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Mai più seduti in disparte
Un progetto fotografico sul femminile
e sull’accudimento a contatto
Da un’idea di Veronica Toniutti – Consulente di babywearing, educatrice prenatale e neo natale, ispirata dal tema della IBW 2016 “Best seat in the house”
“Nella nostra società la maternità, per le donne, è spesso il confine tra una vita e l’altra, senza alcuna soluzione di continuità.
Così come per i bambini, la nascita è un cambiamento totale di mondo e di modi.
Ma entrambi, donne e bambini, sono restii a perdere i piaceri della vita precedente, a dimenticare le competenze acquisite, le sensazioni belle provate e vissute.
Fotografie amatoriali o professionali, a tratti polemiche, a tratti provocatorie, sempre incredibilmente permeate di dolcezza.
Bambini accuditi a contatto, per offrire loro quelle belle sensazioni che conoscono fin da dentro la pancia senza essere relegati a sedute che li tengano lontani dai momenti della vita quotidiana. Bambini che vengono ad arricchire, non a rubare occasioni. Bambini che vivono vicini vicini alle loro mamme, ne imparano le arti, la socialità.
Donne bellissime, felici, determinate a coltivare i loro piccoli piaceri, i loro talenti, le loro professioni, le loro passioni. Donne che condividono con i figli la quotidianità, la socialità che si fanno conoscere da loro in tutte le sfaccettature.
E così si rafforzano i legami, si coltiva felicità, non si rinuncia alle cose importanti della propria vita.
Bimbi coinvolti, mamme attive.
Nessuno più seduto in disparte.”
L’intero album lo potete sfogliare sulla pagina Facebook di Puro Contatto
Dal progetto nasce una piccola mostra che verrà inaugurata e presentata, nell’ambito delle iniziative fiorentine per la IBW 2016, sabato 8 ottobre alle ore 18 alla Libreria Marabuk di Firenze (via Maragliano, 29/e)…siete tutti benvenuti!
Grazie a chi ha collaborato a questo progetto:
Marilina Boschetti – Consulente Valigia Rossa
Laura Paglini – Ass. Armonia a 6 zampe
Libreria Marabuk – Firenze
Mamme e bambini – i nostri protagonisti – da Toscana e Liguria.
Allattamento e obesità infantile
Ha fatto molto scalpore l’intervento di qualche settimana fa, ad una nota trasmissione televisiva, di uno psicologo che affermava che una della cause dell’obesità risiederebbe in un cattivo rapporto della madre col figlio. La madre, rifiutando il suo ruolo di madre, allatta controvoglia, per cui il bambino sente il seno come una cosa “cattiva” (?) e quindi chiederebbe di poppare spesso per cercare di ottenere un seno “buono”, (forse una risposta “buona” ?), così che il bambino chiede troppo il seno e la madre lo iperalimenta. Quindi le madri che allattano “troppo” e “a lungo” non amano i loro figli, ma cercano così di compensare la loro ostilità verso il figlio e anche il cattivo rapporto avuto al oro volta con la propria madre. Ho cercato di riassumere, visto che il discorso è davvero contorto. Trovare l’intervento intero qui al minuto 1’45”.
Un intervento sulla stessa linea anche se molto più blando ci era stato segnalato da una mamma qualche tempo fa: dopo un inizio buono, si dice che, dato che oggi viene sempre più incoraggiata la separazione mamma bambino di cui, invece, i bambini hanno estremo bisogno (e questo sappiamo che è corretto), “in seguito alla mancanza di fisicità e continuità nel rapporto tra mamma e bambino, s’imprime nelle percezioni la sensazione che mangiare soddisfi il bisogno d’amore, e il cibo prende il posto delle carezze e degli abbracci di cui tutti i piccoli hanno bisogno per sopravvivere.” (il grassetto è originale)
Prima di intervenire ho lasciato passare un po’ di tempo, chiedendomi se davvero fosse necessario commentare l’ennesimo strafalcione sull’allattamento, se davvero fosse necessario mettersi ogni volta a controbattere con ricerche e studi per difendere una funzione fisiologica.
Nessuno, immagino, cerca o promuove studi per dimostrare che camminare con le proprie gambe sia meglio che con le protesi in titanio, per quanto avanzate.
Nessuno fa studi per dimostrare che, anche con le migliori lenti a disposizione, sia meglio indossare occhiali piuttosto che vederci coi propri occhi o viceversa.
Allora mi chiedo perché occorra farlo per quanto riguarda l’allattamento. Ogni tanto qualche personaggio più o meno famoso interviene su modi, tempi, conseguenze e altri argomenti inerenti l’allattamento, campo che di solito esula dalle sue competenze, e subito viene seguito da moltissime mamme che si preoccupano di aver danneggiato il proprio bambino o da altre che colgono l’occasione per attaccare chi allatta dicendo: “visto? Lo dice anche lui che è meglio dare il biberon” o cose simili. In questo modo le mamme sono sempre più confuse, le “guerre fra mamme” aumentano a discapito della solidarietà e nessuno ne guadagna. Potrei citare tutti gli studi e le ricerche che dimostrano come allattare e farlo a richiesta sia, al contrario, protettivo contro l’obesità, non solo infantile, ma anche nell’età adulta. Ma non voglio farlo.
