Il tempo sprecato

Un paio di settimane or sono, ho fatto una cosa inutile.

Ho potato con cura le piante dei pomodori. A fine stagione.

E l’ho fatto sapendo che fosse inutile. 

Il mio piccolo orto, meglio noto ai più come “St’Orto”, è stato il mio primo esperimento di agricoltura. Forse è anche inutile specificare che non sono un’agricoltrice né una giardiniera: non so nulla di piante, di come crescono, di come si posizionano per dare più frutti, di come si devono o non devono concimare, di come sconfiggere parassiti o allontanare insetti scrocconi.

Semplicemente, mi piace l’odore della terra, mi emozionano le foglie che crescono, che si allargano, i fiori che sbocciano, i frutti che si colorano giorno dopo giorno. Per questo il mio orto è sempre stato St’orto: ho seminato a caso e con scarse aspettative e poi piano, piano ho cercato di gestire alla meonopeggio il risultato. Perciò è cresciuto St’Orto. E mi piaceva tantissimo, così storto com’era, così stupidamente incasinato, casualmente rigoglioso, inevitabilmente poco produttivo.

St’Orto è cresciuto durante il Lockdown.  Mi ha consolata, distratta, mi ha fatto compagnia. Mi ha detto, in ogni momento, che la vita non si sarebbe fermata e che le mie mani erano capaci di creare, sostenere, sistemare. Insomma, tra me ed ogni pianta di St’Orto è nata una sorta di relazione importante, una specie di affetto profondo.

Così, quando ho visto i pomodori pieni di foglie e rami secchi, mi sono messa lì per una mattinata intera e li ho tagliati. 

Sì che lo sapevo che era un’operazione inutile, che sono piante stagionali.

Ma, mentre tagliavo, pensavo soltanto che non meritavano di seccare lentamente senza di me, senza che mi prendessi maldestramente cura di loro. Il risultato mi ha soddisfatta molto: le piante erano verdi e nella loro fragilità sembravano giovani di belle promesse. 

Certo se coltivare fosse stato il mio mestiere non mi sarei potuta permettere una tale dispersione di tempo ed energie. 

E questo mi ha fatto pensare al perdere tempo. A quanto conta, nella cura, il tempo lasciato passare senza obiettivi, senza aspettative, senza senso, senza profitto. A quanto contano, nella cura, le azioni che definiremmo inutili, sciocche, superflue, emotive.

Mi son ricordata delle parole di un’ostetrica che ho amato e amo tantissimo, al mio primo corso pre-parto: “l’infermiera o l’ostetrica vi mostreranno come si cambia il pannolino. E voi penserete che non riuscirete mai a diventare rapide e perfette come loro. Ecco, io aggiungerei che per fortuna non diventerete mai rapide e perfette come loro. Perderete un sacco di tempo in sorridere, accarezzare, coccolare, solleticare. E la magia del vostro cambiare il pannolino al vostro bambino starà proprio lì”.

Quindi stamani mi sono svegliata pensando a questo. 

In questa fredda e nebbiosa mattina d’autunno, di un anno strano che ci ha messo in ginocchio economicamente, relazionalmente ed emotivamente, in un periodo dominato dalla paura (del virus? Di come arrivare a fine mese? Di quando  come incontrare le persone che amiamo?), dall’ansia, dalla rabbia, dalla tristezza, sarebbe bello fermarsi a potare i pomodori a fine stagione. Fare gesti che non eviteranno le preoccupazioni e le paure, di certo. Che non miglioreranno i profitti né la possibilità o meno di trovarci ancora ad avere a che fare con la DAD o con il lavoro che non c’è, che non si può fare o che non paga.

Ma che un risultato ce lo hanno, garantito: ci rafforzano negli affetti, nella nostra capacità di trasmettere presenza anche da lontano, di chiamare a raccolta le nostre capacità per alimentare l’inutile amore che possiamo, che abbiamo da dare. Nel mezzo di tanto tempo morto, soffocato dalle ansie e dalle preoccupazioni, dare valore al tempo inutile della cura verso noi stessi e verso gli altri, può davvero essere spiraglio di sollievo. Mandare un messaggio o fare una telefonata a qualcuno che sentiamo importante, confortare o lasciarci confortare, abbracciare e baciare chi abbiamo vicino, dedicare a chi amiamo (nei molteplici modi dell’amore) una frase letta nel libro sul comodino, o la canzone che senti all’improvviso al mattino, raccontare una storia presa dal passato o dalla fantasia, raccontarci, ascoltare, ridere, scrivere, inventare. Fermarci ad osservare i colori intorno, il paesaggio che cambia, la luce che filtra nella nebbia.

Sono tutte cose che si leggono forse nei meme romantici sui social o che sembrano il luogo comune della mielosità. Eppure sono cose potenti, è il valore del tempo perso quello che può trasformare il giorno in un giorno importante.

Ah, dimenticavo: ieri, poi, ho tolto le piante, ormai senza vita. Conferma che il mio daffare era davvero inutile. 

Ma…qualche giorno dopo la potatura, su quelle stesse piante brillavano piccoli pomodori verdi. Che sono cresciuti quel tanto che bastava per renderli buoni, anche se non maturi.

Ed io ci ho fatto un vasetto di marmellata. Buonissima.

(Veronica)

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