molto sereno.
Arriva il giorno.
Entriamo in reparto e lui indossa il pigiama preparato per lui. Lo vediamo che parla, parla, parla, salta, sale e scende dal letto, e chiude e apre la tenda che protegge il letto dalla vista degli altri e sbuffa e parla e salta e fa tutto di nuovo. É visibilmente nervoso. Ha dormito poco e male, non ha fatto colazione, non può bere né mangiare e tutto questo lo rende impaziente e si somma al suo nervosismo.
Iniziano a preparare i primi bambini. Lui è grande, di certo dovrà aspettare un po’ di più. Comprensibilmente hanno priorità i bambini piccoli e gli interventi più complessi. Sarebbe bello che riuscisse a riposare…ma per come stanno le cose, sembra davvero impossibile. Eppure ci provo.
“Posso farti un massaggio?”
Lui resta un momento in silenzio, come riflettendo.
“Mamma, ho paura”
“Lo so. É giusto e normale. Per questo siamo qui con te. Sai, in questo ospedale sono molto bravi, sono davvero sicura che andrà tutto bene”.
“Mi sento nervoso, non riesco a stare fermo”
“Posso farti un massaggio?”
“Sì, mamma, grazie”
“Dimmi tu da dove vuoi che inizi”.
Sirio è un bambino massaggiato e lo sa bene: il luogo delle emozioni è il torace. Mi prende i polsi e mi tira finché le mie mani non si posano proprio lì, al centro del petto. Resto. Respiro. Le mani che riposano sul groviglio di emozioni. Lui sospira, sobbalza. Poi, si calma. Silenzio. Le mani scivolano verso le spalle e poi tornano. Si incrociano in movimenti lenti. Piano, piano lo sento ammorbidirsi. Si gira e mi offre la schiena. Avanti ed indietro come le onde del mare, le sue braccia si aprono e si abbandonano al materasso. Trascino via le tensioni, disegno spirali d’amore. Resto, di nuovo. Le mani che riposano su un nuovo momento: il respiro regolare, profondo. Sotto al ciuffo di capelli spettinati i suoi occhi finalmente si sono chiusi e lui riposa. Resto ancora, non si può andare via all’improvviso. Restando, saluto con gratitudine, la sua rilassatezza. Restando, ringrazio il mio percorso di vita per avermi donato questo strumento immenso di relazione.
Tra le mie dita si è intrecciata la trama del suo sonno, sonno di benessere che gli risparmia i pianti intorno, dei bimbi che già tornano e si risvegliano dall’anestesia. Gli risparmia i bip-bip delle macchine, l’inquinamento della paura, la tensione dell’attesa. Sonno di benessere che rasserena anche me, le mie mani che stanno e che adesso possono scivolare via, tirare delicatamente il lenzuolo e, finalmente, nella quiete, andare a posarsi sul mio torace di mamma, a liberare le mie emozioni.
(Veronica)
Un immenso grazie ad AIMI – Massaggio Infantile che ha curato la mia formazione e continua a farlo in modo inappuntabile, ma che, soprattutto, ogni giorno, attraverso i suoi insegnanti, dona questo meraviglioso strumento a centinaia di genitori.
Piccole storie ossitociniche: ma è vero il linguaggio della pelle?
Due storie a distanza di 4 anni. Un bimbo e una bimba. Il massaggio infantile.
C’era una volta un piccolo gruppo di mamme, ciascuna con il suo bambino. Frequentavano un corso di massaggio e erano diventate molto affiatate.
All’ultimo incontro venne un papà. Si vedeva che si sentiva a disagio: aveva percepito questa grande coesione e si sentiva fuori luogo. Ma, coraggiosamente, stava lì.
Mamma si sedette e iniziò a massaggiare bimbo. Babbo le stava accanto e li guardava con amore.
Gambine. Bimbo iniziò a lamentarsi e a sorridere a babbo: “Voglio proprio che mi massaggi tu”, sembrava dicesse…certo era proprio un’occasione da non perdere il babbo lì con loro!
Mi permisi di accennare un suggerimento.
Mamma sorridendo fece sì con la testa e cedette il posto. Babbo, un po’ imbarazzato ma felice, massaggiava le gambe. Lui e bimbo si guardavano, bimbo gorgogliava e rideva.
Arrivò il momento della pancia e poi sarebbe stato il turno del torace. Eravamo all’ultimo incontro e bimbo già lo sapeva. Ma le emozioni di babbo erano un po’ troppe per sopportarle con la pancia e con il torace, e bimbo iniziò a lamentarsi e a guardare di nuovo mamma.
Ancora un accenno di suggerimento, ma già stavolta c’era meno bisogno.
Così si scambiarono di nuovo. E bimbo si godette tutto il massaggio.
C’era una volta un piccolo gruppo di mamme, ciascuna con il suo bambino. Frequentavano un corso di massaggio e due di loro erano sempre accanto: le loro bimbe erano cugine!
All’ultimo incontro bimba si lasciava massaggiare con piacere. Com’era diversa dalla prima volta che aveva pianto tanto”
Mamma, contenta e rilassata, mentre massaggiava scambiava qualche parola con la zia di bimba.
