Categoria: portare i bambini…fin da dentro il pancione!

Piccole storie ossitociniche: la cura e i colori

image_1303-Oxytocin

La Cura, i Colori
Vedo rosa in più sfumature, di pelle e di stoffa;
Vedo nero, bianco, marrone scuro, marrone chiaro;
Vedo il grigio della strada e molto amore;
Vedo qualcuno che per prendersi cura di chi ama non usa solo le braccia ma anche la schiena ed i piedi con cui cammina;
La cura ed i colori non si fanno domande. Semplicemente si accompagnano, si cullano, si fondono in un’unico passo in avanti.
Oltre chi resta indietro a guardare le tonalità di pelle e si perde una giornata di sole;
Oltre chi resta indietro a chiedersi come mai, se sarà adottato, se sarà figlio di stranieri;
Oltre chi resta indietro a giudicare la quantità di amore dello stare vicini, che pare sempre si rischi di amare troppo;
Oltre chi resta indietro ad argomentare che un genitore presente e amorevole non faccia la differenza;
Oltre chi resta indietro a dividere le culture, quando siamo tutti nati per imparare;
Oltre chi resta indietro a pensare che educare i bambini sia qualcosa di tanto diverso dall’amarli indiscriminatamente.
Un’unico passo in avanti, e poi un altro.
Lasciali indietro, piccola creatura, che il mondo non vede l’ora di cambiare con te.

(Veronica)

olivia

Ringraziamenti: Grazie alla piccola O. per la speranza di un mondo migliore. Grazie a mamma e babbo per aver curato un amore così grande con il loro grande amore. E Grazie per questo scatto che mi avete regalato ❤

Pubblicità

Portare per (il suo) bene – Babywearing e postura dei neonati

Quando si parla di babywearing si parla (o si dovrebbe parlare) anche di salute, sia del portato che del portatore.

Ci sono pochissimi studi, purtroppo, sul babywearing in sé, per disinteresse, perché  l’argomento si sta facendo spazio nel modo di accudimento collettivo solo più di recente  o per infattibilità etica, ma, per fortuna, abbiamo come riferimento gli studi posturali sul neonato. Ultimamente leggo con un po’ di apprensione una deriva verso il “è tutto naturale, basta stare addosso”.

Pur sapendo perfettamente il valore del contatto per un bambino, credo che sia importante non sottovalutarne la corretta postura per favorire ed accompagnare un altrettanto corretto sviluppo.  In particolar modo se si tratta di neonati entro i primi 3-4 mesi o, a maggior ragione, di neonati pretermine o con bisogni speciali.

Questo articolo è stato scritto in collaborazione e con la revisione di Barbara Vanoli – Osteopata specializzata in osteopatia pediatrica (tanto da far parte dell’equipe dell’ospedale Pediatrico Meyer), di Francesca Gheduzzi, Fisioterapista pediatrica e docente di Massaggio Infantile dell’AIMI e dell’approccio Bobath EBTA e di Elia Carbone, infermiere pediatrico in neonatologia all’Ospedale di Prato ed insegnante di Massaggio Infantile AIMI, che ringrazio infinitamente per il confronto, per la disponibilità e per le integrazioni tecniche.

Posizione generale

La posizione più consona in fascia (ed adatta a tutti ed in tutte le occasioni) è quella verticale. È l’unica posizione che consente al bambino di mantenere una buona cifosi della colonna vertebrale (che nei primissimi mesi è fisiologica in quanto ancora la curva cifotica è l’unica), una corretta divaricazione delle anche e il sostegno della schiena e del torace cosicchè il bambino non “si accartocci” su se stesso e che quindi mantenga libere ed espanse le vie respiratorie, in accordo con le più recenti indicazioni di prevenzione della SIDS (Sudden Infant Death Sindrome o Morte in culla) emanate nel 2016.

Schiena

La schiena deve essere mantenuta in asse, ovvero il bambino non deve “pendere” verso uno dei due lati, la “C” della colonna vertebrale deve essere nitida ma non eccessivamente chiusa perché, se lo è, significa che la schiena non è sufficientemente sostenuta e che, troppo raccolto su se stesso, il bambino avrà difficoltà a respirare liberamente. Un buon elemento di controllo è la posizione della testa che deve essere appoggiata di lato sul petto del portatore con il nasino che  punti in diagonale verso l’alto. Con il passare dei mesi ed il raggiungimento degli step di maturazione della colonna vertebrale (la capacità di tenere bene la testa, il raggiungimento della posizione seduta, il gattonamento ed infine la posizione eretta) è necessario cambiare la posizione finale del bambino in fascia per assecondare il naturale sviluppo dell’apparato muscolo scheletrico e delle competenze motorie.

Collo e testa

Il collo deve essere ben sostenuto in modo da consentire alla testa una posizione corretta ma non costretta. Questo si ottiene con la tensione ed il posizionamento corretto della stoffa, non con “stratagemmi” di compensazione.

Ad esempio, nella legatura FWCC (Front Wrap Cross Carry), l’imbottitura del bordo che sostiene il collo può essere utile per ammortizzare il contatto della stoffa con la pelle del bambino, qualora sia particolarmente sensibile, o, in caso di ipotonia più o meno

a6906ab5-9085-4f0c-bb49-3da312b07f7e

La testa viene sorretta dalla tensione della stoffa

accentuata del bambino, per contenere e sostenere maggiormente la posizione corretta. Ma in alcun modo può né deve sostituire o compensare una corretta tensione del tessuto, che è in grado di sostenere da solo, in modo fermo ed efficace, la posizione corretta.

La parte posteriore della testolina, specie durante la veglia, non deve essere costretta dalla stoffa perché questo andrebbe ad inibire l’estroflessione naturale del collo, utile per un corretto attacco al seno e per iniziare il processo di sviluppo della muscolatura dorsale. È invece opportuno offrire un eccellente sostegno del collo ed eventualmente contenere la testa con uno dei due lembi  durante il sonno, avendo cura che non vada a costringerla.

Per quanto riguarda i bambini ipertonici, il collo è un elemento fondamentale di “sblocco” della posizione tipica dello schema estensorio e di controllo della disorganizzazione motoria. Quindi si cercheranno legature e tipologie di supporti in grado di ridurre la spinta centrifuga e contro-cifotica tipica dell’ipertonia, attraverso un sostegno saldo e sicuro della nuca.

Braccia e gambe 

Le braccia devono rimanere flesse, ai lati del torace, con le mani posizionate vicino al viso. 

manine

Le manine stanno bene vicino al viso

Una tale posizione, raccolta sull’asse mediano, consente al bambino di gestire al meglio il proprio schema motorio e di ridurre la disorganizzazione motoria. In questa posizione, il neonato è in grado di esercitare consapevolmente la propria muscolatura ed il proprio schema di movimento. La stessa modalità di posizionamento è molto utile anche per i bambini di basso peso alla nascita o nati pretermine. Questi bambini hanno spesso difficoltà ad autoregolare la propria motricità ed i propri stati comportamentali.  In questa corretta posizione e nel suo approccio contenitivo e facilitante della motricità, ottengono invece dei buoni risultati in termini di regolazione autonomica e di co-regolazione offerta dal corpo del genitore, ovvero l’opportunità che il genitore fornisce al proprio bambino di potersi stabilizzare, di avere movimenti armonici e di passare da uno stato comportamentale all’altro riducendo i segnali di stress e favorendo quelli di benessere

31487567_1622995337808028_5633337800456667136_o

Le ginocchia sono appena più aperte dell’ampiezza delle spalle

Le gambe devono essere mantenute nella divaricazione fisiologica. Per divaricazione fisiologica non si intende la massima divaricazione raggiungibile dalle gambette del neonato in modo autonomo ma una divaricazione che porti le ginocchia ad una distanza poco più ampia dell’ampiezza delle spalle. Ovvero la posizione che anche da adulti assumiamo quando ci accovacciamo.

