Etichettato: consumismo
ciò che viene da dentro, ciò che viene da fuori (su babywearing e bisogni indotti)
Portare i bambini è una pratica meravigliosa. Non solo perchè è qualcosa di comodo, dolce e sicuro. Ma perchè risveglia negli adulti delle meravigliose competenze: la capacità di accogliere, di osservare, di leggere i segnali, di sentire i bisogni ed i cambiamenti.
Ai bambini lascia la possibilità di esercitare e di non perdere le loro competenze naturali di mammiferi portati attivi e la potenza incredibile del linguaggio tattile che loro conoscono bene per istinto.
Ci offre l’occasione di sperimentarci nella manualità, nella sensibilità di riconoscere se il tessuto è ben teso, se la legatura è sicura, se siamo comodi. Una riflessione importante su noi stessi, sulle sensazioni che il corpo ci rimanda.
Come nell’allattamento e come nel massaggio per portare bene è necessario ascoltarsi, darsi tempo, costruire la pazienza con noi stessi, rispettare i segnali dei bambini e averne dei nostri riconoscibili che ci guidino per la strada giusta.
É necessario fermarsi, a volte ripetere, a volte ripartire da capo, a volte anche desistere per riprovare poi in un altro momento.
É necessario staccarsi un pochino dai tempi stretti della vita normale, a volte è necessario rinunciare apparentemente alla praticità, investire tempo ed energie nell’apprendere la tecnica giusta, nel sentirla bene, nel sentirsi bene.
E soprattutto pensare intensamente che la giusta via è nelle nostre mani, che noi siamo in grado di ottenere un ottimo risultato e che quel risultato dipende per lo più da noi stessi.
Essere genitori oggi significa andare in contro ad una marea di pregiudizi e di giudizi. Significa andare incontro ad un numero incredibile di persone, dalle più diverse formazioni e specializzazioni, che emettono sentenze con una facilità disarmante, che danno ricette, metodi, soluzioni, che progettano oggetti per “risolvere” le difficoltà.
Tutta la società porta i genitori a pensare che la soluzione alle difficoltà dell’essere genitori sia “fuori”.
Per portare la pace, il ciuccio.
Per dormire, libri e manuali.
Per educare, metodi e regole.
Per allattare, paracapezzoli e cuscini specifici quando non sono biberon e simili.
Per tranquillizzare e contenere, complicati involtini di tessuto.
Per spiegare, sindromi sempre nuove.
Per portare i bambini la fascia esclusiva, “super-sostenitiva auto-legante”.
Non che queste cose non servano in assoluto. Possono servire in determinati casi, in occasioni particolari o anche soltanto per adeguare l’esperienza della genitorialità agli inevitabili ritmi della vita quotidiana.
Ma non sono indispensabili.
Concentriamoci su noi stessi, sulla forza della nostra natura e del nostro amore.
Usiamo gli strumenti, non diventiamone schiavi.
Per ognuno degli scopi per cui inventano oggetti, la Natura ci ha fornito le soluzioni. Nella nostra pelle, nelle nostre braccia, nei seni, nella semplicità dello stare vicini, dello stare in ascolto.
Perciò, tornando al portare: per portare i nostri bambini in primis abbiamo le braccia. E quello sono lo strumento più importante.
Poi abbiamo le risorse dentro di noi: la capacità di gestire un tessuto, di legarlo al meglio. Magari qualcuno ci insegna o attraverso un libretto di istruzioni, o un video o meglio ancora dal vivo in una consulenza.
Ma apprendere una tecnica significa risvegliare e sviluppare capacità esistenti dentro di noi. Non significa appoggiarsi a qualcosa che viene da fuori. Per questo una brava consulente, o istruttrice che sia, non crea dipendenza nei “suoi” genitori ma anzi li spinge a sperimentarsi, li sostiene nel mettersi alla prova.
Un buon supporto è fondamentale perchè tendiamo giustamente ad una buona qualità del portare per noi e per i nostri figli. Ma un buon supporto non è necessariamente un supporto molto costoso né molto elaborato. E la grande differenza la fanno, come sempre, le mani. Le mani che annodano, che legano.
Se ci sentiamo scomodi, se sentiamo i nostri bimbi a disagio, prima di pensare di aver bisogno di comprare altro soffermiamoci ad ascoltare cosa c’è che non va, a fare attenzione alla tecnica con cui abbiamo legato, al rispetto delle “regole d’oro” del portare in sicurezza e correttezza.
La risposta quasi sempre è dentro di noi, è nelle nostre capacità e nel nostro impegno, nella nostra pazienza, nella nostra accuratezza.
Se abbiamo la forza ed il coraggio di portare verso l’interno ogni questione, vi troveremo ogni risposta e la nostra forza ed il nostro coraggio saranno sempre un po’ più saldi.
Ogni volta che cerchiamo la risposta fuori siamo un po’ più dipendenti, un po’ più fragili.
No.
Non è vero che per portare un bimbo grande per forza serva una fascia con la canapa o con la grammatura di un tappeto persiano.