Ritornando all’intervento citato, io noto una palese contraddizione: la mamma prova rifiuto verso il suo bambino, per cui lo allatterebbe “troppo” e “troppo a lungo”. In realtà, se una mamma non accetta il suo bambino o il suo ruolo di madre (come a volte può succedere), non riuscirà ad offrire un tipo di relazione così intima e costante come quella che si crea con l’allattamento a richiesta, necessaria per un buon successo e una durata naturale dell’allattamento.
Nessuna madre che ho incontrato in tutti questi anni da consulente, ha mai cercato aiuto per allattare “di più” perché voleva compensare un cattivo rapporto col figlio. E le madri che mi hanno chiesto aiuto per smettere non lo hanno mai fatto perché rifiutavano il loro ruolo di madre. Quindi, né la madre che allatta “tanto” né quella che non allatta per niente, sono per forza madri che rifiutano i loro figli.
Ma quello che mi ha suscitato reazioni più forti, però, è stato l’ennesimo tentativo di dare un limite alla relazione fra una mamma e il suo bambino. Questa idea che ci sia sempre un “troppo”: “lo tieni troppo in braccio”; “lo allatti troppo”; “lo coccoli troppo” e così via. Come se l’amore dovesse avere dei confini. Come se esternare il proprio amore con il contatto fosse un errore. In questo mondo in cui tutto è permesso, in cui, ad esempio, ognuno afferma di poter fare ciò che vuole del proprio corpo, sembra che, invece, mostrare affetto attraverso il contatto dolce, le carezze, la vicinanza verso chi, invece, ne ha un bisogno vitale come i bambini (ricordiamoci che un tempo, negli orfanatrofi, i bambini morivano soprattutto per mancanza di contatto, anche se avevano cibo a sufficienza), sia un gravissimo errore.
Forse noi ci mettiamo a misurare i baci che diamo a chi amiamo? O quante volte ci facciamo l’amore?
Invece sono tutti pronti a farlo quando si tratta di bambini.
Questa idea, poi, che il bambino popperebbe “troppo” per cercare l’affetto della mamma e che così assocerà il cibo alla soddisfazione del bisogno di essere amato è davvero assurda. È vero che, durante l’introduzione degli alimenti solidi, se si forza il bambino a mangiare con premi o ricatti si può instaurare un cattivo rapporto col cibo che riduce il cibo proprio ad uno strumento su cui riversare le nostre frustrazioni, ma nell’allattamento a richiesta accade esattamente il contrario. Un bambino chiede ciò di cui ha bisogno e la mamma risponde. Non si può costringere un bambino a poppare. Poppare è un gesto attivo, non è come accettare un biberon, in cui il latte scende comunque, anche senza succhiare.
Ognuno di noi avrà assistito o vissuto la classica scena in cui un bambino, solo in carrozzina, si mette a piangere e smette non appena preso in braccio, anche se la mamma lo solleva all’altezza del suo seno. Era il contatto, ciò che gli serviva, non ha dovuto attaccarsi. É perciò evidente che non è vero che l’allattamento è sempre l’unica risposta e che i bambini riescono ad avere molta chiarezza sulle proprie necessità.
Passando all’argomento successivo, le mamme che in qualche modo provano rifiuto verso il figlio o verso il proprio ruolo, allatterebbero anche “a lungo”.
Cosa significa “a lungo”? Qual è il metro di paragone a cui si fa riferimento? Se si definisce la durata di un evento “troppo lunga” significa che ne esiste una di durata “normale”. Qual è la durata normale dell’allattamento, nella specie umana? Ebbene, secondo gli antropologi, questa durata varia, perché condizionata anche da fattori sociali, tra i quattro e i sette anni (come spiegato nell’articolo dell’antropologa Dettwyler). Di conseguenza, potremmo affermare che allatterebbe “troppo a lungo” una madre che allattasse un bambino di nove anni! Ma no, sono sicura che qui da noi si intenda un bambino sopra l’anno di età, anche se l’OMS raccomanda che l’allattamento prosegua almeno per tutto il secondo anno ed oltre.
L’allattamento non è solo “alimentare” un bambino. Chi vede solo questo e quindi parla di “alimentare troppo”, non sa nulla di allattamento.
L’allattamento, oltre a fornire elementi preziosi per la crescita e lo sviluppo psicofisico, che vanno al di là dei semplici nutrienti fatti di vitamine, sali minerali, ecc. (elementi, peraltro, che non sono contenuti in nessun alimento alternativo), è anche parte della relazione fra la mamma e il suo bambino. Una relazione che si sviluppa in modo diverso tante quante sono le coppie allattanti. Una mamma che risponde prontamente e con amore ai bisogni del suo bambino (quindi che lo allatta a richiesta) lo aiuta a comprendere che è in grado di comunicare, che c’è qualcuno su cui può contare e in cui avere fiducia. Il sapere che ai suoi tentativi di comunicazione si dà risposta e che, quindi, vengono compresi, sviluppa l’autostima del bambino e affina le sua capacità di comunicare sempre meglio. Un bambino che può chiedere quando ha bisogno e che non deve dipendere da orari e dosi imposte dall’esterno e che non è detto che rispondano ai suoi bisogni, è un bambino indipendente (quanto si punta, oggi, su questa benedetta indipendenza dei bambini! Che poi non è altro, secondo me, che il far sì che imparino a stare da soli e non ci rompano le scatole. Ma noi non viviamo su un’isola deserta, ma in una società molto affollata e quello che dovrebbero imparare i nostri figli è a vivere insieme agli altri, ad essere interdipendenti gli uni dagli altri, che significa imparare a chiedere aiuto e ad offrirlo). Tutto questo farà il successo dell’allattamento e aumenterà la fiducia in se stessa della mamma e, di conseguenza, la sua autostima.