Questo è essenziale, come dicevamo per le braccia, per garantire il controllo dello schema motorio con l’allineamento sulla linea mediana e la possibilità di incontrarsi per manine e piedini (che è la base della cura posturale del neonato e soprattutto del neonato pretermine o con bisogni speciali).
La posizione raccolta offre una buona resistenza alla forza di gravità garantendo una posizione attiva, la facilità respiratoria e la stabilizzazione dei parametri vitali, oltre un buono sviluppo psico-motorio.

In posizione prona (come ad esempio sul petto di un genitore sdraiato o adagiato) i neonati tendono ad aprirsi in modo eccessivo. Specie con i bambini prematuri e con i bambini pretermine è necessario contrastare l’extra-rotazione dei cingoli che comporta il rischio di disorganizzazione motoria e di una posizione del corpo non attiva e quindi non funzionale al corretto sviluppo.

 

Teniamo sempre presente anche che il corpo in posizione prona non subisce lo stesso tipo di sollecitazione gravitazionale di un corpo in posizione verticale: chi fa cura posturale dei neonati, specie dei neonati pretermine, infatti, sconsiglia il prolungarsi nel tempo della posizione verticale. Le controindicazioni di questa posizione fanno capo giustamente all’influenza della forza di gravità sul corpo del bambino. In fascia, la forza è contrastata in parte dalla tensione e dal sostegno del tessuto ma è assolutamente necessario sistemare i bambini in modo che il loro schema motorio risponda attivamente alla sollecitazione non ammortizzata dalla fascia (anche questo, in accordo con le più recenti indicazioni di prevenzione della SIDS emanate nel 2016).

Il babywearing può essere uno strumento prezioso per più motivi: il contatto nutre e stabilizza, il movimento passivo che il corpo del bambino fa sfruttando la mobilità muscolare del portatore facilita lo sviluppo muscolare e motorio del bambino, il ritmo respiratorio del portatore induce regolarità in quello del portato e la capacità di termoregolazione dell’adulto va a coinvolgere anche il neonato. Il sostegno della stoffa permette di mantenere le competenze da “portati attivi” dei neonati come ad esempio la capacità di aggrapparsi o di gestire il proprio corpo in modo costruttivo senza essere penalizzati troppo dalla forza di gravità.

La posizione, quando corretta, previene vizi posturali o piccole e medie patologie legate alla postura (displasia evolutiva, plagiocefalia, squilibrio tra destra e sinistra etc).

In particolare, studiosi di etologia come Wulf Schiefenhövel  ed Evelin Kirkilionis, hanno soffermato la loro attenzione, sulla correlazione esistente tra salute dello sviluppo osteo-articolare e il portare in fascia.

Schiefenhövel  parla del beneficio offerto dalla pressione della testa del femore nella cavità acetabolare durante il portare, che andrebbe a favorirne la maturazione.

Beneficio che grazie al continuo movimento favorirebbe il ritmo di crescita ossea.

La Kirkilionis ha descritto invece nei suoi studi come i bambini portati sul fianco, con appoggio sul bacino dei propri genitori, tendono ad assumere  spontaneamente il fisiologico angolo di apertura delle anche, cioè quello migliore nella displasia congenita dell’anca. Si è visto inoltre, che bambini con displasia portati regolarmente dimostrano meno problemi con l’innalzamento dorsale del bacino, rispetto ai bambini che sono trattati solo il divaricatore.

Non possiamo, però, dimenticare che qualsiasi supporto o modo di portare per più corretto, naturale e spontaneo che sia, deve essere curato in funzione del neonato e delle sue caratteristiche fisiche, psichiche e relazionali peculiari.

Quindi portare in fascia assolutamente si, ma con criterio. Non si deve improvvisare e laddove ci fossero dei dubbi è sempre meglio rivolgersi ad un consulente formato e preparato.

Come sempre, è il modo che può fare la differenza dell’oggetto.

(Veronica)

 

Piccole storie ossitociniche. Con gli occhi del cuore.

image_1303-Oxytocin

Mi preparo.

Registro gli step vocali al computer perché siano perfettamente nitidi. Cerco di pensare ai passaggi in cui è fondamentale guardare quello che faccio ed immagino come sostituirli con il tatto. Chiudo gli occhi e lego. Sarà una consulenza a stretto contatto.

Arrivo. Una bambina piccina, piccina dorme tranquilla in una carrozzina.

Tiro fuori la fascia.  La mamma tocca la fascia. Le faccio sentire il bordo e poi tutto il lembo, l’elasticità diagonale. Le spiego che le due parti della fascia vanno lavorate con diversa attenzione. Le sue dita leggono la stoffa con cura.  Annuisce, ha capito perfettamente ciò che a volte, spiegato a parole, risulta un po’ oscuro ai genitori.

Ho imparato già una cosa e non sono passati neppure 15 minuti. Ricordo che in formazione ci si fermava molto sul mostrare la legatura, sullo spiegare i passaggi, le caratteristiche della fascia. E il tatto? Possibile che fosse relegato solo alla relazione con il neonato? Possibile. Invece da oggi per me sarà lo strumento principe di ogni consulenza.

Inizio la legatura con lei vicino. Lei mi segue con le dita. Ha un tocco abile, delicato, accurato. Proviamo la legatura con la bambola. Ha gesti lenti e profondi, assapora ogni passaggio, ogni cambio di tensione della stoffa. La legatura viene molto bene.

La bambina si sta svegliando. Al primo respiro differente da quello profondo e regolare del sonno, la sua mamma si è messa in ascolto. Si alza e con passo sicuro va verso la carrozzina. La piccola ha appena aperto gli occhi e le mani della mamma la stanno già tirando su. Torna, stavolta con il passo più cauto e attento e si siede. Appoggia la sua bambina sulle ginocchia, il piede ben appoggiato a terra. Le parla con le parole di ogni mamma, ma nel frattempo le tocca il viso. Le dita si muovono sicure e attente a registrare ogni informazione. Tira fuori il seno e posiziona la sua bambina proprio all’altezza giusta, poi toglie le dita dal viso di lei.

Io penso, dentro di me, che ogni essere umano meriterebbe di essere toccato in quel modo. Non ho mai conosciuto nessuno che sapesse usare le dita con quella stessa cura, quella stessa solennità e attenzione.

La bambina poppa vorace e soddisfatta, non ha pianto un secondo da quando sono qui. Lei solleva il viso.

É molto doloroso non poterla vedere. 

Sì, immagino. 

Faccio una pausa. Forse dovrei solo accogliere quel dolore e quella dolcezza e tacere. Mi ricordo “Siate ciotole. Il vostro compito è accogliere”.

Però no. Perché queste due donne hanno una forza grande ed un grande potere e forse non lo sanno. Rischio.

Ti muovi molto sicura, sei bravissima. Sia in casa che con lei.

Oh in casa è facile, basta non cambiare posto alle cose. Mi piace fare da sola, essere autonoma. 