Bimba iniziò a lamentarsi, mentre le mani di mamma scorrevano su di lei: “Ehi, mamma, stai parlando con me, non cambiare discorso, lascia fare la zia!”
Mi permisi di accennare un suggerimento.
Mamma sorridendo fece sì con la testa e, interrompendo la conversazione, tornò a concentrarsi su bimba.
Lei e bimba si guardavano, bimba gorgogliava e rideva.
Quando si dice che i bambini parlano a perfezione il linguaggio della pelle e che se, attraverso il massaggio, iniziamo a parlarlo anche noi, poi ci si capisce alla perfezione, si dice solo la verità.
Una verità che stupisce, tanto da non sembrare vera.
Eppure lo è, in tutta la sua forza e la sua bellezza.
(Veronica)
Piccole storie ossitociniche: mamma massaggia bimba
Entro nella casa attraversando il giardino.
C’è silenzio, profumo di gelsomini e un’arietta leggera.
Piccole storie ossitociniche. Con gli occhi del cuore.
Mi preparo.
Registro gli step vocali al computer perché siano perfettamente nitidi. Cerco di pensare ai passaggi in cui è fondamentale guardare quello che faccio ed immagino come sostituirli con il tatto. Chiudo gli occhi e lego. Sarà una consulenza a stretto contatto.
Arrivo. Una bambina piccina, piccina dorme tranquilla in una carrozzina.
Tiro fuori la fascia. La mamma tocca la fascia. Le faccio sentire il bordo e poi tutto il lembo, l’elasticità diagonale. Le spiego che le due parti della fascia vanno lavorate con diversa attenzione. Le sue dita leggono la stoffa con cura. Annuisce, ha capito perfettamente ciò che a volte, spiegato a parole, risulta un po’ oscuro ai genitori.
Ho imparato già una cosa e non sono passati neppure 15 minuti. Ricordo che in formazione ci si fermava molto sul mostrare la legatura, sullo spiegare i passaggi, le caratteristiche della fascia. E il tatto? Possibile che fosse relegato solo alla relazione con il neonato? Possibile. Invece da oggi per me sarà lo strumento principe di ogni consulenza.
Inizio la legatura con lei vicino. Lei mi segue con le dita. Ha un tocco abile, delicato, accurato. Proviamo la legatura con la bambola. Ha gesti lenti e profondi, assapora ogni passaggio, ogni cambio di tensione della stoffa. La legatura viene molto bene.
La bambina si sta svegliando. Al primo respiro differente da quello profondo e regolare del sonno, la sua mamma si è messa in ascolto. Si alza e con passo sicuro va verso la carrozzina. La piccola ha appena aperto gli occhi e le mani della mamma la stanno già tirando su. Torna, stavolta con il passo più cauto e attento e si siede. Appoggia la sua bambina sulle ginocchia, il piede ben appoggiato a terra. Le parla con le parole di ogni mamma, ma nel frattempo le tocca il viso. Le dita si muovono sicure e attente a registrare ogni informazione. Tira fuori il seno e posiziona la sua bambina proprio all’altezza giusta, poi toglie le dita dal viso di lei.
Io penso, dentro di me, che ogni essere umano meriterebbe di essere toccato in quel modo. Non ho mai conosciuto nessuno che sapesse usare le dita con quella stessa cura, quella stessa solennità e attenzione.
La bambina poppa vorace e soddisfatta, non ha pianto un secondo da quando sono qui. Lei solleva il viso.
É molto doloroso non poterla vedere.
Sì, immagino.
Faccio una pausa. Forse dovrei solo accogliere quel dolore e quella dolcezza e tacere. Mi ricordo “Siate ciotole. Il vostro compito è accogliere”.
Però no. Perché queste due donne hanno una forza grande ed un grande potere e forse non lo sanno. Rischio.
Ti muovi molto sicura, sei bravissima. Sia in casa che con lei.
Oh in casa è facile, basta non cambiare posto alle cose. Mi piace fare da sola, essere autonoma.
Sai tu sei proprio la dimostrazione che senza vista si può vivere. Anche senza udito, sai? L’unico senso senza cui proprio non si può è il tatto. Senza il tatto non sentiremmo l’eccesso di caldo o di freddo, né il dolore. Ed il tatto ha un potere incredibile: quello di parlare agli esseri viventi in un modo così profondo come nessuna lingua al mondo riesce. Tu tocchi la tua bambina con una delicatezza, una sicurezza e una competenza che sono davvero rare. Questo le stai trasmettendo che la sua mamma è con lei, che è sicura, che ogni centimetro del suo essere è importante ed è in grado di comunicare cose grandi. Tu parli la sua lingua, il linguaggio della pelle. E non esiste dono più grande della profonda comprensione.
Sorride. Il dolore ha lasciato spazio alla dolcezza e alla speranza e mescolati insieme adesso riempiono la stanza di una leggera malinconia.
Spero che sia vero. Grazie.
Ricominciamo. Bordi, lembi, spollicio-pinzo. La piccina ora dorme di nuovo. Però sul cuore della sua mamma. Lei respira.