(Paola)
Gli esperti di Puro Contatto: Paola Mazzinghi
Sono consulente professionale di allattamento IBCLC (International Board Certified Lactation Consultant), abito con mio marito, tre figli e… una gattina in una frazione a pochi passi da Firenze, attaccata al pese da una manciata di case e circondata dalla campagna
Ho sofferto molto quando l’allattamento del mio primo figlio non è andato come speravo e ho quindi deciso che avrei dedicato il mio tempo a fornire le informazioni corrette a tutte le mamme che desiderano allattare, affinché non capitasse loro quello che era capitato a me.
Ho preso il diploma scegliendo di proseguire ed approfondire un percorso di studio e volontariato lungo 15 anni ed iniziato con la nascita del mio secondo bambino nel 1997.
Si sente spesso in giro che allattare è naturale, che tutte le mamme hanno il latte, che fa parte della nostra natura e quindi tutte possono allattare. Ma non si racconta che possono esserci problemi di avvio o di gestione dell’allattamento più o meno consistenti. Così quando si presentano, i genitori non sanno che sono problemi arginabili e superabili. Spesso anche molti operatori che si occupano di nascita hanno una formazione superficiale sull’allattamento e non sanno come sostenere le famiglie in modo adeguato ed efficace. Essere consulente professionale di allattamento vuol dire andare a colmare questo vuoto di informazioni e sostegno e permettere alle mamme che desiderano allattare di farlo nel modo più dolce e sereno possibile.
Personalmente, credo davvero che allattare i miei bambini mi abbia aiutato ad entrare in sintonia con loro, a fidarmi di loro e di me stessa. E che questo possa accadere con ogni mamma, di pancia o di cuore.
Contatti: 338 147 8828
paolamazzinghi@allattamentoibclc.it
Gli esperti di Puro Contatto: Erika Spina
“Non puoi scoprire nuovi oceani fino a quando non hai il coraggio di perdere di vista la spiaggia”(Anonimo)
Sono Erika,mamma di tre figli maschi e psicologa, da sempre.Mi occupo della promozione del benessere e della salute. Insieme potremo affrontare momenti particolarmente impegnativi della vostra vita, sia quando si presentano veri e propri sintomi (attacchi di panico, disturbi d’ansia, depressione, ecc.) sia quando si senta la necessità di migliorare il proprio benessere psicologico, aumentando il proprio senso di consapevolezza, autostima, realizzazione di se stessi. Tecniche di respirazione, rilassamento progressivo e training autogeno ci saranno d’aiuto.
Ho conseguito la mia laurea a Bologna nel 1998 ed ho fin da subito iniziato a lavorare come orientatrice, per la provincia di Firenze, e come docente in diversi ambiti formativi, psicologici, di crescita personale e di ricerca del lavoro. Lavorando con persone in difficoltàè cresciuto in me il bisogno di una formazione in terapia. Mi sono specializzata in Psicoterapia Sistemico Relazionale Familiare, formazione che ha cambiato completamente il mio modo di lavorare, di vedere il mondo e le persone, arricchendomi sia da un punto di vista emotivo che di competenze professionali. Nel 2003 ho aperto il mio primo studio. Negli anni ho partecipato a numerosi seminari e corsi di formazione inerenti soprattutto alle tematiche della separazione e divorzio e gestione dei figli nella separazione e divorzio.
Credo da sempre che la psicologia nella vita di ogni giorno ci aiuti a vivere meglio con i mezzi che già sono in nostro possesso attraverso il confronto con gli altri, la dove l’esperienza di qualcuno è spunto di crescita per tutti.per questo ho organizzato incontri/confronti su diverse tematiche soprattutto legate all’essere genitori oggi.
Lavorando con le famiglie e gli individui mi sono resa conto che sempre più i problemi sono causati dalla scarsa consapevolezza con cui portiamo avanti le nostre vite e le nostre scelte. Il lavoro terapeutico spesso concentrato sul recuperare forze ed energie già in possesso del paziente, spesso sopite dalle abitudini. Questa mia naturale inclinazione mi ha portato ad avvicinarmi alla mindfulness una pratica che attraverso l’uso della meditazione permette di ricentrare se stessi; per dirla con le parole di Jon Kabat Zin “ … è una modalità di prestare attenzione momento per momento nell’hic et nunc, in modo intenzionale e non giudicante, al fine di risolvere (o prevenire) la sofferenza interiore e raggiungere un’accettazione di sé attraverso una maggiore consapevolezza della propria esperienza che comprende sensazioni, percezioni, impulsi, emozioni, pensieri, parole, azioni e relazioni”.
Percorsi per il benessere sessuale sia individuali che di coppia, per una riappropriazione consapevole della propria sessualità.
