Categoria: educazione e pedagogia
Mani libere…di prendersi cura
Una delle frasi che ho amato di più sulla maternità è di Verena Schmid che nel suo “Venire al mondo e dare la luce” afferma: quando nasce un bambino nascono anche una madre e un padre.
In effetti l’arrivo di un pargolo in casa porta grandi rivoluzioni e stravolgimenti: saltano gli orari, crollano le abitudini, i ritmi si serrano e tutto gira attorno al piccolo nuovo membro della famiglia. Con il passare delle settimane le cose iniziano ad assestarsi, nuove routine e nuovi equilibri prendono il posto di ciò che ormai è solo il ricordo lontano di una vita che nemmeno si ricorda più di aver avuto. La nuova famiglia sta germogliando.
Gli animali di famiglia vivono un po’ passivamente questo complesso processo di distruzione e ricostruzione su nuove fondamenta, catapultati da un giorno all’altro nel percorso di cambiamento di un gruppo familiare che fino a ieri dava sicurezza e affidabilità attraverso abitudini consolidate e rituali condivisi.
All’improvviso cambiano gli orari, si pranza e si cena in momenti insoliti, di notte non c’è più quel rassicurante silenzio, di giorno – se la famiglia è allargata – può esserci un gran via vai di persone e gli umani di casa sembrano più distanti, presi inevitabilmente dall’impegno dato dal nuovo arrivato (urlante, invadente e odoroso “di strano”, per giunta!).
Una delle abitudini più a rischio di venir sacrificate in questo periodo di riadattamento, anche nelle famiglie più inclusive dei non umani conviventi, è l’uscita con il cane. Questo vale soprattutto per la mamma e per varie ragioni: può essere reduce da un parto impegnativo che le richiede di riprendersi mentre si occupa del bimbo; può avere delle difficoltà nella gestione del piccolo che la allontanano da altre incombenze più delegabili; può essere semplicemente stanca (ebbene sì) e desiderare di trascurare alcune cose; sul lato pratico, può trovare disagevole spingere una carrozzina e gestire un guinzaglio contemporaneamente, a maggior ragione se il cane è medio-grande, lei non ha aiuti esterni ed è pervasa dalla sensazione di dover imparare a muoversi nel mondo nella sua nuova condizione.
Del cane, allora, finisce di occuparsi il papà, magari a fine giornata, stanco e desideroso di godersi il piccolo (e quindi frettoloso nel rientrare) oppure la nonna, lo zio, il cugino, persone sicuramente di famiglia ma non la SUA famiglia, dal punto di vista del cane. Quello che è un lieto evento per tutti, rischia di trasformarsi per lui in una situazione di isolamento o, comunque, di ripiego.
Ma anche per la mamma o per la coppia stessa, abituata a vivere il cane come un membro attivo della famiglia, piacevole da coinvolgere quotidianamente, dover rinunciare alle passeggiate a più zampe può risultare frustrante, oltre a togliere l’occasione di fare moto e stare all’aperto, attività importanti per evitare l’isolamento indotto, talvolta, dal prendersi cura di un bimbo sotto l’anno.
Ecco allora che la fascia può diventare uno strumento aggregante, non solo tra mamma e bambino ma tra la neo-famiglia e il suo cane.
L’uso della fascia lascia libere le mani per permettere anche alla mamma sola di condurre il cane in sicurezza, evitando la scomodità di spingere un passeggino e insieme gestire un guinzaglio. In questo modo anche il più esuberante dei cani può essere portato in passeggiata mentre il piccolo dorme o inizia a scoprire il mondo dalla sua postazione riservata.
I vantaggi vanno a doppio senso, abbracciando l’intera relazione. Il cane sentirà che la sua presenza è ancora valorizzata malgrado il riassetto sociale in corso, la mamma ha l’occasione di uscire e svagarsi e magari socializzare, al bar o in piazza, o semplicemente rilassarsi in una tranquilla passeggiata nel verde. Il bimbo inizia a godere del mondo, dell’aria aperta e del contatto profondo con chi lo ama.
Ma, se tutto cambia, è così importante fornire una certa continuità alle uscite a cui il cane è abituato? Insomma, non lo capisce che c’è un cucciolo d’uomo e la priorità ora è lui?
