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Gli esperti di PURO CONTATTO Federica Pisaneschi

P1090996Federica Pisaneschi
  • Radiochimico;
  • Ricercatore in oncologia;
  • capoeirista;
  • Esperta “on the Job” di pannolini lavabili.

Che ci faccio qui fra gli esperti di puro contatto? Onestamente non lo so bene nemmeno io, ma sono stata invitata a scrivere il mio profilo e quindi eccomi qua. Ho 39 anni e sono mamma di Jacopo, diventato un angelo nel 2010, Bianca, un piccolo diavolo arrivato l’anno dopo e un altro aggeggino in arrivo nel 2014.

Sono una mamma come tante, senza esperienza specializzata nel settore, che ha allattato per 16 mesi e poi si e’ scocciata e ha deciso che era ora di leggere storie per la nanna, che ha portato ma onestamente ha usato di piu’ altri mezzi di trasporto e che crede fondamentalmente che una donna non smette di essere una donna quando diventa una mamma. L’unica opinione ‘estremista’ che ho in fatto di accudimento e’ l’alimentazione: autogestita (e per quanto riguarda la mia famiglia decisamente onnivora).
La sola vaga esperienza specifica che posso rivendicare e’ l’uso esclusivo fino allo spannolinamento (veloce) dei pannolini lavabili, quindi forse questo e’ il motivo per cui sono stata invitata a scrivere questo profilo.
Se mai volete salvare il pianeta dal cattivo odore dei U&G potete contattarmi!
Contatto:

Portare i bambini…fin da dentro la pancia!

legare il pancioneDa quando sono diventata consulente del portare con la Scuola del Portare, ho scoperto che con la fascia, si possono portare i bambini fin da dentro la pancia…e per me è stato un incredibile ampliamento di orizzonti.

Amo quando i cicli di consulenze cominciano dal pancione: il senso di continuità è totale, la componente emotiva altissima e serena. E quindi oggi voglio parlare proprio di questo, dei miei sentimenti sul portare il pancione.

Iniziamo da qualche dettaglio tecnico: il pancione lo si porta dall’ottavo mese di gravidanza e le possibili legature si scelgono in base all’epoca gestazionale esatta, al tipo di mamma, al tipo di pancia e…alla stagione! Tutte le legature sostengono il pancione non attraverso la compressione muscolare (come le terribili pancere!) ma attraverso la postura, per cui non vanno a sostituirsi ai muscoli addominali ma danno comunque molto sollievo.

Praticità

La mamma avvolge la fascia a se stessa, ne prova la sensazione piacevole di contatto, di carezza. Conosce il tessuto e la pressione leggera ma uniforme che la pelle ne riceve. Impara a lavorare i lembi, a drappeggiarli, tirarli, incrociarli, annodarli. Quando il suo bambino nascerà, la fascia non sarà più una sconosciuta e la competenza acquisita si trasformerà in maggiore sicurezza e disinvoltura nell’eseguire le legature per portare il suo piccolo.

Valore all’introspezione

Per l’intera gravidanza la mamma ha imparato ad ascoltare i cambiamenti del proprio corpo, a trovare nuove soluzioni di equilibrio, nuovi ritmi di riposo e di attività, nuove energie…a volte anche nuovi gusti alimentari! La legatura del pancione valorizza e agevola questa competenza, questa naturale consapevolezza: in ascolto di se stessa la mamma sente la sua pelle, i suoi muscoli, le sue ossa e sa già se ha bisogno di un sostegno deciso,di un sostegno più lieve, o solo di contenimento, di coccola. E così, parlando, si sceglie la legatura adatta.

Contenimento e preparazione al “passaggio”

Come farà con il neonato, la fascia fa con la mamma. Contiene ma non chiude, sostiene ma lascia crescere. Tante volte si è parlato e si parla  delle caratteristiche uterine della fascia. E queste caratteristiche brillano anche nel legare il pancione.

Un utero esterno che contiene la mamma, il suo corpo in espansione, la sua emotività accesa, il suo prepararsi per dare alla luce. Come in una specie di complicità in attesa del “passaggio di consegne”. La mamma e la fascia si conoscono, prendono confidenza.

Dopo il parto la fascia accoglierà il neonato come un eso-utero. Intanto avvolge la pancia, ne prende l’odore. Si fa conoscere dalla mamma: la delicatezza e la  morbidezza del tessuto che, giorno dopo giorno, cede un pochino di più, si adegua alle forme e contiene senza dare la sensazione di bloccare, come a comunicarle: “ecco, ti puoi fidare di me, il tuo bambino starà bene”.

La fascia è lo strumento migliore per offrire al neonato una gradualità tra la vita intra ed eso-uterina. Altrettanto, è lo strumento migliore per offrire la stessa gradualità di passaggio alla mamma. Soddisfa il bisogno di sostegno, di contenimento, di coccola del neonato e soddisfa gli stessi bisogni nella mamma che si prepara a far nascere. Diviene il “bozzolo” protettivo che presto vedrà volar via la farfalla più bella. La fascia non è una pancera, è ancora una volta qualcosa di emotivo, di estremamente in sintonia con l’evoluzione di chi vi si lascia avvolgere.

saraQuando diventiamo madri, fin dalle prime settimane di gravidanza, il mondo intorno perde i suoi confini soliti. Acquisisce inusuale importanza la simbologia, si fondono la realtà e l’immaginario emotivo, il nostro centro di attenzione primario si sposta dall’esterno all’interno per seguire i cambiamenti del corpo, i movimenti della nuova vita che cresce. Ci circondiamo di un bozzolo emotivo di sogni, di paure, di coraggio, di amore, di ascolto, di capacità di darsi totalmente e allo stesso tempo di rinchiudersi , di mettere confini al mondo esterno, di costruire un rifugio sicuro che sia un luogo fisico e un luogo dello spirito.