Percorsi di alimentazione consapevole.
Effettuo consulenze in psicologia, psicoterapia, consulenze tecniche di parte per separazioni o divorzi (sono anche consulente tecnico di ufficio per il Tribunale di Firenze), consulenze di orientamento al lavoro e alla formazione (ridefinizione dell’obiettivo, predisposizione di un progetto formativo, bilancio di competenze, tecniche attive di ricerca del lavoro)
Contatti:
338 392 9707
Erika.spina@famigliealcentro.com
Gli esperti di Puro Contatto: Federica Giuliani
Sono formatrice, tutor, facilitatrice, animatrice digitale.
Ideatrice del progetto H@ppynet sulla prevenzione di bullismo e cyberbullismo (2015) e co-conduttrice di eventi mirati all’educazione digitale.
Sono anche progettista socioculturale e project manager.
Collaboro principalmente con l’agenzia formativa Foreda Toscana.
Mi interessa sviluppare il pensiero divergente, le intelligenze collettive e il cambiamento di prospettiva.
Mi piace ridere.
Mi piace cercare e trovare intensità.
Nelle emozioni, nelle persone, nelle esperienze, nel lavoro.
Amo leggere, scrivere, capire e approfondire.
Mi piacciono tantissimo i saggi, ma non mi fermo lì (sarebbe troppo facile, eh!). Per esempio adoro anche inventare fiabe.
Il mio primo ebook (2020) è dedicato ad una fiaba sui desideri “Fuori c’è il sole. Tornare ad illuminarsi”.
Per collaborazioni, consulenze o qualsiasi curiosità scrivetemi a
Gli esperti di Puro Contatto: Chiara Muratori
Ho anche lavorato e collaborato per quasi un anno con il centro Futura di Firenze potendo toccare più da vicino il percorso di coppia di fecondazione assistita e ho avuto occasione di accompagnare le coppie nel loro percorso iniziato con qualche difficoltà in più ma senza qualcosa in memo.
Da più di un paio d’anni pratico con grande soddisfazione la tecnica della Moxibustione, conosciuta più da vicino grazie un tirocinio formativo post laurea durato 6 mesi presso l’ambulatorio di medicina cinese dell’asl di Pontedera. La Moxibustione è una tecnica principalmente conosciuta per l’invito alla capriola del bimbo in presentazione podalica ma lavorando sul piano energetico trova molteplici applicazioni in gravidanza, in preparazione di Travaglio e parto,in sostegno alla lattazione fino alla cicatrizzazione di ragadi.
Essere ostetrica credo sia un percorso che duri tutta la vita, fatto di formazione professionale e formazione personale, con quest’ultima mi riferisco a ciò che ogni coppia, ogni mamma e bambino ti lascia. Essere scelta dalla coppia è un grande onore così come essere partecipe e presente al miracolo della vita, un momento intimo e importante. Scegliere l’ostetrica e il percorso più adatto dovrebbe essere un diritto di ogni coppia e una scelta di fiducia che non si ferma con la nascita ma continua, volendo, per tutto il primo anno di vita del bambino con particolare attenzione alla tappa di crescita, che più spaventa, detta volgarmente Svezzamento. L’ostetrica è la figura che conosce la fisiologia del lattante e del bambino e accompagna con naturalezza questo passaggio dalla poppa alla pappa.
Inoltre ci tengo a sottolineare che la figura dell’ostetrica, come noto, non accompagna solo l’evento nascita nella vita di una donna ma tutte quelle tappe dall’adolescenza in poi fondamentali della sfera femminile intima. Si occupa infatti di anticoncezionali, ovvero è una grande esperta a 360 gradi sulle varie possibilità per la coppia. Il suo compito è trovare insieme il metodo che più si addice per esigenze personali, informare sulla sicurezza del metodo e praticità dello stesso. Non solo, anche la menopausa rappresenta una tappa fondamentale nella vita di una donna e conoscerla nel profondo, accettarla e aiutarsi con metodi naturali e non farmacologici può rappresentare una seconda rinascita, cosa che, se compresa realmente è la menopausa.
Avere un riferimento ostetrico quindi credo che rappresenti un caposaldo nella vita di una donna, così andrebbe tramandato alle nostre figlie e nipoti per non sentirsi mai sole, inadatte o strane ma libere di esprimersi in tutte questi momenti in rosa troppo spesso considerati tabù dalla società.
La legatura migliore
Un anno fa circa partecipai ad un meraviglioso convegno tra i cui relatori c’era Carlos Gonzales.
Parlava di relazione e di autorevolezza.
Con il suo solito stile, perfetto e divertente, esordì:
<<Parliamo di autorevolezza…quindi parliamo di qualcuno famoso per la sua autorevolezza. Per esempio…Che ne so? Dio. Lui è stato bravissimo perché ha messo solo 10 regole. 10. Non ha iniziato con “non metterti le dita nel naso”, “non disegnare sulle pareti”, “non lanciare sassi” e via dicendo”>>.
Risate.
Eppure, quella riflessione così ironica mi ha provocato una specie di rivoluzione: ha portato a galla ed ha dato forma ad un sentire che aleggiava nella mia coscienza e da quel giorno sono più consapevole di ciò che veramente ha valore, e che può essere applicato in ogni campo, anche nel mio lavoro.