Certo che lo capisce. Ma dovremmo evitare di fargli credere che questo si traduca in una minore attenzione nei suoi riguardi, in un relegarlo agli scarti di tempo. Per un animale profondamente sociale come il cane questa potrebbe rivelarsi una sofferenza troppo grande da tollerare, andando a inficiare persino l’accoglienza e poi la futura relazione col neoarrivato.
I cani sono abili lettori delle dinamiche familiari e sono dotati di una grande tolleranza ai cambiamenti sociali, purché essi avvengano in nome di una coesione di gruppo di cui si sentono parte attiva. La fascia può essere uno strumento straordinario per traghettare nel nuovo mondo non solo il bimbo ma, idealmente, anche il cane in modo che il suo ruolo nel tessuto familiare resti confermato, così da gettare i semi di una convivenza che richiede solo occasioni aggreganti per evolvere e crescere.
Avrei voluto scrivere un’invettiva…
…ma l’amore che ho per il mio lavoro e per il benessere delle famiglie l’ha trasformata in un appello. E quindi…
“Il miracolo della 34 strada” è un classico della filmografia natalizia americana. Affascinante nel suo bianco e nero, nella moda anni ’30 e nei dialoghi di un livello linguistico che a confronto con la nostra quotidianità sembra quasi aulico. È un film poetico e molto dolce che consiglio a tutti, specie i più romantici.
Nell’intricata vicenda ad un certo punto Babbo Natale, provvisoriamente impiegato come sua controfigura in un grande magazzino, invece di perseguire la classica politica dello spingere ai clienti oggetti in giacenza, che in verità non desiderano e non soddisfano il loro bisogno, consiglia di rivolgersi alla concorrenza.
Quest’idea che all’inizio lascia tutti sbigottiti si rivela essere geniale perchè i clienti si sentono improvvisamente valorizzati nelle loro reali richieste e bisogni e, pur comprando l’oggetto alla concorrenza, diventano poi clienti fissi ed entusiasti del grande magazzino che li ha fatti sentire così importanti.
Ecco. Il mio appello comincia così. Come Babbo Natale.
E mi rivolgo ovviamente a tutti quelli che lavorano intorno alle famiglie: personale medico, educatori, consulenti di varia natura, doule, psicologi e psicoterapeuti, pedagogisti, counselor, osteopati, volontari, e chi più ne ha più ne metta.
Costruite intorno a voi una rete di professionisti il più possibile ampia e curata. Conosceteli uno ad uno, mettetevi in relazione, andate a vedere come lavorano, raccogliete feedback in giro e poi legatevi in proficue collaborazioni. Così, se siete in presenza di un problema e comprendete di non poterlo risolvere, potete fare affidamento su chi magari la soluzione può trovarla.
Ammettere di non riuscire non è fallire. E non è perdere “il cliente”. È fare l’unica cosa sensata in coscienza: mettere il bene della famiglia sopra ogni cosa.
Perderete soldi? quanti? 80€? 200€? quantifichiamo. Valgono la serenità e la salute di una famiglia?
Perderete stima? no. La guadagnerete. Perché quella famiglia sarà certa che per voi non c’è niente di più prezioso ed importante della sua felicità. Ed i soldi di cui sopra potranno diventare un ottimo investimento.
Mi rivolgo a tutti senza distinzioni.
Signori ginecologi non abbiate paura a chiedere aiuto ad ostetriche o agli infermieri. Sì, la loro laurea non è lunga e complessa come la vostra ma a volte un punto di vista diverso, l’esperienza, un approccio alternativo possono davvero essere utili.
Allo stesso modo, ostetriche (laddove non formate nei campi specifici) vi prego: consulenti di babywearing, insegnanti di massaggio, educatrici, doule, consulenti IBCLC sono vostre risorse non conconcorrenti. Specie per quanto riguarda l’allattamento al seno che è fondamentale: chiamatele, consultatele, consigliatele alle mamme che vogliono allattare. La vostra formazione è bella e completa ma non approfondita su questo tema come quella di una IBCLC. Non è nessun reato dire “Ho fatto il possibile adesso non so più aiutarti, però ho una collega che sono certa potrà essere risolutiva“.