Sai tu sei proprio la dimostrazione che senza vista si può vivere. Anche senza udito, sai? L’unico senso senza cui proprio non si può è il tatto. Senza il tatto non sentiremmo l’eccesso di caldo o di freddo, né il dolore. Ed il tatto ha un potere incredibile: quello di parlare agli esseri viventi in un modo così profondo come nessuna lingua al mondo riesce. Tu tocchi la tua bambina con una delicatezza, una sicurezza e una competenza che sono davvero rare. Questo le stai trasmettendo che la sua mamma è con lei, che è sicura, che ogni centimetro del suo essere è importante ed è in grado di comunicare cose grandi. Tu parli la sua lingua, il linguaggio della pelle. E non esiste dono più grande della profonda comprensione. 

Sorride. Il dolore ha lasciato spazio alla dolcezza e alla speranza e mescolati insieme adesso riempiono la stanza di una leggera malinconia.

Spero che sia vero. Grazie.

Ricominciamo. Bordi, lembi, spollicio-pinzo. La piccina ora dorme di nuovo. Però sul cuore della sua mamma. Lei respira.

Così posso tenermi da entrambi i lati mentre salgo le scale. Avevo tanta paura di inciampare o che mi potesse scivolare. Che meraviglia.

Faccio una foto da mandare al babbo. Lei prende il bastone bianco.

Per essere in sicurezza lo devo tenere così, davanti al petto. Con lei in braccio era impossibile. Ora posso fare di nuovo da sola.

Sorrido. Non mi vede ma so che lo sente, so che respira la mia grande emozione come io respiro la sua. Penso a quanta passione metto nel raccontare ai futuri genitori il grado di indipendenza che può dare il babywearing. Eppure, che possa farlo a questo livello lo scopro adesso. A volte una fascia non facilita soltanto la vita quotidiana, la permette.

(Veronica)

 

Piccole storie ossitociniche. Una mamma, un papà, una bimba.

image_1303-Oxytocin

Una coppia che si ama, con tra le braccia il loro desiderato primo figlio, nato meno di due mesi fa,  la riconosci bene.

Hanno gli occhi sbarrati, un po’ cerchiati, straboccanti d’amore e di incertezza. Traspirano una lieve insicurezza costruita intorno a loro dalle aspettative sociali, dai giudizi e dai consigli non richiesti. E una grande, una grande dolcezza, un prendersi cura sottile e costante, inossidabile.

Cerco di entrare in punta di piedi, di parlare piano. Di comunicare loro in qualche modo che possono essere quello che vogliono, quello che sono. Che un pianto non richiede per forza un’analisi o un giudizio e che le incessanti richieste da parte di quel minuscolo essere umano sono naturali, normali, belle e potenti perché ne garantiscono la sopravvivenza e la crescita sana e felice. Come si comunicano tutte queste cose? Servono tanti spazi di silenzio, dove gli animi si incontrano e fanno da soli, senza tanti fronzoli, la loro conoscenza.

Eccoli qui, davanti a me.

Un bellissimo, piccolo corso di babywearing pancia a pancia.

Il papà si programma per provare la legatura con la mia fida Giulia, la bambola didattica. Ops…qualcosa è andato storto e tra le sue braccia c’è la sua bambina, in carne, ossa e pianto.

Babbo non preoccuparti della stoffa e nemmeno di quel che pensa mamma o le altre donne o io. Siete tu e lei, accucciata sul tuo petto. Fai due passi, parla con lei. Va tutto bene, lo sai fare.

Certo che lo sai fare, sei il suo papà. Il suo grande, meraviglioso papà. E mamma è bravissima che lo sa e si affida anche lei, da lontano, a quelle tue braccia così amorevoli. Così si calma. Piano, piano.

Papà e mamma sorridono e solo adesso sistemiamo la stoffa a regola d’arte.

Proviamo ancora: un’altra fascia, un’altra legatura. Adesso la piccola si addormenta sul petto di mamma.

Avete imparato bene, sono sicura. Ma ci sarò, se vorrete, anche a distanza, ogni volta che qualcosa vi farà sorgere un dubbio.

Ci salutiamo dopo due ore insieme.

Grazie

Sorrido.

Non c’è di che, avete fatto voi…è una cosa vostra

Sorride.

No, grazie perché è molto bello quello che fai, quello che dici, come lo dici è importante

Sorrido.

Non voleva nemmeno venire, lui, era tutto sospettoso!

Sorride, con aria soddisfatta.

É vero non mi ispirava per nulla, ho fatto solo per accompagnarla, perché le hanno regalato questo corso e lei ci teneva. Invece è bello. Ho fatto anche io…insomma ho legato anche io, quanto ti devo?

Forse adesso dovrei stare seria perché la faccenda è importante. Ma l’ossitocina, quando vuole,  ti stiracchia ostinata gli angoli della bocca

Niente, no…i papà non sono appendici. Va bene così. Siete una famiglia. Anzi! ce ne fossero papà a tutti i corsi!

Raccoglie le cose, disvia lo sguardo giusto un attimo.

Bello. Ormai ci siamo abituati che non ci considerano mai. Ogni tanto fa bene qualcosa di diverso.

Ride, ridono. Nel viso beato le risate soffuse si riversano, creano legami tra i neuroni, impregnano d’amore trama e ordito. Un tutt’uno, una famiglia.

(Veronica)

Babywearing…e se iniziassimo dalla pancia?

16903400_1218641514910081_5928133231774623956_o

 

Da anni propongo ai genitori un incontro prima della nascita a tema “portare i bambini fin da dentro la pancia“. Negli anni questo incontro si è trasformato, aggiornandosi in funzione dei nuovi percorsi formativi e dell’osservazione costante dei bisogni sempre diversi dei genitori.

…Ed è diventato il mio corso del cuore, quello che per me apre la strada alla condivisione con la C maiuscola.

Ma come funziona?

Il corso è rivolto a genitori in attesa al 7-8 mese di gravidanza. Lo propongo – ogni volta che è possibile – come un incontro di coppia dove per coppia non si intende necessariamente il secondo genitore ma la persona, se c’è, che sarà più vicina alla mamma e al suo bambino.

Che benefici può portare partecipare in coppia?
1) Dal punto di vista pratico e fisico la mamma con la pancia, pur provando la legatura con l’apposita bambola didattica (di dimensioni molto inferiori a quella standard per non gravare sul pancione ed essere maneggiabile nonostante…l’ostacolo logistico) otterrà  comunque un risultato non verosimile. Mentre il papà o chi accompagna la mamma ha la possibilità fisica di provare una legatura molto vicina alla realtà, di studiarla e di concentrarsi sulle sensazioni fisiche ed emotive che porta il legare anche solo…simulando!13641035_1021735701267331_4824063932312759074_o
2) Dal punto di vista emotivo: la mamma che deve affrontare il parto ed i primi giorni spesso complessi ha la possibilità di non sentirsi unicamente responsabile anche della tecnica della fascia. D’altro canto il papà è spesso lasciato ai margini dell’attesa e vive quotidianamente la difficoltà nel comprendere il proprio ruolo pratico in modo precoce alla nascita. Insomma per come viene (non) accolto o (non) considerato un papà in attesa, sembrerebbe che non sia ancora davvero papà e che possa esserlo solo dopo la nascita del suo bambino. Ma ogni papà sa che non è così, che come la mamma è già genitore fin dal momento in cui ha davvero desiderato quel bambino.13640824_1021769914597243_362673578044889345_o
3) Ed è così che siamo arrivati al punto di vista relazionale: si inizia a costruire un ruolo per l’altra persona. Il papà, l’altro genitore (o comunque il secondo care giver) si fa “custode” della tecnica, starà a lui/lei conservarla e ricordarla per metterla in pratica dopo la nascita. Non ci sono ormoni, esperienze emotive forti di rinascita fisica a mettersi in mezzo tra lui/lei e la tecnica di legatura: sarà il suo tesoro prezioso da portare in dono al suo bambino. Un tesoro che è pieno di cura ed è veicolo di costruzione di una relazione tattile precoce e solida.13568760_1021727591268142_7063904002942563884_o

