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Ricostruire il tempo – 17 novembre, giornata mondiale del bimbo pretermine
Ci sono momenti nella vita in cui tutto accade d’improvviso e frettolosamente.
E ci prende alla sprovvista e ci lascia con il fiatone.
Quando, poi, è la vita stessa ad accadere d’improvviso e frettolosamente, ecco che inizia un grande cammino di recupero, di comprensione, di ricostruzione.
Oggi è il giorno mondiale del bimbo pretermine.
Vita frettolosa e tenace, relazioni un po’ in salita… ché bisognerebbe fare un passo indietro insieme e capire cos’è successo ed invece si deve scendere subito in trincea, per lottare fianco a fianco, resistere, crescere, sostenersi.
Guerra perlopiù silenziosa, col fiato sospeso.
Perché si tace davanti alla fragilità del corpo e del cuore. Si tace ascoltando le parole dei medici e degli infermieri. Si tace tornando a casa, con il pensiero là, in TIN.
Ma accoccolato nel silenzio c’è il battito del cuore, sempre più stabile. Nascosta nella fragilità c’è la forza di attaccarsi alla vita.
E rispettiamo il silenzio per ascoltare il cuore, rispettiamo la fragilità per leggerne la forza.
I piccoli, piccoli ci comunicano chiaramente cosa sta succedendo. La fatica di tenersi raccolti, la respirazione ancora irregolare, il loro grande cuore: tutto si tranquillizza a contatto con la mamma o con il papà. Grandi mani entrano piano nelle culle termiche, si appoggiano sulla testina del loro bambino, sul sederino o sui piedi. E piano, piano si fanno dolcemente pesanti come a dire: queste grandi mani sono capaci di sostenere ogni tuo tremito.
E poi il petto della mamma, così morbido e profumato. Ecco un ricordo di qualcosa lasciato a metà.
E tutti e due si aggrappano a quel ricordo ma soprattutto a quel presente di condivisione. Di “esserci” profondamente, insieme, lì, in quel momento prezioso e sacro.
Ripartiamo dalla pelle, quel velo così leggero che quasi sembra possa strapparsi con un movimento troppo brusco.
Nutriamo la pelle e con lei tutto il bambino.
Quella pelle che avrebbe avuto bisogno ancora di tempo, di essere accarezzata dal liquido amniotico. Riprendiamo il discorso lasciato a metà, contenendo il nostro prezioso tesoro. Nessuno sa farlo meglio dei genitori, meglio di quella mamma, la cui pelle pure reclama il tempo promesso e mancato.
A volte basta un piccolo sostegno ed ecco che la magia accade: una mamma e un papà offrono le loro mani, le loro braccia, il loro petto, la loro pancia. Le danno come se non fossero più loro, come se fossero il terreno fertile in cui far crescere, ancora, il loro bambino.
Quanta bellezza in questo essere lì, a disposizione. Nonostante le paure, nonostante i timori, nonostante gli incubi. E loro, i piccoli, lo sentono. E tutto diviene calma anche solo per un momento.
Una manina piccola, piccola che stringe il dito della sua mamma o del suo papà. Ed improvvisamente tutto si quieta, il respiro si fa più regolare, i movimenti più lenti, quei genitori si commuovono innamorati. Quel gesto vuol dire forza e fiducia ed è una grande emozione.
Qualcuno dirà col naso all’insù che quello stringere « è solo un riflesso neonatale, che i genitori leggono sempre le semplici cose come se fossero grandi messaggi».
Ma, pensandoci bene e abbandonando la saccenza, quello stringere, proprio proprio nel suo essere riflesso neonatale ci dice tante cose: ci dice che quel bambino ha scritto nel suo codice genetico di “portato” che quando riesce a stringere i suoi genitori è al sicuro.
Perciò si calma.
Perciò, come sempre, hanno ragione i genitori ad emozionarsi e ad accompagnare il gesto con le parole più belle che si possono dire ad un figlio : « siamo qui con te».
Questo meraviglioso scambio che avviene tra i genitori ed il loro piccolo è la vera forza.
E su questa forza si costruisce piano, piano – questa volta senza fretta nè precipitosità – la loro relazione d’amore.
A casa, dopo tanti momenti difficili, le piccole cose semplici possono aiutare davvero questa nuova famiglia.
Hanno bisogno di tempo, loro tre, mamma, papà e bimbo (e magari dei fratellini a sommarsi).
