“Non è mai troppo tardi per farsi un’infanzia felice” (aut. ignoto)

Capita, a volte, di incontrare madri e padri che vengono ai corsi di massaggio o in consulenza per imparare ad usare la fascia.

Vengono con un piccolo piccolo appena nato e si raccontano. Raccontano di questo nuovo arrivo, della loro emozione nello scoprire nuove risorse di accudimento come quelle in cui mi chiedono di essere accompagnati.

E poi di un bambino o di una bimba “grande” che li aspetta a casa o che è a scuola.

E a questo punto il clima sempre si rabbuia un po’.

Perchè tanti di questi meravigliosi genitori si sentono un po’ in colpa per non aver dato al primo quello che stanno dando al più piccolo.

“Se avessi saputo, se avessi immaginato…quante cose gli ho negato, quanto l’ho tenuto distante…se solo potessi tornare indietro…”

Non si può tornare indietro ma si può non perdere più tempo, ecco la buona notizia.

“non è mai troppo tardi per farsi un’infanzia felice” c’era scritto su un muro in via Bolognese, qui a Firenze. Ogni volta che ci passavo davanti sorridevo pensando a me, a loro, a quei genitori malinconici.

La buona, la buonissima notizia è che ci sono un sacco di cose da fare e che non è mai tardi.

Non è tardi per quel bambino “grande”, non è tardi nemmeno per quell’altro bambino, quello ancora più grande, che è nascosto in fondo al cuore di ogni adulto.

Il contatto ha un grande asso nella manica: il contatto è relazione. Il contatto prende e dà in un continuo scambio. Il contatto non è un oggetto che o l’hai avuto o non lo potrai mai avere. Il contatto si nutre e nutre a sua volta la resilienza.IMG_0151

Basta avere pazienza e spogliarsi.

Certo dei vestiti, perchè la pelle respiri, finalmente.

E poi dei sensi di colpa, che non servono a nessuno e sono solo pietre in tasca (che poi, le tasche…o non c’eravamo spogliati?)

Infine dei giudizi, nostri o altrui, che legano i nostri polsi, chiudono a pugno le nostre
belle mani.

Piano, piano, rispettare i limiti ed onorarli è forse il primo passo per superarli.

Senza fretta, il contatto ha bisogno di tempo e di delicatezza, di movimenti lenti, di respiri profondi, di pause piene soltanto di pazienza e silenzio.

Ascoltare il silenzio, perchè è lì che si percepisce il linguaggio segreto della pelle.

Ricordare che non averIMG_4813 dato, allo stesso tempo significa – quando si parla di contatto – non aver ricevuto. E quindi provare tenerezza , ancorché malinconica, non solo per quel bambino grande ma anche per noi. E dalla tenerezza ripartire con piccoli passi: una filastrocca “camminata” sul palmo della mano, il gioco dei passi
degli animali sulla schiena, un sole sulla pancia, un massaggio alle spalle dopo una giornata di scuola. Chi abbiamo davanti? un bambino ancora piccolo, un bambino giàgrande e molto attivo, un ragazzino, un adolescente, un adulto irrigidito da troppe occasioni mancate?
Senza cercare di scambiarsi ciò che è passato, abbiamo la grande opportunità di iniziare a colmare le lacune con un modo sempre nuovo, sempre attuale di toccare, accarezzare, abbracciare, baciare, massaggiare.

Ancora ascoltare, individuare i limiti, guardar loro con amore. Con amore, piano piano, superarli.

Il dialogo più bello che a volte apre lo scrigno anche delle parole giuste.
Fidarsi della pelle. E’ il primo organo che si forma in un embrione. E’ il più importante e forse il più sottovalutato, come lo sono i grandi geni che parlano di cose troppo grandi per gli altri.

(Veronica)

Un consiglio di lettura utile, con tante idee di giochetti e di massaggi anche per i bimbi più grandi, può essere un bel libretto edito da RED “Il Libro delle Coccole”

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