La legatura del pancione e la legatura pancia a pancia con la bambola didattica consentono ai genitori di prendere  dimestichezza con la stoffa. Le legature proposte hanno quasi tutti i passaggi in comune. Laddove possibile, privilegio queste due legature in coppia (che in verità sono una l’adattamento dell’altra) per rassicurare la madre che il tempo che manca al parto può funzionare da “allenamento” senza sovraccaricare di tensioni la pancia. Spesso le mamme ne traggono sollievo, specie quelle che pensano di essere “imbranate” con la stoffa: allenano lo “spollicio pinzo“, il controllo dei bordi, il drappeggio della stoffa e ci prendono mano;

La fascia, tra le dita dei genitori,  prende vita, si impregna di amorevolezza e del loro odore. La mamma ha la possibilità di avvolgere il pancione pensando a quando porterà il bambino e quindi attiva tutta una serie di emozioni di cura che fanno bene a tutti, specie ad entrare in contatto con il bambino. Il papà o l’altro genitore avrà tra le braccia una bambola che può aiutare a concretizzare la sua immaginazione: il peso della bambola segna la pelle e scende giù fino al cuore, dove è ancora nascosta la fantasia sul suo bambino in arrivo e le dà corpo e forma.16903204_1218630828244483_5258973521904914347_o 2

Mentre i genitori sono a lavoro, tra loro si crea una specie di complicità nella “coppia”: fanno la stessa cosa in modi e tempi diversi e questo è un po’ lo specchio del loro prossimo futuro. 13559080_1021729411267960_62057097284554689_o

Infine il momento più buffo, signore e signori…il Rebozo!

Il Rebozo è un telo messicano con cui si pratica un massaggio rilassante non invasivo. A fine incontro, quando le mamme pancione sono piuttosto stanche, propongo ai papà o all’altro genitore qualche tecnica da tenere in serbo per ogni momento in cui ne sentiranno il bisogno. Non è ovviamente un massaggio completo, ma ha i suoi benefici e soprattutto è un ottimo strumento per far “giocare” la “coppia” . Funziona particolarmente con le coppie di genitori, com’è ovvio, ma ho visto anche diverse coppie mamma e figlia divertirsi molto.13585033_1021730241267877_8708691334531154876_o

Amo questo momento perché spesso il clima che circonda la coppia è terribilmente pesante e “prestazionistico”. Un po’ di “educazione al fanciullino” non guasta affatto. E, si sa, le risate sprigionano gli ormoni buoni, serotonina e ossitocina così importanti prima, dopo e durante la nascita.13613401_1021736961267205_2214605975961920208_o

Insomma, un incontro buffo e pieno d’amore, che non scorda la tecnica e non lascia fuori nessuno.

Benvenute, famiglie.

(Veronica)

Attenzione: la fascia non schiaccia i muscoli addominali e “sostiene” semplicemente dando un’indicazione posturale di apertura delle spalle e del riassetto della schiena. Quindi assolutamente la fascia non può essere comparata alla pancera. Un pochino più approfonditamente ne parlo qui.

E se arriva l’anaconda?

Color-Step-9-2

La domanda più ricorrente che si pongono le mamme i papà ed i familiari o amici che li circondano è senza dubbio “ma perché questo bambino non sta da nessuna parte? Appena lo metto giù, piange!”

E proprio da questa domanda hanno origine i commenti ed i consigli che ognuno si sente in dovere di dare:

  • È colpa tua, lo hai viziato
  • È furbetto, ti comanda di già
  • Mettilo giù, vedrai che si abitua
  • Mica ti puoi far schiavizzare da un neonato

E poi i meno “dannosi” ma pur sempre notevoli a livello di stress:

  • Ha fame
  • Ha le coliche
  • Ha freddo/caldo

Che fanno sentire i genitori spaesati, come se tutti sapessero interpretare meglio di loro i bisogni del loro cucciolo.

A questo aggiungiamo la stanchezza che tutti i genitori vivono nei primi mesi da genitori. E aggiungiamo, infine, last but not least, i doveri sociali e familiari che pretendono che i neo genitori lavorino, tengano la casa in ordine, abbiano una vita sociale e che i bambini sorridano, facciano versetti, mangino e ingrassino e dormano tranquillamente nei loro lettini/cullette/carrozzine/passeggini senza mettere in crisi gli adulti che li circondano.

Tutto questo rende spesso molto sofferente l’esperienza dei primi mesi di vita di un neonato, specie se si tratta di un neonato “ad alto bisogno”.

Chi sono i neonati ad alto bisogno?

Sono i piccoli che dormono solo attaccati al genitore, che stanno fissi al seno, che spesso piangono molto, che vanno “in crisi” dopo un qualsiasi eccesso di stimoli, che sono molto sensibili a livello tattile.

Sono neonati spesso definiti “faticosi”. E davvero lo sono, se si inserisce l’esperienza di far loro da genitori in un contesto come quello di cui parlavamo qualche riga più su.

E allora che si fa?

Una possibilità per “ricaricare le pile” almeno emotivamente è pensare a noi genitori e figli come quello che siamo: mammiferi

L’uomo, come mammifero, è un “portato attivo” ovvero nasce con competenze utili all’essere trasportato dai genitori o dagli adulti del branco.

Il riflesso di prensione serve per aggrapparsi

Il riflesso di Moro per cercare di recuperare l’adulto che improvvisamente il cucciolo si accorge di aver “perso”

La cifosi fisiologica della schiena per adagiarsi su una superficie non piana come il corpo di un adulto

La divaricazione delle gambe e le gambette a semicerchio sono la presa migliore per aderire al corpo in movimento dell’adulto.

Tutto questo perché il cucciolo d’uomo è un prematuro fisiologico, ovvero nasce (anche se a termine) ancora incapace di tante funzioni come, ad esempio, quella di muoversi in modo autonomo.

Nel nostro codice biologico non ci sono città e palazzi che sono molto recenti rispetto alla storia dell’umanità. Nel nostro codice biologico c’è la catena alimentare con prede e predatori. Un cucciolo d’uomo che, come dicevamo e come tutti sanno, non sa muoversi in modo autonomo sarebbe preda facile in natura ed il suo istinto di sopravvivenza gli dice che per non essere mangiato dall’anaconda (o dal falco o scegli tu il predatore più carino ) deve stare addosso ad un adulto in grado di muoversi.

I cuccioli più sensibili alla mancanza dell’adulto di riferimento, oggi chiamati “ad alto bisogno” sono semplicemente i cuccioli che in Natura sopravviverebbero più facilmente. Potremmo quindi chiamarli “ad alto indice di sopravvivenza” che forse già suona meno “patologico/problematico”.

Detto ciò, possiamo aggiungere che (per fortuna!) noi esseri umani abbiamo aggirato la selezione naturale e che oggigiorno i bambini che in natura si salverebbero e proseguirebbero la specie per la loro grande sensibilità sono sempre meno e perciò ci sembrano “strani”. Ma in ogni caso, la gran parte dei neonati – che siano o meno “ad alto indice di sopravvivenza” richiede il contatto, non per chissà quale strategia di seduzione o per chissà quali possibili errori pedagogico-educativi dei genitori ma per il semplice fatto che sanno che, se arriva l’anaconda, se li mangia in un boccone.