Come faccia un pezzo di stoffa colorato a sapere e a saper accompagnare tutto questo, è uno dei più bei misteri del portare.

Veronica

(Grazie alla preziosissima collega Barbara Ronzani per il disegno e a Mamma Sara per la foto!)

Consulente del portare…ma che strano mestiere!

ImageOggi voglio scrivere un articolo apparentemente “commerciale”.

Sono una consulente del portare (e lo sono anche diverse delle esperte di “purocontatto”): ma che strano mestiere!

Oggi voglio proprio parlarne perchè ovunque leggo dubbi e domande.

“ma a cosa serve una consulente del portare?”

“E c’è bisogno di pagare un professionista con tanti video su Youtube?”

“cioè tu insegni ad usare i marsupi?”

“ma le donne africane portano da generazioni e non hanno bisogno di pagare nessuno, perchè dovremmo farlo noi?”

“ma come si può chiedere soldi per diffondere una cosa così bella e naturale?”

Insomma, a sentire in giro, dovrei cambiar mestiere! Perciò, in punta di piedi, oggi voglio proporvi un punto di vista diverso, il punto di vista di chi ha fatto una formazione specifica per diventare professionista in un ambito che ama tanto e di cui sente forte il valore profondo.

Andiamo con ordine, partendo da dove tutto comincia: il portare.

Portarsi i bambini addosso, ma perchè? Con tante opzioni che ci sono oggigiorno…roba da alternativi!

Certo che ci son 1000 modi per trasportare i bimbi! Ci sono oggetti, giocattoli, braccia e chi più ne ha più ne metta. Però portarli in fascia è comodo per entrambi: non ingombra, lascia le mani libere a chi porta, ai piccini offre una posizione comoda, fisiologica, piacevole sia fisicamente che emotivamente perchè li tiene vicini al nucleo del loro mondo: i suoi genitori.

Perché non usare i marsupi classici? perché non rispettano la fisiologia del neonato, lasciandolo “appeso” invece di assecondare la cifosi naturale della schiena che è la condizione migliore per lo sviluppo muscolare. Perché non rispettano neppure la fisiologia di chi porta scaricando totalmente su punti sensibili come il trapezio e offrendo una posizione sbilanciata rispetto al proprio baricentro. Perché “penzolano” e così facendo pesano assai.

Perché usare una fascia, allora? Perché è uno strumento estremamente adattabile, versatile, incredibilmente uterino (ricrea, se ben usato, un ambiente molto simile a quello che i neonati vivevano dentro il pancione consentendo una sorta di “accompagnamento” graduale e non traumatico verso il mondo esterno). Perché con la fascia si possono portare i bambini dalla nascita a tutti i primi anni di vita semplicemente cambiando legatura e posizione: insomma un investimento davvero duraturo, come pochi lo sono nel mondo dell’infanzia.

Perché scarica il peso del bimbo egregiamente ed in maniera equilibrata. Perché rispetta la fisiologia del neonato, lo rassicura, definisce i suoi confini. Perché tenendolo aderente al corpo del genitore,  gli consente di “leggere” il di lui movimento agevolandone lo sviluppo psico-motorio e la coordinazione. Perché le fasce ben fatte hanno certificazioni internazionali sulla provenienza dei filati e dei colori che ne garantiscono la sostenibilità e la sicurezza per i bambini (che amandole moltissimo ci si strusciano, avvolgono, se le ciucciano a non finire).

Sì, va bene, bella la fascia, ma…e queste consulenti o istruttrici, a cosa diamine servono?

A riempire il “vuoto” di competenze in cui i genitori si trovano a nascere nelle nostre città. La destrutturazione della famiglia allargata; la predominanza del mercato di articoli per l’infanzia sul sapere tramandato di generazione in generazione; la continua offerta di nuovi oggetti, nuove soluzioni, nuove invenzioni; la predominanza di modelli di accudimento a “basso contatto” che spingono a procurare al neonato un’autonomia precoce attraverso la distanza fisica dai genitori: tutto questo provoca un vuoto in cui i neo genitori spesso si trovano a sguazzare, addirittura arrivando a dubitare delle proprie capacità e dei propri istinti. Una consulente del portare può riempire questo vuoto con le proprie competenze acquisite: sostiene i genitori nelle loro scelte, ne valorizza il sapere naturale, asseconda il loro istinto, legge i loro bisogni e quelli del loro bambino. E poi passa anche tecniche per legare le fasce portabebé in modo sicuro, pratico, ottimale.

Una consulente aiuta a scegliere il supporto migliore a seconda delle esigenze dei genitori e del bambino, insegna ad usarlo e ad usarlo nel modo migliore per la famiglia che ha davanti ed i suoi specifici bisogni.

Una consulente si sofferma sui dettagli che son quelli che, poi, fanno davvero la differenza.Image

Una consulente, infine, fa da ponte tra le famiglie che, se vogliono, possono così ricreare quella rete di legami, quell’essere comunità che tanto ci manca.

E, no, non parlatemi delle donne africane che non han bisogno di consulenti: sono donne che hanno un’eredità culturale e tecnica da noi irrecuperabile. Perchè portare si portava anche qui in Europa ma non c’è bisnonna che se lo ricordi ancora, ormai…Image

E non credo nemmeno che youtube possa essere una buona soluzione. Certo che si può imparare a portare da un video. A seconda di come si è, se si è portati o meno a quel tipo di comunicazione. Ma un video, certamente, non ascolta le esigenze di chi vuole imparare, non sa consigliare una legatura o l’altra a seconda di chi porta  e del portato. Un video non si accerta dello strumento che chi impara sta usando né sa consigliare ad hoc un supporto “giusto” per la coppia portato-portatore, non sa superare le difficoltà di chi impara, trovare nuove soluzioni, rincuorare e rassicurare per evitare l’abbandono. In più, a voler essere puntigliosi (o forse solo attenti osservatori) , la jungla di video sul portare in cui ci si può addentrare è senza parametri di qualità per cui, se non si han già competenze in merito, si rischia di incappare in video terribili sia per tecnica che per approccio.