E quindi rieccomi a parlare di babywearing.
Ci sono stati alcuni episodi negli ultimi tempi che mi hanno fatta molto riflettere, ne cito alcuni:
- una mamma su un gruppo Facebook chiede quale sia la migliore legatura per un neonato: le risponde una cascata di secchi “triplo sostegno”;
- una collega su un altro gruppo afferma, solida come la pietra, che le legature migliori con la fascia rigida sono la FWCC e la Kangaroo;
- una collega neomamma porta con tecnica, disinvoltura e competenza il figlioletto di un mese e mezzo sulla schiena e scatena un panico di rimostranze;
- una mamma chiede quale sia la migliore legatura sulla schiena e chi le risponde “dipende da come sei te” si conta sulle dita di una mano;
Abbiamo evidentemente tanto bisogno di confini rassicuranti, di tante regole dettagliate.
Perché le regole, come il mondo medievale, sono rassicuranti: la Terra al centro, 7 Cieli di cristallo, le Stelle fisse – quali sono le legature migliori in assoluto, le fasce migliori in assoluto, il momento migliore in assoluto di introdurre una nuova legatura.
Quasi si arriva a toccarla questa solida certezza geografica ed emotiva, come le pareti di un utero.
Eppure siamo nati e adesso la sfida è ri-nascere come genitori, come persone mature e in contatto le une con le altre.
E per rinascere dobbiamo rinunciare alle sicurezze, imparare che mani e piedi non toccano più i confini del nostro mondo, che l’Universo è infinito e a volte fa pure un po’ paura.
Ed un modo bello e prezioso per farlo è, con umiltà, mettersi in ascolto, in osservazione e darsi, come fa Dio, poche regole imprescindibili.
Il babywearing non è una scienza esatta. La sua parte scientifica riguarda la posizione finale, non le legature, non le fasce. E dalla parte scientifica attingiamo per costruire le nostre poche regole.
La posizione verticale, il rispetto della cifosi fisiologica e dell’ampiezza delle gambette, la posizione ad “M” di gambe e sederino, la vicinanza al genitore e la tensione del supporto che garantiscano un sostegno ottimale della schiena evitando la compressione toracica e le posizioni fuori asse.
Quando queste condizioni sono rispettate, possiamo liberarci dal bisogno di tante regole, di tante sicurezze ed iniziare a costruirle da soli. Osservandoci, osservando i nostri bambini, rispettando ed onorando le nostre esigenze.
Nel mio lavoro incontro tante famiglie. Ed ogni famiglia che incontro ha bisogno di un approccio, una legatura, un accorgimento specifico e diverso da ogni altro. A seconda della loro storia, della loro fascia, delle loro caratteristiche fisiche, emotive o caratteriali.
Ho visto genitori che avevano bisogno di un triplo sostegno perché avevano una fascia elastica, perché avevano una storia complicata e sentivano il bisogno di una coccola in più, perché avevano bisogno di mettere in fascia il loro bimbo a legatura chiusa per iniziare a fidarsi della fascia o di sé, o per altri mille motivi.
Ho visto neonati che si adagiavano perfettamente nell’incrocio di una doppia x con la testina perfettamente sostenuta dal lembo corrispondente alla nuca.
Ho visto genitori eseguire la stessa doppia x e preferirne i lembi raggruppati vicino al collo oppure spostati sull’articolazione.
E neonati che gli incroci proprio non li sopportano e nella x fasciata ci stavano da re. E mamme che preferivano la x fasciata mentre i papà la doppia x e viceversa e neonati che comunque e con qualsiasi legatura, se la ronfavano.
Genitori che mi hanno chiesto di accompagnarli a portare i loro figli sulla schiena a 3, 4, 6, 8, 10 mesi. Genitori che hanno iniziato ad usare la fascia mentre erano ancora in attesa e genitori che si sono approcciati al babywearing con i figlioletti già grandi.
Credo sia inutile stare ad elencare le mille variabili che può avere una coppia portato-portatore.
Perciò mettiamoci in ascolto: cosa ci fa stare bene e cosa no, cosa ci fa stare tranquilli, cosa ci agita. Come il nostro bambino reagisce alla legatura proposta, se la legatura che abbiamo scelto è correttamente eseguita, se abbiamo o no altre opzioni, se il momento è quello giusto.
Leghiamo intorno al bambino. Diamoci tempo. Lasciamo accomodare i nostri piccoli sul nostro petto offrendo loro l’avambraccio per sedersi. Quella posizione che loro stessi assumono è la posizione che – sia quale sia la legatura scelta – va preservata e ricercata.
Spogliamoci di pregiudizi e limiti, delle proiezioni del mondo adulto su quello infantile (così diverso!).
Diffidiamo dalle certezze. Da genitori e da professionisti. Non stanchiamoci mai di porci domande, di confrontarci con altri professionisti: fisioterapisti, osteopati, ostetriche, ginecologi, neonatologi, psicologi. Rifuggiamo le formulette perché ci offrono solo una piccola realtà racchiusa e confinata che è davvero troppo distante dal mondo reale.
Al centro, l’ascolto. Aperto, libero, disponibile, carico solo di umiltà: quella dovuta alla grande complessità dell’essere umano.