Ma poi anche sul babywearing: un supporto messo male pregiudica la salute della schiena della mamma e del bambino e specie quando le situazioni esulano dalla fisiologia, chiamateci.
Le qualifiche non sono ufficiali e forse sono “poco” rispetto alla vostra laurea ma non avete fatto e fate battaglie per affermare il vostro legittimo posto accanto alla madre nel travaglio e nel parto al posto delle lauree ingombranti dei medici?
Valga lo stesso per le altre categorie. A volte non è la quantità dello studio fatto ma la qualità e l’approccio che possono offrire uno spunto diverso. Il mio amato ginecologo, Dott. Marco Santini, quando lo conobbi che stavo per partorire la mia prima bimba ,disse alle studentesse che indicavano per me il cesareo come unica soluzione: “Noi lavoriamo con le persone e con gli ormoni. Se seguite solo i protocolli queste donne le tagliate tutte”.
Noi tutti facciamo del nostro meglio e godiamo di quel riconoscimento che solo il raggiungimento della soddisfazione della famiglia riesce a creare. Ma quando la soddisfazione non c’è è inutile aggirare l’ostacolo e sminuire la necessità della famiglia. Non arriverà nemmeno se la richiesta si placa. Perché in fondo sappiamo di non aver fatto abbastanza.
Ma se mando una mamma o un papà da qualcuno di fiducia risolutivo ecco che in quel momento il mio cuore sa di aver fatto il possibile. E rimane solo amore.
Chi sostiene la genitorialità lavora con le persone. E le persone non sono frullatori. Non hanno un libretto di istruzioni. Non sono appartamenti in cui ogni impianto ha il suo professionista di riferimento e basta. Le persone sono complesse. Hanno storie, traumi, blocchi, risorse, meraviglie. A volte dove il lavoro di uno psicoterapeuta ha bisogno di tempi lunghi (assolutamete validi e raccomandabili ovviamente), un educatore può trovare soluzioni “tampone” per migliorare la qualità della vita e facilitare il lavoro di tutti. All’ultimo fantastico corso di aggiornamento AIMI sul “Il Massaggio e il bambino con bisogni speciali” una delle due meravigliose conduttrici, la Dott.ssa Simona de Simone – psicologa – raccontò come in una determinata situazione la svolta positiva fu l’intervento di una mamma, semplicemente alla luce della sua esperienza. Questo che significa? che l’esperienza di un genitore vale più di una formazione seria e di una professionalità appassionata? No. Vuol dire che in QUEL momento, in QUELLA situazione era ciò che meglio rispondeva al bisogno. E la bellezza, la sensibilità, la dedizione di un operatore si manifesta proprio in comprendere e lasciar intervenire altri senza giudizio o – peggio ancora – pregiudizio.
Ecco il mio appello. Mettetevi in ascolto. Attivate empatia, ossitocina, pazienza, disponibilità ma soprattutto umiltà. Fate il vostro meglio sempre. Anche se il vostro meglio ha un titolo o un cognome diverso dal vostro. Ricordate sempre che il vostro motore è il benessere delle famiglie. Che le guerre tra poveri per recintare un pezzettino di terra finiscono sempre con la talpa che non conosce reticolati e mangia le radici.
“Senza forti impulsi alla cooperazione, alla sociabilità, al reciproco aiuto, il progresso della vita organica, il miglioramento dell’organismo, il rafforzamento della specie diventano assolutamente incomprensibili. In realtà, lo Haldane e lo Huxley ritengono che la competizione fra adulti della stessa specie sia, nel complesso, un male biologico” – Ashley Montagu
(Veronica)
Caro Babbo Natale…
Tra pochi giorni è Natale.
I miei bambini hanno scritto la letterina che gli elfi si son portati via l’8 dicembre e adesso aspettano i regali, godendosi con impazienza le luci scintillanti del solito albero, dei soliti addobbi di ogni anno.
Li guardo e penso che il Natale è una favola bella e crudele. Penso che un sacco di bambini nel mondo non hanno da festeggiare nemmeno la vita, perché per molti di loro non è un dono ma una condanna che si prolunga in modo incomprensibile.