Così posso tenermi da entrambi i lati mentre salgo le scale. Avevo tanta paura di inciampare o che mi potesse scivolare. Che meraviglia.
Faccio una foto da mandare al babbo. Lei prende il bastone bianco.
Per essere in sicurezza lo devo tenere così, davanti al petto. Con lei in braccio era impossibile. Ora posso fare di nuovo da sola.
Sorrido. Non mi vede ma so che lo sente, so che respira la mia grande emozione come io respiro la sua. Penso a quanta passione metto nel raccontare ai futuri genitori il grado di indipendenza che può dare il babywearing. Eppure, che possa farlo a questo livello lo scopro adesso. A volte una fascia non facilita soltanto la vita quotidiana, la permette.
(Veronica)
Piccole storie ossitociniche. Una mamma, un papà, una bimba.
Una coppia che si ama, con tra le braccia il loro desiderato primo figlio, nato meno di due mesi fa, la riconosci bene.
Hanno gli occhi sbarrati, un po’ cerchiati, straboccanti d’amore e di incertezza. Traspirano una lieve insicurezza costruita intorno a loro dalle aspettative sociali, dai giudizi e dai consigli non richiesti. E una grande, una grande dolcezza, un prendersi cura sottile e costante, inossidabile.
Cerco di entrare in punta di piedi, di parlare piano. Di comunicare loro in qualche modo che possono essere quello che vogliono, quello che sono. Che un pianto non richiede per forza un’analisi o un giudizio e che le incessanti richieste da parte di quel minuscolo essere umano sono naturali, normali, belle e potenti perché ne garantiscono la sopravvivenza e la crescita sana e felice. Come si comunicano tutte queste cose? Servono tanti spazi di silenzio, dove gli animi si incontrano e fanno da soli, senza tanti fronzoli, la loro conoscenza.
Eccoli qui, davanti a me.
Un bellissimo, piccolo corso di babywearing pancia a pancia.
Il papà si programma per provare la legatura con la mia fida Giulia, la bambola didattica. Ops…qualcosa è andato storto e tra le sue braccia c’è la sua bambina, in carne, ossa e pianto.
Babbo non preoccuparti della stoffa e nemmeno di quel che pensa mamma o le altre donne o io. Siete tu e lei, accucciata sul tuo petto. Fai due passi, parla con lei. Va tutto bene, lo sai fare.
Certo che lo sai fare, sei il suo papà. Il suo grande, meraviglioso papà. E mamma è bravissima che lo sa e si affida anche lei, da lontano, a quelle tue braccia così amorevoli. Così si calma. Piano, piano.
Papà e mamma sorridono e solo adesso sistemiamo la stoffa a regola d’arte.
Proviamo ancora: un’altra fascia, un’altra legatura. Adesso la piccola si addormenta sul petto di mamma.
Avete imparato bene, sono sicura. Ma ci sarò, se vorrete, anche a distanza, ogni volta che qualcosa vi farà sorgere un dubbio.
Ci salutiamo dopo due ore insieme.
Grazie
Sorrido.
Non c’è di che, avete fatto voi…è una cosa vostra
Sorride.
No, grazie perché è molto bello quello che fai, quello che dici, come lo dici è importante
Sorrido.
Non voleva nemmeno venire, lui, era tutto sospettoso!
Sorride, con aria soddisfatta.
É vero non mi ispirava per nulla, ho fatto solo per accompagnarla, perché le hanno regalato questo corso e lei ci teneva. Invece è bello. Ho fatto anche io…insomma ho legato anche io, quanto ti devo?
Forse adesso dovrei stare seria perché la faccenda è importante. Ma l’ossitocina, quando vuole, ti stiracchia ostinata gli angoli della bocca
Niente, no…i papà non sono appendici. Va bene così. Siete una famiglia. Anzi! ce ne fossero papà a tutti i corsi!
Raccoglie le cose, disvia lo sguardo giusto un attimo.
Bello. Ormai ci siamo abituati che non ci considerano mai. Ogni tanto fa bene qualcosa di diverso.
Ride, ridono. Nel viso beato le risate soffuse si riversano, creano legami tra i neuroni, impregnano d’amore trama e ordito. Un tutt’uno, una famiglia.
(Veronica)
Piccole storie ossitociniche.
Nella mia vita professionale incontro famiglie di ogni tipo. Qualsiasi sia la loro storia o la storia della loro famiglia, ciascuna di loro ha in serbo qualcosa di speciale da insegnarmi o da regalarmi.
In nome dell’ossitocina, sempre.
Ma quanto bisogno c’è di ossitocina, di amore, di ascolto?
Farò la mia parte cercando, ogni tanto, magari ogni sabato (sarebbe bellissimo!) di raccontarvene qualche spezzone. Ne ripescherò piano, piano anche qualcuna dal passato. Senza far nomi né dare indicazioni sui luoghi perché la grande bellezza di ogni storia è lo spazio che lascia per diventare altre mille storie simili a sé.
Avranno tutte questo titolo e questa immagine.
Con la speranza di regalarvi momenti di grande bellezza, di tanta ossitocina in piccole storie verissime.
(Veronica)