Un telo lungo, una fascia portabebè, morbida e sicura come il tocco della mamma. A recuperare quei confini chiari e vicini, a combattere quella forza di gravità così ostile da far distendere quasi a forza piccole braccia e gambe. A ritrovare la luce soffusa, il battito del cuore, il rumore del respiro, il ritmo stimolante dei muscoli che si muovono delicati nel camminare. Tutto com’era dentro la pancia. Una fascia sa inventare tempo nuovo, un tempo enorme che si avvolge intorno alle spalle del piccolo, intorno alle spalle dei suoi genitori abbracciandone i muscoli e le emozioni, invitando a rilassarsi a sentirsi di nuovo tutt’uno, a lasciar finalmente andare tutte le emozioni.
Un momento per massaggiare, magari facendo più grande un’esperienza già iniziata in TIN, per conoscere e far riconoscere quel corpo tanto amato, per dire con le mani che siamo lì, che amiamo quella pelle, quell’odore, quei muscoli che si stanno ogni giorno fortificando. Un momento per lasciare tutto fuori ed occuparsi solo di prendersi cura e di comunicare con l’unico linguaggio che i neonati conoscono: il linguaggio della pelle e del contatto. Giorno dopo giorno le mani si fanno più sicure, la sintonia sempre più perfetta.
Facciamoci in quattro, noi tutti, familiari, operatori, consulenti, amici e vicini di casa. Facciamoci in quattro per allargare il tempo.
Per lasciare spazio alla pelle di ricostruire il legame, di recuperare il tempo mancato, di rallentare il ritmo.
Inventiamoci modi di lasciare a quella mamma il tempo di sentirsi mamma a pieno titolo, forte e competente, colei che calma e contiene, colei che nutre ed osserva.
Inventiamoci modi di lasciare a quel papà il tempo di sentirsi padre, colui che difende e protegge, colui che ha grandi e forti mani per accarezzare ed abbracciare la sua compagna ed il suo bambino.
Inventiamoci cuochi, aiutanti, camerieri.
Inventiamoci cuscini morbidi in cui affondare e sentirsi coccolati, inventiamoci aperitivi analcolici casalinghi per non far sentire i genitori soli. Inventiamoci, al momento opportuno, passeggiate, telefonate, un mazzo di fiori e dei palloncini.
Perchè così il tempo diviene amico e ci accompagna e forse, a volte, si moltiplica e prende anche lo spazio del tempo mancato.
(Veronica)
Per questo post è doveroso ringraziare:
Adele Ricci, amica e collega meravigliosa che ha realizzato questo stupendo disegno.
Isa Blanchi, fisioterapista ed insegnante AIMI, per le preziose informazioni e per la delicatezza del suo approccio.
Alessia Rossetti, amica e collega, per aver condiviso le sue esperienze preziose di sostegno e di incontro.
Il mio percorso di babywearing per avermi svelato una meravigliosa opportunità di relazione.
Tutti i bimbi pretermine ed ex-pretermine che ho conosciuto ed i loro genitori per avermi insegnato cosa siano le difficoltà e la forza.
Machiavelli, riposa in pace
Se un giorno ci dicessero che, in totale buona fede, ci siamo messi in casa un machiavellico approfittatore che individuati i nostri punti deboli li usi per i suoi biechi obiettivi, come ci sentiremmo?
Probabilmente ci sentiremmo vittime di ingiustizia, feriti, offesi, profondamente tristi, delusi di noi stessi per “esserci cascati”.
Quotidianamente questo accade con i nostri piccoli. E fin da quando sono neonati.
Siamo circondati di voci che ci inducono a pensare che siano piccoli approfittatori, che “usano” il pianto per soddisfare i loro capricci e piegarci alla loro volontà.
E ci sentiamo deboli ed inadeguati per non saper “resistere” a questi machiavellici sfruttatori.
E tutto ciò genera frustrazione, dolore, tristezza, rabbia. Ma soprattutto incomprensione.
Ma forse c’è una piccola via d’uscita: proviamo a non sovraccaricare il comportamento dei piccoli degli schemi propri del mondo adulto.
Proviamo a cambiare prospettiva.
Proviamo ad entrare in contatto e a metterci nei loro panni.