Infine, arriviamo al punto dolente. Una consulente si fa pagare. Intendiamoci, non son cifre esorbitanti, però una consulente richiede un compenso. Normalmente un compenso pari o addirittura inferiore ad un qualsiasi idraulico o meccanico, per non parlare di estetiste, parrucchieri e quant’altro. Con la differenza che gli interventi di quest’ultimi sono interventi a breve scadenza (quanto può durare una ceretta?) mentre una consulenza permette di portare bene il proprio bimbo per mesi, se non addirittura per anni.  Ma pare faccia strano che qualcuno che si occupa di una cosa così “alternativa” voglia pure farsi pagare.

Mi piace il mio lavoro. Mi piace portare in primis. Credo profondamente nei benefici, nella comodità e nella magia del portare. Vorrei che tutte le mamme potessero provare le belle sensazioni che ho provato io portando i miei figli (specie da quando ho acquisito competenze specifiche: garantisco che la differenza è abissale!). Mi piace vedere le mamme e i papà che mi salutano contenti e soddisfatti di aver imparato, di essere bravi, di aver potuto cancellare pregiudizi, reticenze, perplessità. Adoro tutto questo.

Ma per arrivare a vivere questi momenti io e tutte quelle che fanno il mio mestiere (consulenti o istruttrici che siano), ci siamo preparate.

Il corso che ho frequentato per diventare consulente con la Scuola del Portare di Roma è un corso di 80 ore circa (arrotondando per difetto!) in cui si studiano le tecniche di legatura ma non solo. Si studiano l’origine del portare, la fisiologia, le potenzialità relazionali, le esigenze differenti, i vari supporti e le loro caratteristiche. Si accennano le basi della comunicazione non violenta per sostenere al meglio i genitori nelle loro scelte e nei loro bisogni. Per ottenere la certificazione è necessario, inoltre, un lavoro a casa di produzione e di ricerca piuttosto complesso. E facciamo tutto questo proprio perché per noi il portare è una cosa seria e preziosa; perché chi impara a portare bene porta in sicurezza, a lungo e con soddisfazione; perché i genitori meritano tutta l’attenzione e la competenza che possiamo offrire; perché i bambini sono il futuro ed il futuro va accolto nel migliore dei modi possibili; perché non è un compito da poco sostituire le tradizioni tramandate di madre in figlia.

Tutto questo richiede passione, dedicazione, tempo, preparazione, continui aggiornamenti. Bisogna mettersi in discussione, abbandonare il giudizio in favore dell’empatia, imparare ad anteporre il rispetto a tutto il resto. É un lavoro faticoso, delicato, complesso…seppur bellissimo!

Per questo ci facciamo pagare. Per questo vale la pena fare un corso. Per questo son contenta di fare questo strano mestiere.

Veronica

Per fare tutto, ci vuole un fiore


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L’appennino tosco-emiliano quest’estate ci ha regalato una fioritura di cicoria maestosa, il ciglio della strada da Sasso Marconi a Badolo a luglio era un’unica striscia blu-viola. Cicory, tra i fiori di Bach è quello sicuramente più indicato per lo stereotipo di mamma mediterranea possessiva, che tiene la famiglia sotto controllo e che tende a limitare i figli nella loro espressione…la mamma chioccia, non certo la mamma puro-contatto.

Devo dire che questo tipo di mamma non va più tanto di moda tra le donne della mia generazione, spesso sono le nonne ad aver bisogno di questo fiore, mentre le mamme, soprattutto se al primo figlio, sono sempre più informate, attente, consapevoli, sanno cosa è giusto fare o non fare in gravidanza e con i cuccioli…fino a quando non incontrano il classico esperto poco empatico che mette in discussione le loro certezze e le loro scelte. Con un cocktail ormonale sempre in movimento non è semplice mantenere una parvenza di stabilità e si sa che nessuno riesce a resistere alla tentazione di dare qualche consiglio non richiesto ad una panciona o a chi spinge una carrozzina, e alla lunga, queste ingerenze possono destabilizzare o confondere.

Dal mondo della floriterapia abbiamo però dei validi aiuti per proteggere la nostra bolla: primo tra tutti il fiore inglese (di Bach) Walnut che ci aiuta a gestire i cambiamenti e a proteggerci dalle influenze esterne; tra i fiori californiani tutte le achillee, in particola modo Yarrow per chi fatica a stabilire i giusti confini con l’esterno e Pink Yarrow per chi è ipersensibile sul piano emotivo oppure direttamente il mix Yarrow Enviromental Solution che attiva le endogene capacità di difesa; tra i fiori Australiani è ottimo il mix Self-Confidence per rafforzare l’autostima e la capacità di portare avanti le proprie scelte, ma anche Equilibrio Donna per armonizzare l’attività ormonale oppure Transition per accompagnare le fasi di transizione.

Stare nel verde, respirare all’aria aperta, passeggiare nei prati e nei boschi, bere acqua di fonte, immergersi nell’acqua dei ruscelli, dei fiumi, dei laghi e dei mari, mangiare frutta e verdura di stagione, sono sicuramente il miglior aiuto che la natura può dare alla nostra salute e alla salute dei nostri figli, ma per chi lavora in ufficio, vive in città, non vede un albero per settimane intere…la natura può continuare a dare il proprio prezioso aiuta tramite le meravigliose proprietà delle piante e dei rimedi floreali. Le donne aborigene australiane partorivano in un a buca piena di fiori di Baobab se la stagione lo permetteva: tra i rimedi australiani Boab aiuta a liberarsi proprio dai condizionamenti dell’ambiente di origine, quindi questa tradizione rappresentava una specie di battesimo purificatorio, un inno alla libertà.