Penso che tanti altri sono bambini forti e felici perché sani ed amati ma abituati a non credere a nessun regalo, perché nessuno regala nulla né ai grandi né ai piccini: il lavoro è poco, lo stato sociale devastato e Babbo Natale è già tanto se mette insieme pranzo e cena.
Ma torno a guardare i mie figli. Mentre confezionano con le loro mani e tutto l’impegno del mondo piccoli pupazzi di neve che portano sacchetti di biscotti per amici e parenti.
Bisogna ricordare che la magia ormai è appannaggio di pochi eletti (tra i quali rientriamo, con un po’ di ottimismo) ma che il Natale sia la festa della magia, per me è inutile negarlo.
Ormai è una festa melting pot con la sua forza pagana, con la lettura religiosa cattolica così ingombrante, specie nel nostro Paese, con le influenze nordiche, con le sue pennellate commerciali, altrettanto ingombranti.
Babbo Natale, che sia un Santo, un folletto, un vecchietto, un guardiano, è una figura meravigliosa.
Vestitelo di rosso e pure con le bollicine, di verde e col cappello a punta, tutto dorato come una stella ma il risultato non cambia. Lui realizza piccoli desideri in modo gratuito (una cosa che davvero non sopporto e che mi sono permessa di non tramandare è il concetto meritocratico per cui Babbo Natale porta i doni solo ai “bambini buoni”).
Eppure si sente il bisogno, in giro, di prendersela con lui.
E – badate bene – non sono le categorie di cui sopra, le non beneficiarie dell’abbondanza natalina che sferrano l’attacco.
Sono psicologi, educatori, genitori scrupolosi.
Che si scagliano contro il sacco dei doni e la slitta trainata dalle magiche renne con la veemenza dei positivisti, di chi ha fatto del Reale l’agnello dorato dei propri giorni.
Perché ai bambini non si può mentire. E quindi non si può raccontare dell’esistenza di Babbo Natale. Perché poi quando scopriranno che non esiste, resteranno traumatizzati, proveranno delusione, rabbia, e perderanno la fiducia nei genitori e nel mondo.
E poi è pure servo della Coca Cola, quel tal signore vestito di rosso.
Rimango come stordita da queste riflessioni.
Non sono una psicologa, sono una mamma qualsiasi. Che si alza di notte in punta di piedi per mettere i pacchetti sotto l’albero. Uno per uno, perché un desiderio solo si realizza in questa notte magica.
Non voglio entrare nel merito delle scelte educative di ogni genitore. Ognuno prende la strada che sente più propria, in coscienza, e fa bene.
Ma davvero mi fa sorridere che si parli di menzogna.
Perchè io sono una bambina che babbo Natale lo ha visto dalla finestra della sua cameretta in mansarda. Con slitta, renne e tutto il resto.
Ero già grandicella e mi sono molto arrabbiata quando gli altri intorno a me, famiglia compresa (imbarazzata dalla mia età e dalla mia convinzione, anche contro il loro interesse) non hanno creduto che fosse vero.
Perché si capisce dagli sguardi canzonatori di chi ha messo i regali sotto l’albero mantenendo una “farsa” affettiva a cui nemmeno il figlio piccolo crede più…tanto più non dovrebbe la figlia grande.
E forse quegli sguardi avrebbero valutato il nuovo punto di vista, si sarebbero forse pentiti della menzogna, chissà…
Eppure io mi sono arrabbiata.
Perché in effetti io davvero ho visto quel che raccontavo.
Semplicemente, ancora non avevo chiara la differenza del vedere con gli occhi fisici o con gli occhi dell’immaginazione.
Forse tendiamo a scordare di legittimare il sogno della caratteristica dell’esistenza.
Forse i sogni hanno, per noi, perso la dimensione esistenziale e sono rimasti con il due di picche della dimensione emotiva a tentare di resistere agli assalti della realtà.
Per questo si parla di menzogna e di trauma: perché abbiamo dimenticato che l’esistenza dell’immaginato non è un sottogruppo dell’ esistenza fisica ma solo un’altra sfera…
Ma non c’è menzogna laddove si arricchisce la favola del valore dell’esistenza. Ci sono orizzonti più ampi, sfumature più complesse del reale. Ma nessuna menzogna.