Per scoprire come quell’Infinito che tanto ci ha spaventati, sia stracolmo di bellezza.
(Veronica)
Ovviamente tutto questo vale per le condizioni di fisiologia. Per ciò che ne esula, dobbiamo necessariamente affiancarci all’equipe medica che segue il portato o il portatore. Ma l’osservazione, l’umiltà e l’ascolto rimangono un passo importante.
Cantate Mamme!
Parliamo ai nostri bimbi fin da quando sono nella nostra pancia, quando ancora non li abbiamo incontrati ma già li conosciamo. Gli parliamo e anche cantiamo per loro, lo facciamo spontaneamente, perché sappiamo che in qualche modo ci possono sentire e anche capire. Da dove ci viene questa sicurezza? E’ l’istinto della mamma, è la profonda saggezza del nostro corpo che ci porta a ricercare una relazione con il nostro bambino fin dal momento che sappiamo, sentiamo, della sua presenza. Ed è vero, il nostro bambino, là dentro, al sicuro, nel suo mondo tutto speciale, può sentirci. Non solo, lui ci sente in un modo totale e totalizzante. Sente la musica della sua mamma. Si, perché ogni donna in gravidanza è totalmente Musica, con i suoi movimenti, i suoni del corpo, il ritmo del respiro, il battito del cuore… e naturalmente la sua voce. La voce della mamma è la musica più bella per ogni bambino. Il suono arriva da dentro e da fuori, si trasmette attraverso le strutture del corpo materno e nel liquido amniotico ogni vibrazione giunge al piccolo corpicino formandolo e in-formandolo. I suoni contribuiscono alla formazione della sua struttura fisica e nervosa; esperienza prima ed attivante per gli organi di senso, diventa esperienza affettivo-relazionale. Il bambino “sente” la nostra voce ricevendola con tutto il suo corpo, e tramite essa sente tutta l’emozione che proviamo mentre gli parliamo o gli cantiamo. Il feto cresce all’interno della pancia della mamma, potremmo dire che più vicino di così non si può, ma il contatto con lei avviene tramite il dialogo sonoro fatto di suoni e movimenti: il feto si muove, reagisce, ‘risponde’, quando sente la voce della mamma, e anche del papà.
Il contatto mamma-bambino attraverso la voce è un contatto magico, musicale, fisico, spirituale. Permette di costruire una relazione sonora che dura tutta la gravidanza e oltre. Il bimbo riconoscerà la voce della mamma e anche le melodie che gli cantava, e sarà per lui tranquillizzante perché gli riattiverà uno stato di sicurezza e calma.
La voce della mamma che parla, o canta, al suo piccolo, è una voce particolare: l’essere indirizzata a lui, la sua intenzionalità comunicativa, le conferisce caratteristiche timbriche particolari e riconoscibili dal bambino.
La nostra voce, quando ci rivolgiamo al nostro bambino, ha un colore e un calore speciale, è avvolgente, e regala al bimbo l’esperienza di essere pensato e immaginato, accolto e amato.
Quindi cantate mamme! Il vostro canto è un regalo per voi e per il vostro bambino, una “coccola sonora” tutta vostra.
Cantate per voi, per godere della musicalità tutta speciale della gravidanza, perché il canto rilassa, scioglie le tensioni, regolarizza il respiro, attenua il dolore.
Cantate per ascoltarvi, per contattare la vostra emotività, fare esperienza piena della magia di diventare mamma, ad un livello che va oltre il pensiero razionale.
Cantate ai vostri bimbi in pancia, che vi sentono, vi esperiscono, e una volta nati vi ri-conoscono nella voce, e fanno esperienza di continuità. Lasciate che la vostra Musica accompagni la vostra gravidanza e arricchisca lo sviluppo del vostro bambino.
Cantate ai vostri bimbi tenendoli in collo, ancora meglio in fascia, avvolgeteli con le vostre vibrazioni, coinvolgeteli nella musicalità della vostra relazione, che non sarà solo nella voce che uscirà dalla vostra bocca ma nel contatto con il corpo vibrante, il ritmo e il movimento, il massaggio cadenzato del respiro.
E infine, cantate anche con il papà, così che anche nel suono si uniscano le energie del femminile e del maschile, che il bimbo senta la forza e la presenza di entrambi, di questa famiglia che nasce.
(Tiziana)
Gli esperti di Puro Contatto: Tiziana Pericoli
Dott. Tiziana Pericoli
Psicologa, Counsellor, Psicoterapeuta della Gestalt.
Si occupa di gestione dell’emotività e delle difficoltà relazionali, lavora in psicoterapia individuale e conduce gruppi esperienziali.
Ha approfondito le potenzialità della voce come strumento terapeutico di espressione ed elaborazione.
Si occupa in particolare di sostegno psicologico in gravidanza, percorsi di rilassamento e pratica vocale.
Con il suo progetto “Mamme In-Canto” promuove l’uso della voce, associata a respirazione e movimento, per la gravidanza, il parto e la relazione con i neonati. Conduce incontri di gruppo “Canto In Pancia” e “Canto In Fascia”, in collaborazione con Puro Contatto.
contatti:333/5985035
Studio Pericoli
Via Fabroni 7
Firenze
Ti porto…al sicuro
Siamo in estate, e come ogni estate piano piano si viene sommersi – è proprio il caso di dirlo – da pubblicità di supporti per il babywearing “adatti a portare in acqua”.
