Venite e…portate anche i nonni!
É la mia frase tipica quando invito i futuri o i neo-genitori agli incontri informativi sul babywearing o sul massaggio infantile.
Normalmente assisto a sogghigni o ad espressioni sconsolate. Qualche volta addirittura ad evidenti segnali di fastidio. E le motivazioni sono sempre le stesse:
“Eh sie…tanto hanno poco da criticare!”
“Figurati, loro sono proprio all’opposto di queste cose!”
Eccetera, eccetera…
È successo anche qualche tempo fa, durante un incontro. Allora, mi concessi un pochino di tempo per esporre le ragioni del mio invito e da allora, alcune tra quelle mamme continuano a chiedermi di scrivere le cose che dissi, perché possono servire.
Ed ecco qua, con la mia solita calma, a dar loro ascolto.
Chi sono i nonni di oggi?
In buona parte, sono genitori di ieri, forzati da pregiudizi culturali ed indicazioni mediche dettate da opinioni soggettive a crescere i propri figli con il criterio dell’indipendenza precoce.
I bambini nati e cresciuti negli anni ’80 e ’90 – i genitori di oggi – sono bambini poco allattati al seno, poco tenuti in braccio, mantenuti distanti nel sonno (spesso con i metodi dell’estinzione graduale del pianto, oggi ufficialmente ritrattati), massaggiati poco e raramente.
I loro genitori li hanno cresciuti così convinti di fare il loro bene. A volte in modo per loro naturale, perpetrando modelli pedagogici e di accudimento di tradizione familiare, a volte rinunciando con dolore, per ciò che credevano essere il benessere e la crescita equilibrata dei figli, al loro istinto, alla voglia di star loro vicino, di tenerli vicini.
E gli anni son passati, ed i figli si son fatti grandi, onesti, capaci di andare con le proprie gambe: hanno fatto un buon lavoro, come genitori, va tutto bene.
Finché i figli non diventano genitori.
E magari genitori che scelgono di tirar su i figli “a contatto”, come Natura comanda.
Ed è a queso punto che si crea spesso una voragine tra le generazioni e, peggio ancora, tra gli affetti.
Perché i genitori, per intraprendere il percorso che hanno scelto, si sono informati tanto e tanto faticano ad attuarlo perché tutti sappiamo quanto sia difficile dare ciò che non si è avuto, che non si è mai conosciuto.
Ed in questa fatica, si aspettano il sostegno dei familiari.
Sostegno che, invece, viene soffocato dalle critiche.
D’altra parte, loro, i nonni si trovano improvvisamente davanti a posizioni, informazioni, dati scientifici che comunicano loro soltanto qualcosa di terribilmente doloroso: hai perso un’occasione.
Uscite dalle labbra dei figli, queste nuove informazioni arrivano con un carico – spesso nemmeno voluto – di sensi di colpa, di giudizi. Diventano: con me hai sbagliato, mi hai fatto mancare cose importanti.
Con questi fardelli emotivi la deriva della relazione è quasi una conseguenza naturale.
Però ci sono situazioni in cui le stesse informazioni pesano meno.
E sono gli incontri tenuti da operatori.
L’operatore è qualcuno di estraneo alla famiglia, che non ne conosce la storia e che quindi pesa emotivamente meno di un figlio che quella relazione ha vissuto da protagonista.
Un buon operatore sa che parla per informare e non per giudicare.
Un buon operatore sa “annusare” la tensione emotiva in sala e sa offrire una via d’uscita alla malinconia, al dolore di non aver accudito i propri figli. Sono vie d’uscita piccole ma esistono. Accudire la madre, far da madre alla madre, come dicono le doule. Si può fare, si può imparare. Si può sciogliersi d’amore a qualsiasi età.
Partite per tempo, coinvolgete i nonni nelle scelte di accudimento e nelle scelte pedagogiche, fate filtrare l’emozione attraverso le parole più distanti di qualcuno che è lì proprio per informare, sostenere, incoraggiare, offrire vie d’uscita. E poi, chissà, magari potrete provare a ricostruire quello che è rimasto incompleto.
In ogni caso, ne guadagnerete tutti in benessere, armonia, amore, possibilità di recupero.