Io, bambina e poi adulta, non ho mai smesso di credere che babbo Natale esista. Ho solo compreso che quella che mi raccontavano era una favola…e smettere di credere nelle favole mai!
Viviamo epoche strane in cui si fanno battaglie per affermare il diritto alla fantasia, l’importanza della lettura, il potere dell’immaginazione.
Ma non quando l’immaginazione entra nella sfera del vero attraverso un pacchetto scintillante o il giocattolo desiderato.
A quel punto è troppo, si vìolano i confini, si va oltre il lecito, oltre l’innocuo. Si va dove è pericoloso andare, dove non ci sono limiti. Dove il sogno è legittimato e si realizza in carne ed ossa. Dove c’è qualcuno che mette da parte il proprio ego a vantaggio della magia.
Ora che i miei figli iniziano ad essere grandi, li guardo armeggiare con la colla a caldo e penso a come accadrà che capiranno che i miei racconti sono una favola, che il regalo di Babbo Natale è prezioso perchè è un simbolo, anche se chi lo mette sotto l’albero siamo noi genitori: il simbolo del dono per donare, per il piacere di farlo, per il compito karmatico di fare felici, di regalare stupore. Come il massaggio, come il leggere una storia, come il legare sulla schiena quando non hai da andare in nessun posto, come le coccole sul lettone il sabato mattina.
Spero che di questi sogni di oggi, di questa attesa, di questa emozione che solo il dono ed il gesto fini a se stessi, disinteressati, possono provocare, resti il sapore ed il segno.
Spero che di questa loro determinazione di scrivere la propria lettera, di definire il loro desiderio, di andare a letto per non essere sorpresi svegli dalla magia (che si sa, da svegli funziona decisamente peggio!) resti traccia nel loro crescere.
Che faccia di loro persone consapevoli di quanto è potente il dare senza voler necessariamente ricevere, che faccia di loro persone libere di desiderare, capaci di sognare, determinate a far di tutto per realizzare il proprio sogno, per trasformare il mondo in un posto migliore.
Questo chiedo a Babbo Natale. Ed un po’ di pace, ed un po’ di uguaglianza per i miei fratelli e le mie sorelle nel mondo.
(Veronica)
Leggere, leggere…(prima parte: i libri illustrati)
…E a grande richiesta ecco le liste dei miei libri magici!
Non li dividerò per età perchè secondo me quasi nessun libro è adatto ad una sola fascia etaria.
Men che meno li dividerò per genere (libri per maschi, libri per femmine) perchè è proprio un’eresia.
Per una volta non consiglierò saggi o simili perchè lo faccio tutto l’anno e mi sono annoiata.
La suddivisione sarà semplicemente tra illustrati, storie con immagini e senza. Poi, vedete voi…
Non vi racconterò trame e non vi dirò se sono o meno adatti all’età del vostro bambino. E questo perchè non siamo solo noi che scegliamo i libri: anche i libri ci scelgono. Con i loro colori, il formato, l’odore. Quindi andate in libreria, portate pure questa lunga lista ma poi guardateli e scegliete solo quelli che vi colpiranno. Ogni libro è se stesso anche grazie all’energia di chi lo sceglie, di chi lo dona.
ILLUSTRATI
Che belli gli illustrati! Li pensiamo per i piccoli ma ogni adulto avrebbe diritto a sprofondarsi nelle loro magia.
Gli illustrati hanno poche parole ma quando sono belli, le parole vengono incorniciate e valorizzate dalle immagini e si crea qualcosa di molto simile alla poesia.
Tra gli illustrati che ci sono piaciuti di più, in ordine rigorosamente insensato, sparso e mescolato, ci sono quelli che sto per elencare. Manca sicuramente qualche titolo magari anche importante perchè ne abbiamo letti tanti in sette anni. Ma se notaste dei grandi assenti, non esitate a commentare questo articolo suggerendoli!
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Tutti i libri di Leo Lionni (Babalibri). Inutile stare a fare l’elenco della lavandaia. Sono libri preziosi, con uno stile inconfondibile e molto suggestivo. Parlano di amicizia, di unione, di differenze, di complementarietà, di valore di ogni individuo e del suo ruolo sociale.
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La grande fabbrica delle parole (Terre di Mezzo). Un piccolo grande libro con poche parole, disegni meravigliosi e un messaggio importante sul sentimento, anima della comunicazione.