Questo mi fa sentire l’esigenza di scrivere di sicurezza che è un argomento prezioso ed importante e, prendendo la palla al balzo, parlarne allargando a più situazioni la mia riflessione.
Dividerò quindi questo articolo in sezioni, cosicché sia di facile consultazione anche parziale a seconda dell’interesse di ciascuno. Iniziamo…
SUPPORTI E LEGATURE
per portare in modo sano e sicuro ci sono numerosi supporti ergonomici e numerose tecniche utilizzabili a seconda delle necessità e preferenze. Non è questo il luogo per dilungarsi in tempi e modi d’uso ma mi preme sottolineare delle caratteristiche necessarie ad entrambi per essere considerati sicuri e corretti.
Fasce portabebè e tecniche di legatura
Le fasce usate per portare i bambini non devono mai avere cuciture che ne interrompano la trama (es. non si possono unire due pezzi di stoffa per ottenere la lunghezza necessaria). In caso di fasce “ring sling” (ovvero quelle corte con l’anello), è importante che l’anello non presenti saldature ma che sia “un pezzo unico” e che i bordi siano facilmente regolabili per trazione (i bordi imbottiti, ad esempio sono assolutamente impossibili da tirare a dovere) perché una fascia poco tirata è una fascia che non sostiene a sufficienza e che quindi potenzialmente provoca l’accartocciarsi del bimbo su se stesso con conseguente compressione toracica che ostacola la respirazione.
Le fasce devono essere colorate con colorazioni che non contengano metalli pesanti o elementi potenzialmente tossici (i bambini le ciucciano tantissimo!). A garanzia delle colorazioni potremmo non accontentarci degli standard di importazione dei tessuti in europa ma riferirsi a certificazioni ad hoc (la più “famosa” è, probabilmente, OEKO).
Le legature scelte devono garantire la posizione corretta del bambino (verticale, schiena a C, ginocchia più alte del sedere, piante dei piedi parallele al suolo, pochissima distanza tra portato e portatore (al massimo un pugno appoggiato al petto dalla parte delle 4 dita), almeno due dita tra mento e torace del bambino, gambette aperte ma non iperdivaricate (una “prova” utile a capire quale sia la posizione corretta del nostro bimbo è metterlo supino su una superficie semirigida: lui solleverà d’istinto le gambette verso la pancia e quella posizione è la sua posizione naturale e quindi da rispettare/riprodurre durante la legatura).
Una piccola digressione merita la posizione cosiddetta “a culla”.
(Dal mio contributo su “I cuccioli non dormono da soli” di A.Bortolotti. Bibliografia nel testo originale).
Gli studi e le statistiche sul rischio di morte in fascia si riferiscono nella loro totalità al cattivo uso di questa posizione. Si tratta di una posizione in cui il bebè viene adagiato sdraiato sulla stoffa, con il proprio fianco a contatto con il torace del portatore. La posizione è corretta quando il pancino è rivolto verso l’alto, la testa è più in alto del sedere, le ginocchia rannicchiate verso la pancia, la stoffa ben tesa in modo che la colonna vertebrale e la testina siano sostenute in asse e che il piccolo non si “accartocci” né affondi nella stoffa. Il problema è che la posizione corretta è piuttosto difficile da mantenersi, principalmente perchè i neonati, d’istinto, si girano verso il portatore. In questa posizione ruotata, la stoffa produce una tensione forte sul torace che può impedire il corretto movimento toracico della respirazione. Anche per quanto riguarda la prevenzione alla displasia, questa posizione non è consigliabile perchè allo stesso modo, la stoffa – nel momento dell’inevitabile torsione del bambino verso il genitore, tende a schiacciare verso l’interno la gambetta (e quindi l’incastro del femore con l’anca non viene mantenuto nell’angolazione ottimale).
Supporti strutturati e semi strutturati
Normalmente i supporti prodotti dalle aziende specializzate in babywearing corrispondono ai canoni di sicurezza necessari (la comodità e le caratteristiche delle varie proposte esulano dall’argomento quindi non ne tratterò). Per quanto riguarda i supporti autoprodotti o prodotti da piccoli artigiani è necessario un controllo accurato delle cuciture e delle chiusure. Un operatore professionale di babywearing (consulente, istruttore etc) potrà aiutarvi a capire se un supporto è ben fatto e sicuro.
LUOGHI ED ATTIVITÀ
Le semplici regole del buon senso basterebbero ad indicare quali luoghi o quali attività siano compatibili con la presenza di un bambino piccolo in primis e con il babywearing in particolare. Ma, purtroppo, la bella sensazione di avere le mani libere ed il bambino saldamente assicurato a noi ci porta spesso ad andare oltre il buon senso, per cui non fa male riportare alcune indicazioni di base.
Mare, laghi, fiumi
Per portare in questi luoghi “vacanzieri”, valgono le regole generali della sicurezza.
Buona norma è andare in spiaggia con almeno un altro adulto oppure in una spiaggia
provvista del servizio di bagnino. Malori improvvisi ed inattesi possono sempre capitare per cui questa regola vale in genere anche per gli adulti senza bambini.