Si usa dire: bambini piccoli, problemi piccoli. Eccerto perchè con la nostra vita sulle spalle ci sembrano inezie. Niente di più inverosimile. Loro sono arrivati da poco e ciò che è “inezia” per noi loro la vivono come il problema fondamentale. Sarebbe come se un matematico considerasse una “stupidaggine” la prima somma o sottrazione di un bimbo di sei anni. Nessuno lo farebbe con i “problemi” scolastici ma ogni giorno lo facciamo con la quotidianità.
Quando abbiamo un grande problema, che ci sembra enorme e ci chiude la voce in un groppo in gola, parlarne con qualcuno è difficilissimo. Ci affidiamo alla sensibilità dell’altro, alla sua capacità di accogliere e di intuire il nostro disagio mentre spiccichiamo con fatica poco ed insufficienti parole.
Noi che abbiamo così tanta proprietà di linguaggio…
Un neonato piange.
Piange perchè si sente solo ed ha paura e quel che vuole è essere preso in braccio e tenuto al sicuro. E quando qualcuno finalmente lo solleva si acquieta. Perchè quel qualcuno ha risposto al suo grande, grandissimo bisogno e lui non ha più necessità di gridare il suo spavento.
Smette di piangere non perchè “ha piegato” la volontà del genitore ma perchè il bisogno che lo stava devastando è finito, lasciando spazio alla pace.
Piange perchè quel cucchiaio così insistentemente proposto proprio gli è difficile da capire: a cosa serve? perchè se ho fame mi viene offerto questo coso invece del solito seno o biberon?
Un bambino piange, batte i piedi. Perchè non vuole andare alla scuola dell’infanzia o perchè non vuole venir via dal parco. Ci dice: ho paura, ho bisogno di altro tempo, non sono pronto oppure ci manifesta la sua incomprensione verso le nostre dinamiche quotidiane, il concetto di tempo, di “è tardi”. Quello che lui sa è che sta per finire quell’esperienza così ricca e divertente, quell’avventura così entusiasmante. E chi la fa finire è proprio la persona che ama di più al mondo, che lo mette davanti ad una scelta inaffrontabile.
E piange e batte i piedi perchè è l’unico modo che conosce per manifestare la sua opinione. Perchè a 2-3 anni siamo “già grandi” nelle capacità motorie, nello sviluppo intellettuale…ma le parole, i discorsi quelli ancora stentano specie in caso di grandi emozioni.
Ecco. Non ci stanno comprando né vincendo. Stanno semplicemente comunicando.
Questo cambio di prospettiva non deve indurre a pensare che sia un bene rinunciare al nostro ruolo educativo di genitori, all’organizzazione familiare o semplicemente alla sensatezza dei ritmi della giornata.
Serve solo per rendere il giusto valore alle espressioni, alle azioni.
Perchè educare così, senza frustrazione o rabbia, può essere più semplice e più ricco di soluzioni comunicative.Fare i genitori non sarà meno difficile ma con questa prospettiva forse è meno doloroso: no, non abbiamo in casa machiavellici tiranni. Abbiamo piccoli esseri umani con una grande personalità, grandi problemi e qualche difficoltà in esprimere in modo posato e chiaro l’enorme groviglio di bisogni, gusti, emozioni, desideri, sentimenti che si ritrovano a gestire.
Dai, su…poteva andar peggio!
(Veronica)
La signora Montessori la sapeva lunga…

Il tutto è avvenuto in maniera così veloce e strabiliante, che io non ho fatto in tempo a accorgermene finché non sono stata messa di fronte al fatto compiuto.
Poesia di papà
ecco si muove, ti guarda, sorride
si gira, si alza, cammina…
ma tutti lo fanno.
guarda che mani, che piedi, e che occhi,
e senti i capelli e che pelle…
ma tutti li hanno.
eppure ti guardo,
vicino a tua madre,
hai già il suo sorriso,
si vede il suo amore,
si sente il suo cuore.
ti guarda, lo senti,
la osservi, rispondi,
lo vede, ti stringe.
un unica luce vi avvolge, l’Amore.
gli sguardi incrociati commossi e felici
si abbracciano e cantano un inno alla vita.
un unico grande perfetto contorno
di luce, colori, scintille divine,
avvolti nel grembo del tempo;
è questo il mistero del mondo:
sia dentro che fuori, il bambino
rimane un tutt’uno con te,
la grande magia del creato
ci svela il segreto di sempre:
l’unione di un filo di luce
che unisce e che avvolge i due cuori.
e io ti ringrazio mia piccola amica
che hai dato alla luce un dono prezioso
ti amo e ti adoro per quello che hai fatto:
nel cuore e nel grembo la vita e l’amore
e io ti ringrazio mio piccolo bimbo
che doni la vita e la gioia ad un uomo
che avrebbe vissuto pur sempre una vita,
ma senza la vita e la gioia nel cuore
(Luca)
Quando il contatto si perde…
Lei ha iniziato a non essere più così piacevole, così facile, così gestibile ed io ho iniziato a non capire più nulla.Io e i pannolini lavabili

Prendersi il tempo e lo spazio (memento a me stessa)

Siediti. Attendi.