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La prima volta che sono nata (Sinnos). Un viaggio nella vita attraverso le tappe importanti, sempre intrise di emozioni e relazioni. Per chi ama commuoversi con delicatezza e meraviglia
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Carlo alla scuola dei draghi (Motta Junior). Un librone con disegni incredibili. Sulle differenze ed il loro potenziale. Prosa e rime.
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Tararì tararera, storia in lingua piripù (Carthusia): un libro con le illustrazioni semplici che ci porta oltre il confine delle convenzioni linguistiche. Per esercitare la comunicazione non verbale, l’espressività e ridere molto molto molto. (nota in più: libro facilmente massaggiabile!)
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Urlo di mamma. (NordSud) Un viaggio bellissimo e catartico per genitori e bambini. Una recensione più approfondita potete leggerla qui. (nota in più: libro facilmente massaggiabile!)
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Quando sarò grande (Babalibri, cartonato): un libro semplice per iniziare a pensare che a volte i cattivi lo sono perchè gli altri li pensano così.
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Il piccolissimo bruco mai sazio (Mondadori): un libro buffo con illustrazioni incantevoli che parla della più poetica tra le metamorfosi del mondo animale.
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C’è qualcosa di più noioso che essere una principessa rosa? (Settenove): illustrazioni poeticissime per un libro che libera il diritto ai colori e ai sogni di bambini e bambine!
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Il re che non voleva fare la guerra (EDT Giralangolo): ancora un viaggio per il mondo ed i punti di vista. Contro gli schemi sociali, sull’affermazione di sé (e sulla pace)
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Zampe fatte così (La Coccinella): un libro in rima, con buffe illustrazioni che si fa un giro tra le caratteristiche delle zampette degli animali e che propone una bella riflessione su come desiderare di essere ciò che non siamo porta spesso a risultati non del tutto soddisfacenti.
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Un trascurabile dettaglio (Terre di Mezzo): un libro delicatissimo dalle illustrazioni buffe sulle diversità. L’aspetto negativo della diversità è negli occhi di chi guarda…e basta poco per trasformare un difetto in un tesoro
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La principessa azzurra (Coccole Books): ancora un libro che scalza ogni pregiudizio di genere e che fa gli sberleffi alle aspettative sociali su bambini e bambine.
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Salverò io la principessa! (Lapis): una fantasia divertente e buffissima come lo sono i giochi dei bambini. Con finale a sorpresa…
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mangerei volentieri un bambino (Babalibri): sui tempi e i modi dei desideri, sui percorsi di crescita, sulla preoccupazione dei genitori per il cibo che pare sia trasversale addiruttura tra le specie. Ah…e sui coccodrilli!
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Il nemico (Terre di Mezzo): un libro doloroso ed importante come la guerra e pieno di pace da costruire attraverso l’incontro ed il riconoscersi. Ancora un viaggio attraverso se stessi, gli altri, le aspettative sociali e la manipolazione dell’individuo. I disegni sono essenziali e piccoli quasi annegati in un deserto bianco. Molto forte ed emotivo.
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Ajdar (Rizzoli): un libro sul rispetto per il pianeta e sull’infanzia come speranza del mondo. Un libro che ha deciso di scardinare i luoghi comuni sul coraggio, sui ruoli e sulla paura. Illustrazioni fantastiche, una storia bellissima.
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La principessa e il drago (Sottosopra): allargando i propri orizzonti si scoprono amici dove i pregiudizi ci indicavano nemici. Ed è così che si arriva ad essere liberi.
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La principessa ribelle (Salani): un libro giocoso e buffo su un argomento serissimo. Il riproporsi infinito di situazioni che ci stanno strette, finchè ci affidiamo all’intervento di altri per decidere della nostra vita. Un libro che ci insegna la libertà, la chiarezza dei propri sogni e la forza per realizzarli che si nasconde dentro di noi.
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Nina (Ed. Curci): un libro in bianco e nero sulla storia di Nina Simone e sul razzismo. Come affrontare un tema profondo e doloroso sulle note di una poesia che spazia dalla musica alle immagini alle parole.