Fatta questa premessa, una fascia al mare può essere
comodissima: per le nanne tranquille, per una passeggiata sul bagnasciuga…o anche come copertina, amaca, parasole, paravento!
L’importante è non usare fasce o supporti per il babywearing in acqua.Portare un bambino legato a noi in acqua ci dà un falso senso di sicurezza: abbiamo le mani libere per magari star dietro ad un fratellino più grande o ad un amico peloso, non si corre il rischio che “ci scivoli” e il bambino sta tranquillo. Però questo senso di sicurezza nasconde una grande insidia. In caso che l’adulto scivoli o – peggio – abbia un malessere, il bambino rimane nell’impossibilità totale di attivare i propri riflessi salvavita e le proprie capacità di andare naturalmente verso la superficie.
Legato, immobilizzato è assolutamente passivo e rimane schiacciato dal corpo del genitore. Anche se l’incidente viene rapidamente risolto, i tempi per soccorrere il bambino e stimolarne la ripresa della respirazione si fanno terribilmente lunghi. Chi sa soccorrere sa quanto sia prezioso ogni secondo: dover aprire un supporto oppure estrarre il bambino da una legatura può compromettere davvero la sua vita. Se invece il bambino vi scivola dalle braccia per qualsiasi motivo (perchè è solo scivolato, perché siete scivolati voi, per un vostro malessere etc) si prenderà uno spavento e piangerà un poco subito dopo ma in acqua il suo istinto gli permetterà di andare verso la superficie e di essere soccorso in tempi brevissimi ed in modo efficace.
Montagna
Niente di meglio di una bella passeggiata nel fresco di un bosco o nei prati montani in cui possiamo incontrare tanti animali e vedere fiori ed alberi bellissimi! E niente di meglio che andarci in fascia o in marsupio per la comodità di grandi e piccini. Ovviamente, anche in questo caso, vige la regola del secondo adulto. In due adulti possiamo fare belle passeggiate e anche lunghe camminate in percorsi da soft trekking. Ovviamente non è assolutamente il caso di portare in una ferrata o in
arrampicata libera un bambino in fascia o marsupio. Per pur
esperti che siate, il rischio di cadere trascinando con voi il vostro bambino è grande e costante.
Certe esperienze sono belle anche perché si fatica per viverle in allenamento e capacità. Non precorriamo i tempi e lasciamo ai nostri figli la possibilità di viverle grazie al proprio percorso di vita.
Sport vari
In generale qualsiasi sport che non sia “soft” non deve essere praticato con i bambini in fascia sia per la loro sicurezza che per il benessere della nostra schiena che verrebbe sollecitata in modo esagerato: sì a camminate e a piccoli piegamenti corretti…e magari anche a qualche passo di danza (sempre relativo anche al tipo di danza che scegliamo)! Scegliamo movimenti o attività a cui il nostro corpo sia possibilmente allenato ed abituato ed eseguiamoli in proporzione alla nostra possibilità di controllo della situazione e di sicurezza per portato e portatore. Non starò certo a prendermi la briga né il fastidio mentale di fare un elenco dettagliato di attività “proibite” o sconsigliate perché sono convinta che ogni genitore abbia la piena consapevolezza di sé e delle sue possibilità e che possa anteporre il buon senso al proprio bisogno di fare con il suo bambino ciò che ha sempre fatto prima. Penso che ascoltarsi ed osservare sé stessi ed il proprio bambino, valutare con serenità e avere un buon grado di prudenza siano elementi sufficienti a prendere decisioni sensate.
Mezzi di trasporto
Non si portano i bambini in fascia in nessun mezzo di trasporto dal cavallo al cammello (sì, sono esseri viventi e non solo mezzi di trasporto ma spesso li usiamo come tali e come tali stanno in questo’elenco), dalla barca alla bici, dalla moto all’auto.
Ci sono ovviamente alcune eccezioni:
Autobus e Pullman, treni e metropolitane non hanno, generalmente, sedili di sicurezza per bambini piccoli. IN questo caso è più sicuro usare la fascia delle braccia perché questo ci mette nelle condizioni di non mollare la presa in caso di reazione ad un urto e di usare le nostre braccia come stabilizzatori di posizione. Lo stesso concetto vale anche nelle situazioni estreme ed ASSOLUTAMENTE OCCASIONALI in cui una macchina non ci offra la sicurezza richiesta: non mi riferisco certo all’auto dello zio o dell’amica che è senza seggiolino (in quel caso è responsabilità del genitore portare con sé ed usare SEMPRE i necessari strumenti di sicurezza per il proprio bambino, anche nelle macchine altrui!) ma ad esempio del servizio taxi di un Paese che non prevede sedute di sicurezza (per cui non sia possibile in alcuna maniera richiedere un taxi dotato di sedute di sicurezza) ed in cui per motivi validi non siete riusciti a portare ovetto o seggiolino da casa.
In aereo è possibile usare la fascia dal momento dello spegnimento del segnale “allacciate le cinture”.
Spesso i pericoli si nascondono dietro le situazioni più piacevoli e spensierate: l’amica fascia non si può proprio lasciare fuori dalla valigia…ma non scordiamo neppure l’amico buon senso.
Buon babywearing!
(Veronica)