Riformula i tuoi ritmi per combaciare con il battito del cuore.
Tum-tutum. Tum-tutum.
Questo è il ritmo che loro conoscono. Questo è il ritmo che permette di riuscire.
Libera i pensieri, lascia stare il domani. Ci saranno momenti in cui occuparsi del mondo, magari tra pochi istanti. Ma ora no, stai qui.
Piano, piano ecco la punta rosea della lingua si mostra lentamente.
Osservala, ti dice molto.
Ogni dettaglio è importante.
Ti dice che è questo il momento giusto, il momento del latte. E che sia fame, sete, bisogno di succhiare, voglia di odori e sapori confortanti, che differenza fa? È questo il momento giusto.
Piano, piano una manina si appoggia al labbro che l’avvolge, la succhia avidamente.
Osservala, ti dice molto.
Ogni dettaglio è importante.
Ti dice che sta iniziando un’urgenza, all’orizzonte la tempesta. E che belle parole son già state scritte su quella tempesta!
Tempesta che convive con un’espressione buffa che distrae facilmente. Non attendiamo la pioggia. È ancora il momento giusto. Tra pochi istanti sarà tardi, sarà disperazione e fame.
Asseconda. Non importa se hai altro da fare. In questi mesi devi essere qui.
Non è servitù, è il momento dello studio.
E studiare lo sai fare, lo hai sempre fatto. E quelle notti, quei giorni prima delle interrogazioni o degli esami eri tutta te stessa lì. Presente.
Siilo ancora. È il momento dello studio, ora è che si impara a conoscersi.
Non è servitù, è avere obiettivi definiti.
Ecco che scende sul petto, la bocca si apre. Osserva le labbra, ascolta il tuo corpo e le sensazioni. Non dev’esserci spazio per il dolore.
Guarda bene il suo sguardo, se apre gli occhi. Dimmi cosa vedi.
Calma, appagamento, soddisfazione. Il segnale è stato intercettato e compreso. Anche di qua, in questo mondo così ignoto e grande da far paura la comunicazione è possibile.
Fiducia.
Amore. Last but not last. Amore infinito.
Includi chi ti è intorno in questo percorso. Con calma, senza pretesa di comprensione immediata. Specie per i più piccini a volte è difficile.
Spiega a cuore aperto, rilassa la pancia, il bacino. E spiega.
Spiega che devi essere lì e che questo non rende meno importanti le altre persone, le altre cose. Spiega le ragioni profonde. Non lasciare niente di non detto, di sottinteso.
Spiega perchè è importante per tutti.
Adesso la fascia.
Non prima, prenditi il tempo.
Il mondo chiama, si sa. A volte chiama che spezza il cuore. Ma attendi.
Tum-tutum. Tum-tutum.
È importante il tempo, è importante lo spazio. Ancora non è tempo di fare altro contemporaneamente e lo spazio non può escludere braccia e attenzione totale. La fascia non è ancora lo spazio per allattare.
Ma adesso sì, prendi la fascia.
Concentrati e, ancora, prenditi il tempo. Non cercare sempre la via più breve, più facile, più repentina.
Senti il tessuto scorrerti tra le dita. Lascia che la tua attenzione sia attirata dalla sensazione della stoffa. È morbida. Ha già portato qualcuno.
Ancora un po’ oltre. Profuma. No, non è l’odore di bucato è un odore più profondo. Profuma di te e di un piccolo corpo amatissimo. Ed ha l’odore anche di chi ormai avvolge solo ogni tanto.
Stai ancora in ascolto mentre muovi le mani, le braccia, mentre ti avvolgi e avvolgi quella schiena inarcata su sé stessa, elegante come certe conchiglie.
Senti cosa racconta. Ti dice perchè il suo magico odore resiste all’acqua e al sapone. Lo salva il simbolo e, ancora, l’amore.