Non resta che aspettare con calma e pazienza che finisca l’eso-gestazione e che i cuccioli imparino e consolidino la loro capacità motoria autonoma, magari pensando che, ogni volta che assecondiamo la loro richiesta di essere tenuti addosso comunichiamo loro che ci stiamo prendendo cura, che non c’è anaconda che tenga davanti al nostro amore per loro. Ne faremo adulti sicuri e disposti a loro volta a proteggere ed ascoltare i bisogni e le aspettative biologiche dei loro simili, siano essi piccoli o grandi.

Per conciliare almeno un po’ le grandi richieste dei nostri ritmi di vita e sociali possiamo provare l’esperienza del babywearing e sostituire con una fascia colorata l’utilissimo mantello peloso di mamma e papà scimmia, a cui i cuccioli potevano aggrapparsi. E arrivare a dare disponibilità finché possiamo, finché riusciamo. Un cucciolo ascoltato è un cucciolo che ascolta.

In bocca al lupo (ed è proprio i caso di dirlo stavolta! )

(Veronica)

 

Vuoi approfondire? contattami pure per mail purocontatto@gmail.com o su whatsapp al 349.588.9362

dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-medicina-estetica-roma-perche-si-dice-in-bocca-al-lupo-radiofrequenza-rughe-cavitazione-cellulite-luce-pulsata-peeling-pressoterapia-linfodre

Mani libere…di prendersi cura

IMG_20170505_104628Una delle frasi che ho amato di più sulla maternità è di Verena Schmid che nel suo “Venire al mondo e dare la luce” afferma: quando nasce un bambino nascono anche una madre e un padre.

In effetti l’arrivo di un pargolo in casa porta grandi rivoluzioni e stravolgimenti: saltano gli orari, crollano le abitudini, i ritmi si serrano e tutto gira attorno al piccolo nuovo membro della famiglia. Con il passare delle settimane le cose iniziano ad assestarsi, nuove routine e nuovi equilibri prendono il posto di ciò che ormai è solo il ricordo lontano di una vita che nemmeno si ricorda più di aver avuto. La nuova famiglia sta germogliando.

Gli animali di famiglia vivono un po’ passivamente questo complesso processo di distruzione e ricostruzione su nuove fondamenta, catapultati da un giorno all’altro nel percorso di cambiamento di un gruppo familiare che fino a ieri dava sicurezza e affidabilità attraverso abitudini consolidate e rituali condivisi.

All’improvviso cambiano gli orari, si pranza e si cena in momenti insoliti, di notte non c’è più quel rassicurante silenzio, di giorno – se la famiglia è allargata – può esserci un gran via vai di persone e gli umani di casa sembrano più distanti, presi inevitabilmente dall’impegno dato dal nuovo arrivato (urlante, invadente e odoroso “di strano”, per giunta!).

Una delle abitudini più a rischio di venir sacrificate in questo periodo di riadattamento, anche nelle famiglie più inclusive dei non umani conviventi, è l’uscita con il cane. Questo vale soprattutto per la mamma e per varie ragioni: può essere reduce da un parto impegnativo che le richiede di riprendersi mentre si occupa del bimbo; può avere delle difficoltà nella gestione del piccolo che la allontanano da altre incombenze più delegabili; può essere semplicemente stanca (ebbene sì) e desiderare di trascurare alcune cose; sul lato pratico, può trovare disagevole spingere una carrozzina e gestire un guinzaglio contemporaneamente, a maggior ragione se il cane è medio-grande, lei non ha aiuti esterni ed è pervasa dalla sensazione di dover imparare a muoversi nel mondo nella sua nuova condizione.

Del cane, allora, finisce di occuparsi il papà, magari a fine giornata, stanco e desideroso di godersi il piccolo (e quindi frettoloso nel rientrare) oppure la nonna, lo zio, il cugino, persone sicuramente di famiglia ma non la SUA famiglia, dal punto di vista del cane. Quello che è un lieto evento per tutti, rischia di trasformarsi per lui in una situazione di isolamento o, comunque, di ripiego.

Ma anche per la mamma o per la coppia stessa, abituata a vivere il cane come un membro attivo della famiglia, piacevole da coinvolgere quotidianamente, dover rinunciare alle passeggiate a più zampe può risultare frustrante, oltre a togliere l’occasione di fare moto e stare all’aperto, attività importanti per evitare l’isolamento indotto, talvolta, dal prendersi cura di un bimbo sotto l’anno.

Ecco allora che la fascia può diventare uno strumento aggregante, non solo tra mamma e bambino ma tra la neo-famiglia e il suo cane.

L’uso della fascia lascia libere le mani per permettere anche alla mamma sola di condurre il cane in sicurezza, evitando la scomodità di spingere un passeggino  e insieme gestire un guinzaglio. In questo modo anche il più esuberante dei cani può essere portato in passeggiata mentre il piccolo dorme o inizia a scoprire il mondo dalla sua postazione riservata.

I vantaggi vanno a doppio senso, abbracciando l’intera relazione. Il cane sentirà che la sua presenza è ancora valorizzata malgrado il riassetto sociale in corso, la mamma ha l’occasione di uscire e svagarsi e magari socializzare, al bar o in piazza,  o semplicemente rilassarsi in una tranquilla passeggiata nel verde. Il bimbo inizia a godere del mondo, dell’aria aperta e del contatto profondo con chi lo ama.

Ma, se tutto cambia, è così importante  fornire  una certa continuità alle uscite a cui il cane è abituato? Insomma, non lo capisce che c’è un cucciolo d’uomo e la priorità ora è lui?

Certo che lo capisce. Ma dovremmo evitare di fargli credere che questo si traduca in una minore attenzione nei suoi riguardi, in un relegarlo agli scarti di tempo. Per un animale profondamente sociale come il cane questa potrebbe rivelarsi una sofferenza troppo grande da tollerare, andando a inficiare persino l’accoglienza e poi la futura relazione col neoarrivato.

I cani sono abili lettori delle dinamiche familiari e sono dotati di una grande tolleranza ai cambiamenti sociali, purché essi avvengano in nome di una coesione di gruppo di cui si sentono parte attiva. La fascia può essere uno strumento straordinario per traghettare nel nuovo mondo non solo il bimbo ma, idealmente, anche il cane in modo che il suo ruolo nel tessuto familiare resti confermato, così da gettare i semi di una convivenza che richiede solo occasioni aggreganti per evolvere e crescere.

(Sonia Campa)

Ti porto…al sicuro

Siamo in estate, e come ogni estate piano piano si viene sommersi – è proprio il caso di dirlo – da pubblicità di supporti per il babywearing “adatti a portare in acqua”.

Questo mi fa sentire l’esigenza di scrivere di sicurezza che è un argomento prezioso ed importante e, prendendo la palla al balzo, parlarne allargando a più situazioni la mia riflessione.

Dividerò quindi questo articolo in sezioni, cosicché sia di facile consultazione anche parziale a seconda dell’interesse di ciascuno. Iniziamo…

SUPPORTI E LEGATURE

per portare in modo sano e sicuro ci sono numerosi supporti ergonomici e numerose tecniche utilizzabili a seconda delle necessità e preferenze. Non è questo il luogo per dilungarsi in tempi e modi d’uso ma mi preme sottolineare delle caratteristiche necessarie ad entrambi per essere considerati sicuri e corretti.