Tutte le volte che la mia bimba grande mi porta amorevolmente in dono un fiore io le dico che è un peccato staccare dei fiori perché li condanniamo ad appassire prima, ma lei non desiste e ora anche la piccola si è messa a portarmi dei boccioli…forse mi devo rassegnare e accettare i loro doni senza tante storie!

Rossella

contatti:  sarasswati2000@libero.it

Come scegliere un olio da massaggio

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Come scegliere un olio da massaggio?

Questa domanda viene posta molto di frequente dalle donne in attesa che vogliono prendersi cura di loro stesse e dai neogenitori che hanno voglia di fare un massaggino alla loro prole, magari prima o dopo il bagnetto, o come momento di intimità al risveglio, o prima di andare a letto.

Ci sono alcune regole che ci permettono di scegliere in base ai nostri gusti ed esigenze.

Vi propongo il mio criterio di scelta, basato sulla mia esperienza, premesso che esistono olii da massaggio ottimi e “già fatti”.

La prima regola è: olii vegetali spremuti a freddo (e biologici, per me, ma regolatevi in base al vostro criterio!).

La pella assorbe le sostanze contenute negli olii, perciò è importante conoscere la quaità di ciò che andiamo ad applicarvi, inoltre i bambini si leccano ed esplorano con la lingua. Conviene, quindi, che gli proponiamo di assaggiare prodotti commestibili – non pesticidi, nè la paraffina contenuta in molti olii da massaggio industriali, che, anche se può essere apprezzata da alcuni massaggiatori, non è certo da considerarsi alimentare.

La seconda regola è: niente profumi. Intanto perchè coprono gli odori della pelle nostra e del bambino, creando disorientamento, in secondo luogo perchè gli olii essenziali e i profumi sono veri e propri farmaci, che entrano nella pelle e vengono metabolizzati, ed hanno un effetto, che forse non vogliamo, o che potrebbe essere eccessivo per un bimbo piccolo o per una donna in attesa. Se desiderate attingere alle virtù aromatiche delle piante, utilizzate l’olio essenziale diffondendolo nell’aria, piuttosto che tramite il contatto diretto con la pelle.

La terza regola è: occhio alle intolleranze.

A causa del suo odore delicato e della consistenza piacevole viene spesso consigliato l’olio di mandorle dolci o l’olio di germe di grano, ma entrambi contengono allergeni! Accertiamoci che non ci diano problemi, in caso contrario ci sono molte alternative: l’olio di argan, l’olio di jojoba, il burro di karitè, ovviamente se usati in purezza, ossia così che siano privi di aggiunte misteriose e possano essere tranquilamente ingeriti ( e aggiungerei biologici, se lo desiderate, e sempre spremuti a freddo, in quanto il calore altera le proprietà organolettiche dell’olio).

Il contro di questi prodotti è che potrebbero avere un costo elevato.

Conviene dunque, seguendo la tradizione dell’ayurveda, ma anche della nostra erboristeria tradizionale, rivolgersi a prodotti alimentari, di cui conosciamo la provenienza: possiamo scegliere tra l’olio di crusca di riso, l’olio di sesamo, l’olio di semi di vinacciolo (questi due possono anche essere miscelati), l’olio di girasole, l’olio di senape (magari sempre diluito con olio di sesamo), l’olio di cocco, senza dimenticare ciò che in Italia possiamo reperire quasi ovunque a un costo ragionevole: un ottimo extravergine di oliva, magari dal gusto delicato.

La quarta regola è: se è naturale spesso irrancidisce facilmente! compra confezioni piccole o conserva in frigo.

Qui le caratteristiche specifiche di ognuno di questi prodotti, che potete controllare online in uno dei tanti erbari, o su un buon manuale di erboristeria, secondo una mia breve sintesi:

olio di mandorle dolci:

delicato, emolliente, contiene vitamina A e vitamine del gruppo B

olio di germe di grano:

nutriente, adatto in caso di pelle secca e delicata, contiene vitamina E

olio di argan:

ricco di vitamina E, idratante e aninfiammatorio

olio di jojoba:

elasticizzante, leggero, di rapido e facile assorbimento

burro di karitè:

lenitivo e antibatterico, può essere usato sulle mucose, così come sulla pelle lesionata, nutriente, antinfiammatorio, protegge naturalmente dai raggi solari

olio di crusca di riso:

emolliente, antinfiammatorio, protegge naturalmente dai raggi solari

olio di sesamo:

idratante, riscaldante, adatto a ogni tipo di pelle, protegge dai raggi del sole

olio di vinacciolo:

antiossidante, ricco di polifenoli, contiene vitamina E

olio di girasole:

lenitivo, ricco di vitamina E, delicato

olio di senape:

riscaldante, tonificante, aiuta la circolazione sanguigna, ottimo d’inverno

olio di cocco:

lenitivo ed emolliente, ottimo d’estate perchè rinfrescante, profumato

olio extravergine di oliva:

contiene vitamine A ed E, cicatrizzante, elasticizzante, rigenerante, previene ed aiuta in caso di dermatiti

Questi olii possono anche essere miscelati tra loro, per farci ottenere un prodotto piacevole per odore e consistenza (il che è soggettivo!), più o meno consono alla stagione e che, contemporaneamente, non generi reazioni sulla pelle, dunque disagio.

massaggiate, massaggiate, massaggiate!

* postilla: cosa NON è un olio da massaggio.