Chiudi il nodo. Con attenzione. Non un nodo qualsiasi. Un nodo che quasi non si sente e che si scioglie facilmente facendo convergere i lembi.
È così, vedi, che sono i nodi d’amore, i legami che cerchi: resistenti ma discreti, sicuri ma facili da sciogliere venendosi incontro.
Ricorda la lezione del nodo.
Ricorda la lezione del tessuto, non scordare i simboli.
Ecco. Adesso puoi tornare al mondo. Puoi anche affrettare il passo e distrarre il pensiero per un po’.
Puoi abbracciare e cullare altri.
Puoi seguire, aiutare, sostenere.
Puoi pensare a te, leggere, passeggiare, parlare con qualcuno.
È il momento del mondo, ma con rispetto.
A tenere il ritmo adesso c’è il titolare in persona: là dentro, il sonno è cullato dal battito del cuore, vicino, vicino.
Tum-tutum. Tum-tutum.
Dedicato a me, ogni volta che ho troppa fretta. Dedicato a me ogni volta che incontro una mamma ed il suo bambino.
(Veronica)
Poche dritte sulla scelta del supporto e sull’allattamento in fascia.
La fascia lunga, morbida o rigida che sia, è sicuramente lo strumento più indicato per i neonati. Per i primi mesi sarebbe bello forse non scegliere la praticità o la rapidità d’uso quanto qualcosa che ci aiuti ad entrare nel “ritmo” oltre che a portare i nostri bambini nel modo più contenitivo, corretto, sicuro ed accogliente. Anche nella scelta delle legature è utile scegliere a seconda della fase di sviluppo del bambino. Esperimenti e nuove scoperte in fatto di legature avranno spazio più avanti. Sembra difficile ma in fondo non lo è. Prima di abbandonare o di propendere per un supporto più “facile” provate a contattare un professionista del settore.
Allattare in fascia si può ma non è detto che si debba.
Vorrei sfatare intanto il mito della posizione “a culla” per l’allattamento.
La posizione a culla è una posizione riservata ai neonati molto raccolti e solo nelle prime settimane. È corretta se il bambino sta a pancia in su, con il fianco a contatto con il petto del portatore. Il supporto più adatto a questa posizione è la fascia morbida (più comunemente nota come “elastica”) perchè il tessuto cedevole non esercita molta pressione sul corpo del bambino e quindi non rischia di comprimere le anche o il torace.
Per ciucciare in questa posizione il bambino è costretto o a girare la testa verso la madre (e questo pregiudica l’attacco) o a girarsi verso la madre (e questo provoca la perdita della posizione fisiologica rischiando di comprimere troppo l’anca o il torace).
La posizione in cui si può allattare è quella classica a ranocchietto, verticale.
Per farlo, è necessario far scendere la legatura fino a permettere al bambino di afferrare il seno.
Bisogna, perciò, fermarsi e sedersi perchè una legatura così bassa non è sicura per la schiena del bambino (il tessuto sarà più molle e quindi non più contenitivo né sostenitivo e la schiena si “accartoccerà” facilmente). Non è neppure fisiologica per l’apertura delle anche perchè le gambette si troveranno ad altezza pancia del portatore e quindi sollecitate ad un grado di divaricazione eccessivo. Infine non è sana per il portatore perchè sposta troppo in avanti il baricentro.
Allattare in questa posizione è utile per “sfruttare” il sonno da sazietà per riprendere le proprie attività interrotte semplicemente ritirando su la legatura senza dover “sballottare” troppo il bambino. È però importante che l’allattamento sia già avviato e che la competenza dell’attacco sia già acquisita.
Anche portare molto nelle primissime settimane può essere ragione di difficoltà nell’allattamento, specie in caso di bimbi molto sonnolenti o con crescita lenta: il contatto favorisce la rilassatezza ed il sonno e quindi può rischiare di dilatare il tempo tra una poppata e l’altra. Osservare i nostri bambini e prenderci il tempo e lo spazio per conoscersi è essenziale anche per iniziare pratiche indubbiamente sane e meravigliose come il babywearing.
Gratitudine…
Ringrazio i miei bimbi e tutti i genitori che ho incontrato per la prima parte di questo articolo.
Ringrazio, per la seconda parte di questo articolo, la Scuola del Portare che mi ha fornito una solida base di conoscenza e tutte le colleghe (non solo della mia scuola!) che ogni giorno la arricchiscono con le proprie competenze e riflessioni.