Fasce portabebè e tecniche di legaturaconte_pula_ita

Le fasce usate per portare i bambini non devono mai avere cuciture che ne interrompano la trama (es. non si possono unire due pezzi di stoffa per ottenere la lunghezza necessaria). In caso di fasce “ring sling” (ovvero quelle corte con l’anello), è importante che l’anello non presenti saldature ma che sia “un pezzo unico” e che i bordi siano  facilmente regolabili per trazione (i bordi imbottiti, ad esempio sono assolutamente impossibili da tirare a dovere) perché una fascia poco tirata è una fascia che non sostiene a sufficienza e che quindi potenzialmente provoca l’accartocciarsi del bimbo su se stesso con conseguente compressione toracica che ostacola la respirazione.

Le fasce devono essere colorate con colorazioni che non contengano metalli pesanti o elementi potenzialmente tossici (i bambini le ciucciano tantissimo!). A garanzia delle colorazioni potremmo non accontentarci degli standard di importazione dei tessuti in europa ma riferirsi a certificazioni ad hoc (la più “famosa” è, probabilmente, OEKO).

Babywearing_First_Year_1_largeLe legature scelte devono garantire la posizione corretta del bambino (verticale, schiena a C, ginocchia più alte del sedere, piante dei piedi parallele al suolo, pochissima distanza tra portato e portatore (al massimo un pugno appoggiato al petto dalla parte delle 4 dita), almeno due dita tra mento e torace del bambino, gambette aperte ma non iperdivaricate (una “prova” utile a capire quale sia la posizione corretta del nostro bimbo è metterlo supino su una superficie semirigida: lui solleverà d’istinto le gambette verso la pancia e quella posizione è la sua posizione naturale e quindi da rispettare/riprodurre durante la legatura).

Una piccola digressione merita la posizione cosiddetta “a culla”.

(Dal mio contributo su “I cuccioli non dormono da soli” di A.Bortolotti. Bibliografia nel testo originale).

Gli studi e le statistiche sul rischio di morte in fascia si riferiscono nella loro totalità al cattivo uso di questa posizione. Si tratta di una posizione in cui il bebè viene adagiato sdraiato sulla stoffa, con il proprio fianco a contatto con il torace del portatore. La posizione è corretta quando il pancino è rivolto verso l’alto, la testa è più in alto del sedere, le ginocchia rannicchiate verso la pancia, la stoffa ben tesa in modo che la colonna vertebrale e la testina siano sostenute in asse e che il piccolo non si “accartocci” né affondi nella stoffa. Il problema è che la posizione corretta è piuttosto difficile da mantenersi, principalmente perchè i neonati, d’istinto, si girano verso il portatore. In questa posizione ruotata, la stoffa produce una tensione forte sul torace che può impedire il corretto movimento toracico della respirazione. Anche per quanto riguarda la prevenzione alla displasia, questa posizione non è consigliabile perchè allo stesso modo, la stoffa – nel momento dell’inevitabile torsione del bambino verso il genitore, tende a schiacciare verso l’interno la gambetta (e quindi l’incastro del femore con l’anca non viene mantenuto nell’angolazione ottimale).

Supporti strutturati e semi strutturati

Normalmente i supporti prodotti dalle aziende specializzate in babywearing corrispondono ai canoni di sicurezza necessari (la comodità e le caratteristiche delle varie proposte esulano dall’argomento quindi non ne tratterò). Per quanto riguarda i supporti autoprodotti o prodotti da piccoli artigiani è necessario un controllo accurato delle cuciture e delle chiusure. Un operatore professionale di babywearing (consulente, istruttore etc) potrà aiutarvi a capire se un supporto è ben fatto e sicuro.

LUOGHI ED ATTIVITÀ

Le semplici regole del buon senso basterebbero ad indicare quali luoghi o quali attività siano compatibili con la presenza di un bambino piccolo in primis e con il babywearing in particolare. Ma, purtroppo, la bella sensazione di avere le mani libere ed il bambino saldamente assicurato a noi ci porta spesso ad andare oltre il buon senso, per cui non fa male riportare alcune indicazioni di base.

Mare, laghi, fiumi
Per portare in questi luoghi “vacanzieri”, valgono le regole generali della sicurezza.

Buona norma è andare in spiaggia con almeno un altro adulto oppure in una spiaggia 13631396_611295362372607_1813316425669296970_n

provvista del servizio di bagnino. Malori improvvisi ed inattesi possono sempre capitare per cui questa regola vale in genere anche per gli adulti senza bambini.

Fatta questa premessa, una fascia al mare può essere
comodissima: per le nanne tranquille, per una passeggiata sul bagnasciuga…o anche come copertina, amaca, parasole, paravento!

L’importante è non usare fasce o supporti per il babywearing in acqua.Portare un bambino legato a noi in acqua ci dà un falso senso di sicurezza: abbiamo le mani libere per magari star dietro ad un fratellino più grande o ad un amico peloso, non si corre il rischio che “ci scivoli” e il bambino sta tranquillo. Però questo senso di sicurezza nasconde una grande insidia. In caso che l’adulto scivoli o – peggio – abbia un malessere, il bambino rimane nell’impossibilità totale di attivare i propri riflessi salvavita e le proprie capacità di andare naturalmente verso la superficie.

13754180_10208517321662962_6161327936153692318_nLegato, immobilizzato è assolutamente passivo e rimane schiacciato dal corpo del genitore. Anche se l’incidente viene rapidamente risolto, i tempi per soccorrere il bambino e stimolarne la ripresa della respirazione si fanno terribilmente lunghi. Chi sa soccorrere sa quanto sia prezioso ogni secondo: dover aprire un supporto oppure estrarre il bambino da una legatura può compromettere davvero la sua vita. Se invece il bambino vi scivola dalle braccia per qualsiasi motivo (perchè è solo scivolato, perché siete scivolati voi, per un vostro malessere etc) si prenderà uno spavento e piangerà un poco subito dopo ma in acqua il suo istinto gli permetterà di andare verso la superficie e di essere soccorso in tempi brevissimi ed in modo efficace.

MontagnaIMG-20140817-WA0001

 

Niente di meglio di una bella passeggiata nel fresco di un bosco o nei prati montani in cui possiamo incontrare tanti animali e vedere fiori ed alberi bellissimi! E niente di meglio che andarci in fascia o in marsupio per la comodità di grandi e piccini. Ovviamente, anche in questo caso, vige la regola del secondo adulto. In due adulti possiamo fare belle passeggiate e anche lunghe camminate in percorsi da soft trekking. Ovviamente non è assolutamente il caso di portare in una ferrata o in
arrampicata libera un bambino in fascia o marsupio. Per pur
esperti che siate, il rischio di cadere trascinando con voi il vostro bambino è grande e 1-2costante.

Certe esperienze sono belle anche perché si fatica per viverle in allenamento e capacità. Non precorriamo i tempi e lasciamo ai nostri figli la possibilità di viverle grazie al proprio percorso di vita.