Quando parliamo di olio da massaggio intendiamo una base neutra, come ad esempio l’olio di jojoba o l’olio di cocco, che, pur avendo caratteristiche chimiche e organolettiche specifiche, non rientra nella categoria dei fitoterapici, ma piuttosto dei cosmetici o degli alimentari, e come tale ha certamente un effetto, ma non paragonabile a un effetto farmacologico. Può contenere conservanti e coloranti, può essere aromatizzato, può essere o meno naturale. La nostra scelta sarà dovuta al gusto personale e all’esperienza soggettiva.

esistono, poi, oli che possono essere utilizzati per il massaggio in circostanze specifiche, ma che contengono dei principi attivi: naturalmente possiamo utilizzarli per massaggi in casi specifici, ma non sono semplicemente oli da massaggio. solitamente, nel caso si tratti di prodotti naturali, ci possiamo aiutare con le preposizioni: l’olio di oliva è ottenuto dalla spremitura meccanica delle olive, l’olio all‘iperico è un olio solitamente di jojoba o di oliva, che è stato tramutato in un oleolito, ossia in cui è stato lasciata in infusione una pianta, l’iperico, per estrarne il principio attivo: questo principio attivo fa rientrare l’olio all’iperico, all’arnica etc. etc. in una categoria differente, che è quella dei fitoterapici. perciò, non è un olio da massaggio, anche se naturalmente un massaggio con l’olio all’iperico può essere utile in certe situazioni: ma non in altre, anzi. questi prodotti sono normati dalla legge italiana, che punisce la loro prescrizione se fatta da persone non aventi titolo per farla. la pelle è l’organo più grande del nostro corpo, beve e respira, e pensare che una sostanza venga assimilata meno, perchè a contatto ‘solo’ con la pelle, significa dare troppo poca attenzione a questa parte di noi, così importante. durante la gravidanza, l’allattamento e nei primi anni di vita dei nostri bambini, dobbiamo avere accortezze particolari, perchè si tratta di momenti particolari della nostra vita, in cui abbiamo esigenze particolari, che vanno amorevolmente rispettate. chiediamo consiglio a qualcuno che sia competente, se siamo nel dubbio su un prodotto, prima di utilizzarlo. per quanto un prodotto naturale possa essere meglio assorbito e tollerato dall’organismo rispetto ad uno di sintesi, non dimenticate che è insito nel significato della parola farmaco il fatto di poter essere qualcosa che ci aiuta o che ci danneggia, a seconda dei casi, e che oli essenziali e estratti sono, a tutti gli effetti, farmaci.

Margherita

contatti: lamelamara@gmail.com

Benedire i figli

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Questo articolo mi sta frullando in testa da un bel po’ di tempo. Ma è un articolo confusionario, che mette tanta carne al fuoco e davvero non son sicura di riuscire a trasmettere quel vortice di associazioni mentali che mi si scatena ogni volta che penso alla benedizione.

Da tempo immemore abbiamo rilegato la benedizione all’ambito religioso…o chi sa non gli sia sempre appartenuta! Certo è che vi abbiamo piano, piano completamente rinunciato lasciando l’atto di benedire alle guide spirituali.

Da quando ho scelto il Brasile come mia seconda patria, ho incontrato la benedizione nelle case: i bambini la chiedono agli adulti di casa al mattino appena svegli e la sera prima di dormire. La chiedono porgendo la mano destra da baciare e baciando a loro volta la destra di chi li benedice. Gli adulti interrompono le proprie occupazioni e si concentrano sul bambino, lo guardano negli occhi, e gli augurano tutto il bene, in nome di Dio ma anche senza necessariamente doverlo tirare in ballo.

L’ho sempre trovato un momento di estrema dolcezza e comunicatività.

Ma non sarebbe sufficiente, forse, per scrivere un articolo. E qui entrano in gioco le associazioni mentali.

Nel mio quotidiano di mamma mi rendo conto ogni giorno di quanti messaggi negativi passiamo ai nostri bambini.

“Sei ancora troppo piccolo, non ce la fai”

“Attento, ti fai male, non sai usare questo strumento”

“Suvvia ma non vedi che sei piccolo, cosa pretendi di fare?”

“Aspetta, ti aiuto io sennò non ce la fai”

E tanti altri.

Sono frasi spontanee, dettate dall’amore, dall’attenzione e dall’istinto di protezione.

Ma inevitabilmente sono frasi che tendono a calare una piccola coltre di sfiducia nelle capacità dei piccoli.

L’ideale sarebbe fidarci di loro e guardarli da lontano, fare i “genitori pigri” insomma. Ma non sempre è facile o possibile. Non tutti siamo uguali e veniamo da storie e percorsi diversi. E’ necessario rispettarsi.

Potremmo, forse, lavorare sulla comunicazione, sul nostro modo di richiamare o di intervenire ma, di nuovo, non sempre è facile o possibile, non sempre è naturale, non sempre ci sentiremmo a nostro agio.

Io non sono una psicologa né un’esperta in comunicazione, ma adoro i momenti un po’ magici che ci ricaricano le energie, che ci mettono in contatto. Ed in mezzo a tanti messaggi negativi “involontari”, penso che potremmo riscoprire, illuminandola di nuova luce, l’antica consuetudine di benedire. Un messaggio totalmente positivo, totalmente consapevole, tenero e serio come lo sono i momenti di vero contatto.

Un momento, ad inizio o fine giornata, in cui guardiamo i nostri figli negli occhi e diciamo loro tutto il bene e soltanto il bene. Un momento di contatto di pelle e anima.

Potremmo, così, forse, strappare la benedizione al contesto religioso e restituirla alla sua etimologia. Potremmo benedire i bambini, con questa o con altre parole. In nome di Dio o nostro o dell’amore o della fiducia, o di quello che di più bello sentiamo nel cuore.

Potrebbe essere un momento sacro, un rituale prezioso per dir loro: ti amo e credo in te, nelle tue capacità, anche se a volte sono pauroso, anche se a volte sono apprensivo, anche se a volte sono troppo ingombrante. Ti benedico, ti auguro tutto il bene che meriti, sono certo che tu sia un essere umano meraviglioso e che lo sarai sempre.

Veronica

Maternità e sindrome del derby

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Non so se sia lo stesso anche altrove ma qui in Italia sembra che tutto sia condizionato da una sorta di inarrestabile sindrome del derby. O con me, o contro di me. Bianco o nero.