Quel che ci porta l’estate
ed il leggero allegretto delle cicale
sono la colonna sonora
ideale
al crescendo del tuo peso
che peso non è ma misura di fiducia.
Dormi.
Il tuo respiro è profondo e costante
come questa brezza solcata
da stormi di fringuelli
ed io
lo sento sulla pelle, tra i capelli.
Vedo la bocca increspata un poco aperta
e le lunghe ciglia.
Vedo i tuoi riccioli
induriti di sabbia e di sale.
Vedo senza guardare,
ti descrive il mio sentire
e posso chiudere gli occhi
e respirare
aria di mare e silenzio.
Pausa.
Il nodo si scioglie,
il lembo accoglie
la tua testolina abbandonata
delicato come una carezza.
Lo riconosco: è il tuo odore
che, nell’aprire il tessuto, si è unito alla brezza.
Io Papà
Eccolo qui. È nato.
E ora tutto cambia, in meglio ovviamente, ne sono e ne siamo convinti.
Ma tutto cambia e anche il nostro e il mio modo di vivere dovrà essere all’altezza. Un buon padre e un buon marito: obiettivo difficile, ma da raggiungere ad ogni costo.
Ma nessuno nasce genitore – si dice – probabilmente però si può imparare, e se si può, per rispetto, e soprattutto per amor,e del piccolino, si deve imparare.
E il corso da padre, o meglio da buon padre, è iniziato già in gravidanza, quando la mamma si sente già mamma, da subito, e il papà, con un po’ di ritardo, piano piano inizia a prendere confidenza con la sua nuova figura famigliare da ricoprire.
E anche in gravidanza spesso è la mamma che guida, almeno così è stato nel nostro caso, e tra libri articoli, guide, ho cercato di apprendere le basi, sulla gravidanza, sulla famiglia, sul puerperio, sull’educazione, sull’alimentazione, ecc.
Poi emozionato, con mille aspettative, con l’ansia di altrettante responsabilità, è arrivato il grande giorno, e da allora davvero è cambiato tutto.
E da un giorno all’altro mi sono messo all’opera:
Un po’ più efficiente nei lavori di casa, pulizie, lavatrici, riordino, ecc. attenzione alla spesa, alle commissioni (in fondo grazie ai nostri contratti lavorativi sono riuscito a stare un mese in congedo di paternità – facile così…).
Ma in realtà qualcosa non va. Ce la metto tutta, ma c’è qualcosa che non va. E, giustamente, arriva la verbalizzazione del problema. Ma le grandi mogli e le grandi mamme, oltre a vedere i problemi, trovano le soluzioni. E quindi la soluzione è arrivata.
Il problema è: “se tu ti occupi di tutto ma non del bambino, io non riesco a fare nulla”. E pensare che a me sembrava un grande dono rinunciare anche a stare col bimbo per occuparmi di tutto il resto e permettere alla mamma uno stretto e continuo contatto.
Ma uno di quei libri letti in gravidanza parlava chiaro: la comunicazione nella coppia è fondamentale. E da bravi scolari lo abbiamo imparato e messo in pratica.
E quindi piano piano quel rapporto che, con il nuovo arrivato sembrava dover aspettare tempi migliori, convinto che mamma-neonato fosse un legame che non può dar spazio a nessun altro, iniziò a crescere sempre di più, facendo sì che questi due personaggi, un po’ lontani in partenza, si avvicinassero sempre di più, e che la mamma, pur rimanendo in un rapporto esclusivo col suo bambino (non è scorretto che le mamme partono avvantaggiate di nove mesi… e il vantaggio è davvero molto… per ora!) potesse avere qualche momento per sé e riacquistare la serenità che si espande poi su tutto il resto del nucleo.
In quei primi giorni iniziai a scrivere un diario per ricordare quei momenti che, con la mia memoria da nonno più che da padre, sarebbero stati altrimenti presto dimenticati, e in fondo anche che per il piacere di scrivere che mi accompagna in ogni nuovo evento, tanto che più che un diario, raccontai le sensazioni provate a stare col bimbo come se lo stesso mi parlasse già. Eccone alcuni stralci.