Serve magari una legatura ben fatta e a più strati di tessuto. Le legature veloci per cui usare le suddette fasce-tappeto sono comunque indicate per tempi o percorsi brevi. Un bimbo grande portato a lungo in una legatura monostrato ancorché fatta con il tappeto di Aladino, finirà per sovraccaricare troppo il genitore e per non star comodo nemmeno lui. Cosa che non accadrà con una legatura triplo sostegno ben fatta anche se eseguita con una fascia a grammatura medio bassa.
Non è vero che una fascia per poter portare i nostri bambini debba costare almeno 100€.
Oggi sul mercato ci sono soluzioni lowcost che offrono qualità discrete quando addirittura non ottime. Così come ci sono proposte economicamente molto impegnative che non competono con le cosiddette “low cost” in quanto a certificazioni su provenienza e qualità di tessile e colorazioni.
Non è vero che servono tanti supporti.
Anzi, spesso i bambini che crescono con una sola fascia ne fanno un oggetto del cuore, carico di ricordi belli e sensazioni positive. Ed è bello pensare che ogni bambini abbia una fascia che ha condiviso per un po’ con la sua mamma e che gli servirà a sua volta per portare i suoi figli (o mal che vada per dormirci in campagna).
Bisogna imparare, mettersi in gioco, darsi tempo, fallire e riprovare. Bisogna investire energie e minuti preziosi. Prendere il ritmo in sintonia con i piccoli. E poi uscire e pure comprare una fascia nuova ma come si compra un vestito sfizioso: perchè ci va e ci piace non perchè “ne abbiamo bisogno”.
Quello di cui abbiamo bisogno, davvero bisogno, è di ri-scoprire il nostro grande potere, la nostra immensa potenzialità.
Quello di cui hanno bisogno i nostri bambini è di amore, di un paio di braccia, di seni da succhiare.
(Veronica)
La strada tortuosa
Chi non ha mai visto un bambino sorridere felice davanti ad un regalo? La maglietta piena di brillantini, il camion pieno di luci, il bambolotto che fa cacca-pipì-chiamamamma e via dicendo, o anche solo un colorato lecca-lecca o del cioccolato o il gelato dopo un pranzo qualsiasi o…
I bambini adorano i regali. Anzi, se me lo consentite, le persone adorano i regali. Ed è facile, facilissimo, ricordarsi con benevolenza di chi ci fa un regalo o di chi ci abitua a riceverne molti.
Grandi o piccoli che siano, basta che siano qualcosa di speciale.
Per chi vuole attirare l’attenzione di un bambino o guadagnarsi (comprarsi?) un posto speciale nel suo cuore, la strada più facile è quella dei regali.
Il vero problema è che spesso ci si presenta come l’unica strada possibile: l’abitudine alle autostrade ci fa scordare le strade statali che si inerpicano sui monti, questo è normale. Comode e veloci sono da sempre preferite fino a sembrare le uniche opzioni. E non importa se alla fine dobbiamo pagare il pedaggio.
Così nella relazione con i piccoli.
Usciti a stento (o forse ancora nemmeno del tutto) dal periodo del distacco forzato, della non-relazione, dell’accudimento come risposta consumistica al bisogno, ci ritroviamo senza opzioni. Ci hanno abituato a “compensare” la distanza ammucchiando oggetti.
L’autostrada.
Solo che, in questo caso, il pedaggio non è solo il costo degli oggetti ma la perdita dell’opportunità di creare una relazione forte.
La strada tortuosa, di montagna, sconnessa e interminabile.
Perché la relazione è questo: è fatica, impegno e sudore. Mettersi in gioco, rivedere i nostri schemi, le nostre abitudini, le nostre categorie di giudizio è un procedimento che richiede molta energia, molta presenza.
Guadagnare (stavolta sì!) un posto speciale nel cuore di un bambino cercando i punti che ci uniscono a lui, accogliendo i suoi bisogni mentre insieme a lui li scopriamo, andare oltre la comunicazione verbale per cercarne una più efficace, rischiando tutto per affermare anche i propri irrinunciabili bisogni ma considerandoli “alla pari” con i suoi, è un lavoro lento, quotidiano, minuzioso, appassionato, stancante, costante, sfinente.
Ma il paesaggio traboccante d’amore e di comprensione che questa strada tortuosa ci offre non ha paragoni. Ed il pedaggio è solo il nostro impegno.
Questo articolo, sia ben chiaro, non ha l’intento di demonizzare i doni, anzi. Tutti amano i regali, come ho scritto. Questo articolo vuole essere più una specie di “suggerimento d’uso”. Proviamo a guardare gli oggetti oltre i loro colori. Proviamo a vederci il fine di cui noi stessi li stiamo caricando. E se è un bisogno d’amore, mettiamoli da parte per tirarli fuori quando, raggiunto il nostro obiettivo attraverso la relazione, potremo usarli come strumenti di celebrazione.
(grazie, Giorgia Cozza per il tuo “Bebé a Costo Zero“)
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