Sono ormai 4 anni che frequento mamme in consultori, corsi pre e post parto, ludoteche, gruppi sui social network e via dicendo.

Sembra che qualsiasi esperienza di maternità debba essere incanalata, rapportabile ad una sola scelta di maternage, ligia e perfetta secondo i canoni della strada prescelta.

O allatti per anni o sei contraria all’allattamento.

O ti tieni i figli nel letto a scapito pure del marito o pratichi Estevill.

O hai speso 1400€ in un trio all’avanguardia o altrettanti in fasce e marsupi ergonomici.

O sei “ad alto contatto” o sei “a basso contatto”.

E sembra così importante appartenere ad una squadra che per farlo le mamme si informano, si testano nel percorso, chiedono conferme e pareri, non si risparmiano attività di propaganda. Che siano dell’uno o dell’altro team. Per essere riconosciute e per potersi riconoscere in una delle due squadre, tante mamme e tante famiglie compiono scelte “dettate” da regole e opinioni altrui che non appartengono loro.

“Ma sarò abbastanza accogliente?”

“Ma sarò abbastanza severa?”

Ed è forse questa l’origine dell’infelicità così diffusa.

Qualsiasi scelta che facciamo per noi ed i nostri figli dovrebbe assomigliarci. Dovrebbe rispecchiare le nostre caratteristiche, dovrebbe rispettare i nostri bisogni fondamentali. In una parola, dovrebbe essere naturale. E non necessariamente nel senso più mammifero del termine: ogni mamma dovrebbe saper leggere, sì, i bisogni primari del proprio figlio, ma dovrebbe anche comportarsi secondo ciò che si sente di poter/dover fare insieme al proprio bambino.

Ed in questo  dovrebbe essere comunque supportata. Perché qualsiasi mamma che farà una scelta non consapevole e non adeguata a se stessa come essere umano, e come donna in particolare, sarà una mamma affaticata e una donna infelice e manderà costantemente messaggi contrastanti ai propri figli.

Il primo e più importante contatto che bisogna curare è quello con noi stesse. Approfittare della maternità per chiarire definitivamente a noi stesse come siamo, chi siamo, ciò che vogliamo o possiamo fare.

Assumiamo un atteggiamento schietto e sincero, proviamo a sostituire il concetto di “sacrificio” con quello di “condivisione”. Mettiamo dei punti fermi laddove stanno i nostri valori irrinunciabili e degli obiettivi laddove sentiamo di dover crescere, migliorare, cambiare.

Ogni bambino è felice della sua mamma nel momento in cui percepisce che lei è davvero così come gli si presenta, che i suoi comportamenti sono armoniosi con la sua personalità, che lei lo ama e fa di tutto quanto in suo potere per trasmettergli questo amore.

Purocontatto vuole essere il luogo in cui si accolgono le mamme. In cui si trovano informazioni ma allo stesso tempo si da valore alle differenze e – soprattutto – alla consapevolezza delle proprie scelte.

Questo breve appello alla semplicità è scaturito grazie a due amiche. Sono due persone molto diverse tra loro e molto diverse da me. Ma abbiamo tutte e tre delle cose in comune.

La cosa più bella che, credo, condividiamo, è l’essere esattamente come siamo in ogni ruolo. Incluso quello di mamme.

Una di loro, quando le proposi di far parte dello staff di purocontatto, mi disse “Ma io non son sicura di essere una mamma da purocontatto: ho portato ma ho usato anche tanto il passeggino, ho allattato ma mi son pure stufata, e non ci penso nemmeno a dormire tutti insieme”.

In verità non esiste la mamma da purocontatto. O meglio, esiste: è ogni mamma che è o che vuole essere in contatto con se stessa prima di tutto. Ogni mamma che si rispetta, che rispetta i suoi limiti e valorizza i suoi pregi. Che rispetta i propri tempi e cerca il punto d’incontro con quelli del suo bambino. Quella mia amica è una delle mamme più “purocontatto” che io conosca.

L’altra amica mi chiama affettuosamente “l’extracomunitaria” quando mi vede con le mie fasce ed i miei figli attaccati al seno. Una volta mi disse “Sono proprio fortunati i tuoi bimbi ad avere una mamma così mamma come te”. Ed invece il suo meraviglioso, geniale, amatissimo bambino se ne uscì al tempo con un “Mamma sai, prima di nascere c’erano un sacco di mamme in fila davanti a me. Ed io ho scelto te”.

Un bambino fortunato, né più né meno dei miei.

Quello che siamo viene dalla storia della nostra società, dalla storia del nostro Paese, delle nostre città, della nostra famiglia. Dalla nostra storia.

Sia quel che sia, il “naturale”, il “fisiologico”, devono per forza confrontarsi con quello che noi siamo: è importante avere le giuste informazioni ed il giusto sostegno per poter lavorare su noi stesse. Chiarire innanzitutto come e dove possono arrivare le nostre forze, la nostra volontà, il nostro piacere. E poi, forse, riflettere su cosa abbiamo perso, cosa possiamo recuperare, cosa ci ha portato fin qui.

Roma, purtroppo, non è stata fatta in un giorno. Né in un giorno può essere cancellata.

Stiamo in contatto. Confrontiamoci a cuore aperto e senza sindrome del derby. C’è possibilità di crescere per tutte noi.

Veronica

La qualità dell’amore (sul portare i bambini)

Premessa: ho scritto quattro volte quest’articolo. Affrontare il lato simbolico di quel che quotidianamente facciamo è difficile e radicale. Ho cercato con tutta me stessa di non esprimere condanna e nemmeno critica ma solo di analizzare ciò che spesso viene dato per scontato, ciò da cui io per prima come donna e come mamma sono passata. Spero d’esserci riuscita.