Con calma – senza fretta
Eccomi qua, ho proprio voglia di coccole. Stai un po’ con me. Ascolta il mio respiro e cullami assecondandolo. Cerca di insegnarmi ad essere forte. Lo stai leggendo in questo periodo: “i bambini diventano quello che vivono”. Fammi diventare forte, fammi capire che i bisogni primari, quando crescerò, non saranno i principali, ma i primari. Fammi capire che dare Amore sarà più importante che mangiare. Non dico che si può vivere senza mangiare, ma in un dato momento, come in questo momento, se dovrò scegliere tra mangiare e dare Amore, insegnami che la cosa più importante tra le due è dare Amore e che il mangiare può aspettare un po’.
Quando mi culli, cullami. Non fare altro. Guardami negli occhi, sorridimi. Non fare altro: lo farai dopo. Lascia perdere l’idea che ti sta venendo di scrivere quella relazione al computer con la destra mentre mi culli con la sinistra. E il caffè ora non ti serve, lascia perdere. Donami tutto il tuo Amore. Passeggia per casa cullandomi e concentrandoti su di me, fammi fare un giro in giardino, tra le tue braccia, ma non togliere quel bocciolo secco, mostramelo, raccontami se vuoi la storia di quel bocciolo, ma raccontala a me. Siediti sul dondolo e stai con me: ascoltami, cerca di capire se sto bene o se preferisco passeggiare; chiedimelo, sorridimi, ascolta la mia risposta.
Rendimi libero
Rendimi libero già da ora. Non solo lasciami libero, ma rendimi libero. Intanto impara a lasciarmi libero, poi imparerai a rendermi libero.
Dammi la libertà di piangere. Inizia da qui. Impara a lasciarmi piangere, a manifestare i miei bisogno, impara ad ascoltare il mio pianto. Non pensare che devo smettere a tutti i costi. Accetta anche il mio pianto, è una comunicazione che faccio a te, è l’unico modo per ora, ho solo pochi giorni. Ascoltami, impara ad ascoltarmi, concentrati su di me, sul mio pianto.
Spesso è sofferenza, ho le coliche, ma devo imparare ad usare il mio intestino. Stammi vicino mentre ci provo. Dimostrami il tuo amore standomi vicino. Cullami, coccolami, ma non pretendere che smetta subito di piangere. Accetta il mio dolore. Lo so che in genere non accetti il dolore, né tuo, né degli altri, ma con me devi accettarlo,. Come hai dovuto accettare il dolore della mamma nel travaglio. Se ce la fai cerca di capire il mio dolore e condividilo con me, se non ce la fai ancora a condividerlo, accetta almeno di soffrire con me. È un grande atto di Amore, sai, stringere la mano di chi soffre senza per forza cercare di andare contro la Volontà in quel momento.
Alla sera prepariamoci alla notte
Alla sera, papà, quando tramonta il sole, portami in giardino o alla finestra a salutare questa giornata guardando il sole che va a dormire. Eppure lo sai che questo è un momento magico, pieno di energia, preghiere e meditazioni in questo momento sono al massimo della loro potenza. Permetti anche a me di gioire di questi colori e di queste energie.
Poi rilassiamoci dopo cena. Non accendiamo le luci, magari una candela e rilassiamoci; prepariamoci alla notte. Parlate a bassa voce, trasmettetemi serenità, in modo che tutta la notte sia serena. Hai visto nelle sere in cui ci sono venuti a trovare come ero nervoso. Non è certo per la gente che porta il proprio affetto, è per la modalità: voci alte, luci accese, magari la musica forte.
Il mondo felice e sereno è quello dei bambini. Nel nostro mondo si sta benissimo: colori, musiche delicate, sorrisi e risate, storie a lieto fine.
Lasciami in questo mondo papà, non portarmi nel mondo degli adulti, se vuoi conduci i tuoi amici nel mio mondo: è più bello, più sereno, più felice.
Alla sera spegni la luce, parla a bassa voce di cose belle, magari guarda un film con la mamma a basso volume, e poi godiamoci la notte, così quando mi sveglierò per mangiare saremo tutti più tranquilli e al mattino comunque tutti riposati per fatto un sonno sereno.
Iniziai così a dedicarmi a lui, a dargli la precedenza, in fondo sapevo bene che una volta arrivato avrei dovuto vivere per lui, ma nel concreto, in realtà, non è poi così scontato.