 

 

Sport vari

In generale qualsiasi sport che non sia “soft” non deve essere praticato con i bambini in fascia sia per la loro sicurezza che per il benessere della nostra schiena che verrebbe sollecitata in modo esagerato: sì a camminate e a piccoli piegamenti corretti…e magari anche a qualche passo di danza (sempre relativo anche al tipo di danza che scegliamo)! Scegliamo movimenti o attività a cui il nostro corpo sia possibilmente allenato ed abituato ed eseguiamoli in proporzione alla nostra possibilità di controllo della situazione e di sicurezza per portato e portatore. Non starò certo a prendermi la briga né il fastidio mentale di fare un elenco dettagliato di attività “proibite” o sconsigliate perché sono convinta che ogni genitore abbia la piena consapevolezza di sé e delle sue possibilità e che possa anteporre il buon senso al proprio bisogno di fare con il suo bambino ciò che ha sempre fatto prima. Penso che ascoltarsi ed osservare sé stessi ed il proprio bambino, valutare con serenità e avere un buon grado di prudenza siano elementi sufficienti a prendere decisioni sensate.

Mezzi di trasporto

848370a83178d518ce0942510d06fa95Non si portano i bambini in fascia in nessun mezzo di trasporto dal cavallo al cammello (sì, sono esseri viventi e non solo mezzi di trasporto ma spesso li usiamo come tali e come tali stanno in questo’elenco), dalla barca alla bici, dalla moto all’auto.

Ci sono ovviamente alcune eccezioni:

Autobus e Pullman, treni e metropolitane non hanno, generalmente, sedili di sicurezza per bambini piccoli. IN questo caso è più sicuro usare la fascia delle braccia perché questo ci mette nelle condizioni di non mollare la presa in caso di reazione ad un urto e di usare le nostre braccia come stabilizzatori di posizione.  Lo stesso concetto vale anche nelle situazioni estreme ed ASSOLUTAMENTE OCCASIONALI in cui una macchina non ci offra la sicurezza richiesta: non mi riferisco certo all’auto dello zio o dell’amica che è senza seggiolino (in quel caso è responsabilità del genitore portare con sé ed usare SEMPRE i necessari strumenti di sicurezza per il proprio bambino, anche nelle macchine altrui!) ma ad esempio del servizio taxi di un Paese che non prevede sedute di sicurezza (per cui non sia possibile in alcuna maniera richiedere un taxi dotato di sedute di sicurezza) ed in cui per motivi validi non siete riusciti a portare ovetto o seggiolino da casa.

In aereo è possibile usare la fascia dal momento dello spegnimento del segnale “allacciate le cinture”.

Spesso i pericoli si nascondono dietro le situazioni più piacevoli e spensierate: l’amica fascia non si può proprio lasciare fuori dalla valigia…ma non scordiamo neppure l’amico buon senso.

Buon babywearing!

(Veronica)

grazie ad Adele Ricci e a Anamaria Militaru Photography per la gentile concessione della foto in spiaggia

Elogio della lentezza, il triplo sostegno sulla schiena (ancora di babywearing)

x fasciata veronica sirioI neonati ci chiedono di rallentare.

È spesso uno shock doversi abituare ad un ritmo differente, a tempi dilatati, a momenti in cui la lentezza è l’unica risorsa possibile.

Nutrire i neonati richiede tempo e pazienza, cullarli per farli dormire richiede tempo e calma, cambiarli senza farli immancabilmente strillare richiede tempo e pacatezza. Porgere loro i primi oggetti, condividere con loro i momenti di meraviglia davanti ad un raggio di sole, ad un fazzoletto colorato, alla chioma di un albero mossa dal vento, richiede tempo e disponibilità.

Tutto, in genere, richiede tempo, tanto tempo.

Noi genitori ci abituiamo (o almeno tentiamo di abituarci) a dar valore al tempo e alla lentezza, perchè ogni momento, quando si va lenti, è prezioso per arrivare in fondo a progetti ed obiettivi.

E un processo di adattamento difficile, spesso anche sofferto, per noi adulti abituati a correre.

In questo periodo il babywearing ci accompagna a trovare il ritmo comune, lento ed accurato. Impariamo a tirare bene la stoffa per sostenere rossanoadeguatamente la schiena, a curare le sedute, il sostegno alle gambette, il rispetto della posizione fisiologica. Triplo sostegno, x semplice, x fasciata…legature per il pancia a pancia, ma anche legature “di pancia” che esprimono i nostri bisogni ed al contempo li acquietano, che hanno bisogno di accuratezza, di fasce generosamente lunghe, di pazienza, di movimenti lenti e pazienti.

Ma i primi mesi passano anche più svelti del previsto e piano piano tutto si assesta: i bimbi si saziano più alla svelta, imparano a star seduti, ad intrattenersi un pochino con oggetti e attività, a gattonare, a muovere i primi passi, a pronunciare le prime parole.

Ed in men che non si dica son passati due anni ed il nostro babywearing si è adattato come acqua che scorre ai cambiamenti tanto repentini: l’inizio della competenza motoria richiede legature veloci, “leva e metti” per assecondare il movimento, l’indipendenza, il sali-scendi. Anche noi adulti siamo più o meno tornati ai ritmi rapidi: qualcuno è tornato a lavoro, altri comunque a casa hanno ripreso a fare mille cose, commissioni, giri, ad andare e tornare, uscire, fare e disfare.

12196247_1036068853078649_7407505193324016152_nLa fanno da padrone le ring sul fianco, le fasce corte preannodate, gli zainetti veloci.

È un “allegro andante” al cui ritmo danziamo naturalmente e ci sentiamo a nostro agio perchè è il ritmo che più assomiglia a quello che siamo sempre stati.

Spesso addirittura in questo periodo – dai 10 mesi ai 18/24 mesi – i bambini non vogliono più essere portati se non per brevi momenti sul fianco.

 

Però, poi, c’è un momento speciale. Un momento in cui i bambini ritornano alla base. Stavolta per scelta consapevole di una modalità che amano e non più per necessità. Sanno camminare e correre, rotolare e saltare con tanta perizia da esserne ormai sicuri, da non dover dimostrare niente né a loro stessi né a chi li circonda. Le competenze che via, via acquisiscono, le novità, le scoperte sono vissute con entusiasmo incredibilmente consapevole. I bambini ben supportati, incoraggiati, sostenuti e rispettati sentono profondamente che d’ora in poi possono arrivare dove vogliono.

È un momento di stabilità.

Ed i genitori come lo vivono?

Ed il babywearing?

Noi genitori spesso rimaniamo sul ritmo rapido: ce lo possiamo ormai permettere, la lentezza è solo un ricordo. Spesso accade che ci scontriamo con il carattere in formazione dei nostri bambini, con la rabbia che loro hanno nel saper fare fisicamente tante cose e non saperle adeguitamente esprimere a parole. Li chiamano i “terrible two”. Un gap incolmabile tra voler fare e poter fare, tra sentire e comunicare. E la fretta non aiuta, i ritmi rapidi spesso creano accumuli di frustrazione che poi sfocia in rabbia. Contenerli è spesso l’unica soluzione, e chi porta ha una risorsa importante: la fascia, oggetto del cuore e di cura.

Ma i bambini sono grandi e non solo pesano di più ma hanno bisogno di una comodità diversa.

Ed allora assistiamo alla magia, alla grande occasione che ci fornisce il babywearing.

Il triplo sostegno, tre strati di tessuto a sostenere un peso non più lieve, ci offre una nuova lentezza.IMG-20140802-WA0002

Una lentezza che non è determinata dalla delicatezza e dal ritmo attutito dei primi tempi.

Una lentezza che è celebrazione dei traguardi ed un riconoscimento importante: il riconoscimento che i nostri piccoli hanno un equilibrio, sanno attendere e sposare la scelta di essere portati che adesso è una scelta di consapevolezza emotiva, di piacere, di bisogno di condivisione e di relazione e non necessariamente di bisogno fisico.

Legare, ora più che mai, è fare qualcosa insieme.