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Nelle società cosiddette “primitive” i bambini si portano addosso, o in braccio o con appositi supporti. Si portano prevalentemente sulla schiena, a volte sul fianco, mai davanti.

Il motivo pratico di queste scelte è abbastanza evidente: sono posizioni molto comode per lavorare o camminare o muoversi molto.

La base relazionale che le rende possibili invece è più nascosta e si basa sulla competenza genitoriale nel percepire ed interpretare correttamente i segnali fisici che il cucciolo manda al portatore. La comunicazione avviene in modo assolutamente efficace attraverso il contatto epidermico per cui non è assolutamente indispensabile né funzionale il contatto visivo.

Nel nostro mondo, invece, in cui questo tipo di competenza è andata giorno, giorno scomparendo rimpiazzata da un frequentissimo senso di inadeguatezza o insicurezza, il contatto visivo è fondamentale. Abbiamo bisogno di VEDERE che tutto va come deve andare, di GUARDARE il nostro piccolo per comunicargli la nostra presenza. Da noi, chi ha un bimbo molto piccolo, lo porta davanti.

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Raccolto sul petto di chi lo porta, il bambino è dolcemente avvolto da una nicchia meravigliosa piena d’amore che tende a lasciare fuori il mondo, come un piccolo angolo incantato. Il nostro mondo adora la posizione frontale tanto da spingerla spesso oltre i limiti della fisiologia del portatore e del bambino.

Negli altri modi di portare, invece, il mondo intorno è sempre parte integrante del quotidiano del portatore e del portato. Non c’è essere umano senza il proprio contesto sociale e naturale e questo vale fin da piccoli piccoli.

Credo che questo già sia un elemento su cui poter riflettere molto. Le scuole del portare (e qui non posso non citare la “mia” scuola ovvero la Scuola del Portare di Roma di cui trovate il sito tra i links, il cui corso per consulente è all’origine di queste mie riflessioni) propongono al portatore occidentale un percorso di liberazione dai vincoli visivi, di riacquisizione delle competenze comunicative e di reciproca e graduale apertura verso il mondo: dalla posizione frontale cosiddetta “fronte-mamma” (anche se, ovviamente, non solo le mamme portano!) in cui il neonato guarda il genitore e viceversa in un piccolo, chiuso universo autosufficiente, si passa alla posizione sul fianco in cui portato e portatore guardano insieme il mondo in una sorta di condivisione protetta.

39Non pensiamo che questa “protezione” sia solo a vantaggio del piccolo. Certamente il bambino portato sul fianco ha la possibilità di guardarsi intorno e di trovare rifugio, in caso veda qualcosa che lo turbi o spaventi, nascondendo il viso nell’incavo del braccio del portatore.

E si sa che i bambini, come i gatti, quando non vedono si sentono invisibili e quindi al sicuro.

Ma anche il portatore beneficia di questa condivisione: guarda il piccolo affacciarsi al mondo e si abitua poco a poco a distogliere lo sguardo da lui per tornare a rivolgerlo al mondo.

Infine si passa, finalmente, sulla schiena. La schiena è la posizione della “maturità” relazionale, in cui portatore e portato guardano insieme il mondo ma in modo indipendente e la loro risorsa comunicativa, oltre quella verbale, sono i messaggi che passano da pelle a pelle e che entrambi, a fine percorso sono finalmente in grado di gestire.

La posizione sulla schiena comunica indipendenza: il bambino può guardarsi intorno e arrivare ad angolazioni che l’adulto non può raggiungere. L’adulto, da parte sua, ha trovato il suo equilibrio: è presente come risorsa del bambino ma non lo intralcia nella sua personale scoperta del mondo.

In tutto questo percorso, come avrete notato, manca la posizione davanti cosiddetta “fronte-strada”.

active_fronte_stradaA motivazione principale per cui non la si inserisce tra le posizioni adatte al portare è sicuramente quella fisiologica:la posizione fronte-strada, tranne rari e complicati casi di legature particolari, non rispetta la cifosi naturale del bambino e spinge la schiena ad assumere una posizione scorretta che la muscolatura in formazione del bambino non può sostenere. La motivazione psicologica segue a ruota: si espone il bambino al mondo senza risorse di protezione in caso incappi in qualcosa di sgradevole o di troppo “forte”.

Chi ricorre a questa posizione, invece, lo fa mosso dalla percezione della necessità del bambino di guardarsi intorno.

Non c’è certo da colpevolizzarsi: l’intenzione di assecondare le esigenze del bambino in evoluzione è lodevole e ci sono fior fiore di libretti di istruzioni, tutorial su internet, foto e filmati diffusissimi che la propongono come un’ottima soluzione.

E noi genitori ci sentiamo orgogliosi della curiosità e della voglia di indipendenza dei nostri figli.

E allora perché non pensiamo a metterceli sulle spalle? Eppure sappiamo che appollaiati sulla nostra schiena potrebbero egualmente soddisfare le loro velleità esploratrici.

Di questa domanda vorrei fare il nodo centrale di questo lungo articolo. Gran parte dei genitori dichiara di “aver paura” a portare il proprio figlio sulla schiena precocemente.

E questo avviene per quanto abbiamo analizzato precedentemente.

Ma la scelta del fronte-strada, simbolicamente, dice: sono orgoglioso che tu voglia guardare il mondo perchè è in linea con quello che la società chiede e pretende. Quindi assecondo la tua esigenza a priori, senza analizzare esattamente quali sono i tuoi bisogni magari inconsci (come potrebbe essere il non razionalizzabile bisogno di avere un luogo di rifugio) ma non mi stacco dalla mia necessità di tenerti sott’occhio.

Insomma, praticamente, un guinzaglio lungo: la centralità è il genitore con le sue esigenze, le sue paure, i suoi canoni.

La nostra società ci ha abituato a questo: ad una non-relazione tra genitore e figlio, tra “educatore ed educato”ma ad un rapporto diseguale in cui il genitore osserva il figlio e sceglie cosa il figlio deve affrontare e come.