Iniziammo a svegliarci insieme la mattina e a lasciare la mamma ancora un po’ a nanna, visto che di notte era lei ad allattare…
Ogni mattina scendevamo al piano di sotto e iniziavamo a salutare e a ringraziare il sole, il cielo, le nuvole, gli alberi, i fiori, i gatti, il nonno per aver dipinto un albero sulla parete della sala, Omar per aver dipinto gli iris, le piante della sala, i libri, il quadro con la cornice dipinta dalla mamma. Poi tornavamo a guardare fuori e ad osservare gli alberi cercando di prendere il loro esempio: un fusto forte, radici ben ancorate alla terra da cui prendono il nutrimento e braccia rivolte verso il cielo. Il ringraziamento più grande era per lui, e glielo dicevo proprio guardandolo negli occhi senza aver paura di commuovermi, e lo ringraziavo (e lo faccio ancora ora tutti i giorni) per essere arrivato nella nostra vita, per aver scelto proprio noi, per averci portato già da così piccolo i suoi insegnamenti. Accendevamo poi una candela, ne osservavamo la fiammella, e in silenzio cercavamo di guardare la luce, e iniziavamo così la nostra giornata insieme.
Poi arrivava il momento della nanna, e nel frattempo la mamma scendeva le scale con un tempismo inspiegabile (o forse no), un po’ più riposata e pronta per una nuova poppata.
(Luca)
Al tuo fianco
Oggi un regalo bellissimo per tutti noi. Una collega consulente del portare della mia stessa Scuola ha scritto questa bellissima riflessione sul portare sul fianco. Ti sono grata per questa bella emozione, Tullia della Moglie!
Essere accanto a te, al tuo fianco, insieme.
Questo è stato per me “portare sul fianco”: esserti vicino, averti vicino.
Quando hai iniziato a voler stare su con la testa, a spalancare quegli occhi pieni di mare, a guardarti intorno, a tendere le mani e i sensi verso le cose del tuo, del nostro mondo, io ti ho appoggiato sul mio fianco.
Ti ho legata stretta per darti la stabilità che ancora ti mancava, e ti ho liberato lo spazio per poterti aprire al mondo, lo spazio davanti al tuo cuore, lo spazio tra le tue braccia.
Con le mani hai vissuto quel che vivevo io, hai sperimentato, iniziato a giocare, conosciuto consistenze, sensazioni tattili, colori, chiaroscuri, forme, dimensioni.
Io ti stavo accanto e potevo guidarti, rassicurarti, incitarti, proteggerti o anche solo semplicemente – e meravigliosamente – condividere con te in rispettoso silenzio, col privilegio più grande: essere testimone della crescita di un essere umano.
Ti sei sentita ancor più parte di quelle piccole cose quotidiane in mezzo a cui sei nata. Hai iniziato da lì, dal mio fianco, da lassù, pian piano a farle tue.
E tutte le volte che dovevi tornare alla tua “base sicura”, la tua pancia, sede delle emozioni più profonde, a contatto col mio corpo, sapeva dirmelo: ti coprivo con un lembo di stoffa e ti addormentavi, come fino a pochi mesi fa avevi fatto sul mio cuore.
Poi sei scesa a terra, hai esplorato l’orizzonte con ogni punto del tuo corpo, e quando dovevi tornare alla tua “base sicura” ti riportavo su, al mio fianco, il nostro ascensore magico.
Poi ti sei alzata, hai camminato, corso, una gioia incontenibile, e quando eri stanca riprendevi l’ascensore e riposavi vicino a me.
La fascia era un abbraccio morbido per te, era un sostegno e un sollievo per me, rendeva così più lieve questa dolcissima fatica di lasciarti allontanare per poi farti ritornare. Stando in ascolto del tuo bisogno fondamentale di fare entrambe le cose.
Tante volte ti ho addormentata danzando con te nella fascia corta sul fianco, o nella ring sling, e poi ti ho adagiato sul letto senza svegliarti: un piccolo miracolo, come può un bimbo piccolo essere piccolissimo e grande nello stesso tempo!
Accanto a te, al tuo fianco. Nessun’altra posizione del “portare” esprime meglio il senso che ha per me essere genitore: accompagnare a crescere senza forzare, senza sostituirsi all’altro, favorendo la sua autonomia. Educare come tirar fuori, condurre fuori l’essenza di mia figlia perché lei possa viverla appieno.
Dicono che quella sul fianco sia una posizione più scomoda, asimmetrica. E’ una posizione dinamica, la posizione del continuo movimento, del continuo cammino nel quale siamo come famiglie e come persone.
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