I bambini sono padroni dell’idea di lentezza acquisita per contrario dopo l’esplosione di attività di qualche tempo prima. E l’accettano meglio di noi. Che stentiamo, a volte, a tornare ai movimenti accurati, ai gesti pazienti, ad una legatura che richiede un po’ di tempo in più.

Ed è questa fatica che facciamo che ci racconta quanto preziosa sia l’occasione che ci è offerta.

Tutte le cose belle che al contempo ci affaticano ci conducono al superamento dei nostri limiti, allo scoprire nuove dimensioni, ad arricchirci di un tesoro esperienziale straordinario.

Se ci concediamo al triplo sostegno, dimenticando la fretta e forse la praticità, aprendo la stoffa come se sgranchissimo le nostre ali di profondità troppo rattrappite, fissando e tirando il tessuto tre volte con la dolcezza dell’abbraccio con cui ci stringiamo il nostro bambino sulla schiena…scopriamo una nuova sintonia tra noi, un nuovo conforto, un nuovo passo sicuro.

10432108_629222380518667_5506034484261261181_nIl triplo sostegno preme sul petto, luogo delle emozioni, e accorda il respiro di bimbo e genitore.
Ha il potere magico di aprire la valvola dello stress e cacciarlo, come un breve esercizio di meditazione che ha il vantaggio di unirsi alla relazione in un momento incredibilmente nutriente e dolce (e che, nonostante queste due caratteristiche, non fa ingrassare!)

Passa sulle spalle, come un abbraccio, come farebbero le braccia dei nostri bimbi se non ci fosse la fascia. E infine si intreccia sulla schiena, con la ricchezza della nostra storia insieme.

Un regalo prezioso, l’elogio della lentezza.

(Veronica)

“Questa casa ora ha anche un tetto”

IMG_3786Scrivo di getto, dopo che una cara amica mi ha segnalato questo articolo.

L’ennesimo articolo inutile e dannoso.

Come ne vengono scritti quotidianamente sui temi più cari ai genitori, ovvero quelli riguardanti la loro relazione con i loro figli.

In breve questo articolo, pur fregiandosi di riferimenti importanti come le citazioni da E. Weber su cui si dichiara concorde, parlando di babywearing, insinua il dubbio che ci siano derivazioni patologiche del portare.

Quello che rimane al lettore medio è “con ‘sta roba del portare alla fine le mamme patologiche frenano lo sviluppo dei bambini perchè non li lasciano andare”.

Mille altri articoli così sono stati scritti sull’allattamento prolungato, sul cosleeping etc.

Si diffonde il sospetto che il mondo sia pieno di mamme “patologiche” che prolungano il cordone ombelicale relazionale con i figli per misteriose carenze e morbosità fino alla maggiore età di questi ultimi. E, guarda caso, si tratta sempre di mamme che hanno una buona relazione fisica con i loro bambini.

Ecco, lasciatemelo dire, non è vero.

E questa volta sono davvero arrabbiata.

Perchè io rispetto e valorizzo ogni scelta genitoriale, ma quello che non tollero sono i luoghi comuni e le parole dette a sproposito che creano un orribile clima intorno alle famiglie.

Quindi uso questo mio piccolo spazio per rispondere all’articolo in questione e a tutti gli articoli sullo stesso tono che non smettono di essere scritti.

I bambini sono persone.

E sono persone con carattere definito, con esigenze chiare e molta consapevolezza sui propri bisogni.

L’essere umano è un mammifero.

Ha bisogno di contatto, di scambio tattile, di presenza.

Questo bisogno ad un certo punto, specie se vi si è risposto con competenza e positività, è destinato a sparire. Il percorso che va dalla nascita del bisogno – che corrisponde con quella del bambino – alla sua scomparsa è spesso ben chiaro ad entrambi: bimbo e genitore.

É certamente chiaro dal momento in cui bimbo e genitore sono in sintonia, sia quale sia lo stile che hanno deciso di seguire.

Nessuno forza nessuno.

A volte i bimbi grandi chiedono di essere portati, di essere allattati, di dormire nel lettone, di essere massaggiati. Ma questo non significa che i genitori hanno creato dipendenza nei loro figli con il loro “atteggiamento morboso” o con la loro “patologia”. Significa che quei bimbi sentono quel bisogno ed hanno sviluppato una grande competenza che permette loro di identificarlo e di esprimerlo in una richiesta.

Una mamma che allatta un bimbo grande o che lo porta in groppa non è una squilibrata con chissà quale carenza affettiva o relazionale che soddisfa approfittando della creatura.

É solo una mamma attenta, che ha deciso di rispondere fino a quando se la sente in modo positivo ai bisogni espressi dal suo bambino. Che ha deciso di fidarsi del suo bambino e della sua capacità di leggere le proprie esigenze.

Queste mamme, questi papà sanno accogliere e sanno lasciare andare. Hanno solo la pazienza utile a rimandare il momento a quando tutti sono pronti. Queste mamme, questi papà stanno costruendo con attenzione l’indipendenza dei loro bambini. Ne stanno facendo persone sicure e competenti, LIBERE di scegliere e di chiedere sostegno.

Queste mamme e questi papà non telefoneranno dieci volte al giorno ai figli trentenni perchè stanno offrendo il loro accudimento adesso che è il momento.

Ma chi ha scritto questo articolo ha una vaga idea di cosa significhi tentare di legare una fascia con un bimbo che non vuole? Un bimbo grande si porta sulla schiena: perchè non provare a legare sulla schiena prima di pensare che potrebbe essere possibile costringere un bambino a stare in groppa?

I bimbi portati sanno esattamente quando hanno bisogno di essere portati e quando hanno bisogno di camminare.

Due anni e mezzo fa, in un momento di grande trambusto familiare (ci eravamo trasferiti in un’altra casa e stavamo preparando un viaggio che ancora non sapevamo se sarebbe stato un viaggio o un’emigrazione), la mia bambina di allora tre anni e mezzo chiedeva spesso di venire in groppa.

Un giorno camminavamo sotto la pioggia con l’ombrello e lei ad un tratto abbracciandomi dalla schiena disse “che bello, mamma, ora questa casa ha anche il tetto!”.

Lei, a quasi quattro anni, aveva fatto della mia schiena, della nostra fascia il suo punto fermo dal quale vivere quella situazione così disorientante con la sicurezza di cui aveva bisogno per essere serena.

A distanza di due anni e mezzo, di nuovo il momento è complicato nella nostra vita. Adesso è il piccolo, che ha la stessa età che aveva la grande allora, a chiedere di essere portato spesso.

Io ora lo so perchè, me lo ha insegnato la mia bambina: perchè la schiena è un punto fermo, sicuro, una base da cui guardare il mondo con più fiducia.

E la grande, che è qualche passo avanti nella strada della vita, adesso è al mio fianco che sostiene il fratellino.

E che a volte mi chiede di massaggiarla, perchè sa che le fa bene se si sente di aver accumulato troppa tensione o emozione.

Smettete, vi prego: smettete di considerare la pelle qualcosa di cui aver paura. Smettete di pensare che le mamme con una buona relazione fisica coi loro bambini siano potenzialmente patologiche o egoiste o che vi scarichino frustrazioni da adulto. Smettete di pensare che i bambini siano bambole in balia di donne sull’orlo di una crisi di nervi.

I bambini sono persone e, se li lasciamo liberi di leggere e di esprimere i propri bisogni, sicuri che avranno una risposta sincera ed empatica, saranno persone competenti, libere e sicure.

(Veronica)