Questo, certo, ci porta ad una reciproca immaturità relazionale: il genitore guarda il figlio e non ciò che il figlio scopre e come lo vive. Quindi difficilmente capirà il percorso che il figlio fa, le emozioni che vive, i tasselli che compongono la sua crescita.

Il figlio si sente staccato e quindi non supportato ma osservato e sotto pressione costante, sotto “giudizio” e senza possibilità di condivisione.

C’è un libro interessante, nonostante il titolo (italiano) di dubbio gusto e pertinenza “genitori efficaci” che parla di comunicazione.

La posizione davanti fronte-strada e le posizioni sul fianco e sulla schiena di chi porta sono la concretizzazione degli opposti sistemi comunicativi che vengono analizzati in questo libro ed hanno, a mio parere, le stesse conseguenze.

Scrivo queste cose non per bearmi di sofismi tecnico-psicologici sul portare e neppure perché penso che un bambino portato fronte-strada avrà inevitabilmente problemi relazionali con la sua famiglia. Bensì perché credo che sarebbe fondamentale per ognuno di noi (me stessa in primis) riflettere sui messaggi in codice che trasmettiamo, sulla potenza dei simboli e sulla qualità e maturità dell’amore che abbiamo e che coltiviamo ogni giorno.

Veronica

Un corso di massaggio infantile…

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Un corso di massaggio…chissà perchè una mamma o un papà dovrebbero pensare di fare un corso di massaggio per coccolare i loro piccoli: non fa parte dell’istinto?

Certo che sì.

Fa parte dell’istinto genitoriale abbracciare, accarezzare, coccolare, cullare, baciare, annusare i propri piccoli. Fa parte dell’istinto ascoltare ogni sussulto dei loro piccoli corpi e armonicamente poggiare le dita proprio lì dove daranno sollievo.

E quindi?

E quindi è un discorso lungo, se vogliamo. Se vogliamo, un argomento complicato e forse anche un po’ doloroso. È la storia di come noi, abitanti del mondo “civilizzato” abbiamo perso l’abitudine al tocco, l’abitudine all’osservazione e all’ascolto, l’abitudine al contatto.

Dimentichiamoci (figurativamente, certo!) dei nostri piccoli e pensiamo a noi.

Quanti di noi sono abituati a scambiarsi effusioni che non siano quelle dei momenti intimi con i nostri partners? Quanti di noi sono abituati anche soltanto ad ascoltare il proprio corpo, i suoi messaggi, a capire il linguaggio segreto della pelle, le confessioni dei muscoli, le confidenze “profonde” dei nostri organi interni?

Siamo cresciuti in uno stato di asetticità sempre più ingombrante ed ermetico. Le distanze con i nostri simili sono andate sempre più aumentando grazie a carrozzine, girelli, biberon, miniappartamenti, condomini senza cortili, piazze senza angoli tranquilli, città grandi e rumorose, cibi precotti e auto con impianti perfetti di aria condizionata e finestrini chiusi.

Ed improvvisamente ecco qualcosa di atteso, anzi qualcuno. Un piccino picciò che fin da dentro la pancia della mamma inizia a scalfire le mura, inizia a risvegliare i sensi e ci comunica che soltanto noi possiamo capire davvero i suoi messaggi non parlati.

Dentro di noi, mamma e papà, ci sono gli strumenti, le competenze per capire quel piccino picciò, per mettere le dita esattamente dove daranno sollievo, per annusarlo e bearsi di quell’odore speciale che resterà per sempre nella nostra memoria.

C’è tutto. Ogni mamma, ogni papà ha tutto dentro di sé.

Il massaggio infantile è l’occasione perfetta per tirar via polvere e ragnatele da queste competenze ataviche e meravigliosamente potenti.

Una sequenza che ha un senso corporeo ed energetico e che con il suo ritmo ed i suoi massaggi, con le sue evocazioni figurative, i suoi gesti armonici ci comunica la pace necessaria a scoprire che sappiamo toccare davvero, sappiamo abbracciare, sappiamo dare sollievo, sappiamo amare il nostro bambino. E che lo sappiamo fare da sempre, da quando abbiamo iniziato a pensare al suo arrivo.

Non c’è niente di meglio di lasciare solo un momento da parte la responsabilità di “trovare”, di “inventarsi” un modo efficace di comunicazione per scoprire che abbiamo dentro di noi il più perfetto sistema di intesa con il nostro piccolo.

Quindi ci affidiamo alla sequenza, che è un ottimo inizio. È una sequenza studiata per dare sollievo, per stimolare, per rilassare. Ma la cosa più importante che questa sequenza ci regala è il senso del rispetto, della competenza del nostro bambino e nostra e soprattutto ci regala IL RITMO. È il cuore che batte e che manda via con la sua musica calma e costante ogni ansia o pretesa. È il cuore che batte in armonia con il respiro e le mani che scivolano sulla pelle delicata del nostro bambino, a quel ritmo che lui conosce meglio perchè fin da dentro la pancia ne ha segnato le ore ed i minuti.

Un corso di massaggio infantile A.I.M.I. è un’occasione speciale per ritrovare il tempo giusto, l’armonia della danza e della comunicazione e quel tesoro di competenze che giace addormentato tra lo stomaco ed il cuore di ogni mamma e di ogni papà.

marchio 2000 con sfondoPer sapere di più sul massaggio infantile date un’occhiata al sito www.aimionline.it

Veronica

Piccoli passi verso la completezza…

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La nostra creatura sta crescendo poco a poco!

Adesso, per chi non ci avesse fatto caso, potete seguirci su facebook alla pagina http://www.facebook.com/PuroContatto

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Per qualsiasi informazione, curiosità, dettagli…o per raccontarci la vostra storia, scriveteci: purocontatto@gmail.com

…mica vorrete lasciarci da soli?

(Veronica)