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La Guerra degli Elefanti (Mondadori. Di David McKee, l’autore del famoso Elmer i cui libri in generale non sto neanche a nominare perchè, come i libri di Leo Lionni, non hanno bisogno di presentazioni né raccomandazioni). Un libro geniale, sulla guerra e sulla sua drammatica inevitabilità finchè le differenze saranno vissute come un problema. Un libro sulla ricchezza della pace, e sulla potenza del rifiuto dello scontro.
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Dieci dita alle mani, dieci dita ai piedini (Il Castoro): un libro in rima, dolcissimo e massaggiabile. Sulle differenze che non cambiano l’essenza.
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Dalla testa ai piedi (La Margherita, cartonato): per leggere, giocare e conoscere il corpo e le sue potenzialità.
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Una mamma albero (Lapis): un libro commovente sulle mamme e sugli alberi. Dalle radici ai rami, la base sicura della relazione mamma-bimbo.
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Le mani di papà (Babalibri): un libro commovente sui papà, il loro ruolo educativo ed emotivo, le loro grandi mani.
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Il buco (gribaudo): un libro magico sul nostro mondo interiore che spesso percepiamo come mancanza di qualcosa, come difetto e con cui iniziamo a convivere nel momento in cui ne accettiamo l’esistenza…e a quel punto si fa piccolo, il buco, ma straordinariamente magico! Un libro graficamente affascinante e ricchissimo di spunti.
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Il mostro peloso (Emme Edizioni): chissà che l’aggressività dei mostri non provenga dalla loro mancanza di ironia. Oppure dalla paura delle proprie caratteristiche…una bambina coraggiosa ed irriverente rompe l’incantesimo della solitudine.
Un po’ più difficili da trovare:
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Nasce un bambino, naturalmente (Scuola Elementale di Arte Ostetrica). In tre lingue (italiano, francese, tedesco), sul parto. Con disegni di una delicatezza che solo l’assenza di pregiudizio, l’accoglienza ed il rispetto possono creare.
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Il tesoro di Lilith (Carla Trepas Casanovas): un libro sulla sessualità femminile durante il percorso della vita, la storia di un albero che voleva ballare
Mi fermo qui, consapevole che questa lista è incompleta e che probabilmente vi ho lasciato fuori libri importantissimi e bellissimi. Mi fermo qui perchè voglio mettere un punto, perchè questo elenco non vuol essere una guida ma un’ispirazione a nuove scoperte letterarie o a piacevoli ri-scoperte.
Se, come me, state a Firenze fate un salto in libreria! Ad esempio alla mia amata
Libreria Marabuk (che ringrazio per la foto dell’articolo) in via Maragliano 29/e
o per chi sta dall’altra parte della cittò, la
Libreria Gioberti
in via Gioberti 37/a
Buona lettura a tutti, grandi e piccini.
(A breve anche le altre due liste!).
La paura del contatto
Cosa posso scrivere, io, come mamma, come consulente per l’allattamento, a proposito del tema del contatto con il proprio bambino?
C’è qualcosa di nuovo di cui posso parlare, o c’è qualcosa di già appurato, ma ancora da approfondire? O forse è meglio che parli solo della mia esperienza come mamma?
Quello che è sicuro è che, se scelgo di parlare solo come mamma, non posso evitare di parlare anche di ciò che ha significato per il mio maternato la scoperta e lo studio della fisiologia dell’allattamento e di tutti i temi ad esso collegati, che ho appreso nel mio cammino per diventare consulente.
Sono sempre stata una persona molto amante delle coccole, ho sempre amato il contatto fisico con le persone che amo.
Quando è nato il mio primo bambino, mi è quindi venuto naturale coccolarlo, tenerlo in braccio il più possibile. Il problema è sorto quando questo mio modo di sentire si è scontrato con le opinioni di alcuni. “Lo vizi” era, ovviamente, quella più quotata.
Rispondevo che, se non lo avessi coccolato mentre era piccolo, difficilmente avrei potuto farlo una volta cresciuto. “Non credo che a vent’anni vorrà essere tenuto in braccio dalla mamma, quindi è meglio che ne approfitti adesso”, rispondevo.
Ma quando le opinioni sono diventate sentenze e presagi di sicuri danni, provenienti, questa volta, da “fonti autorevoli”, ecco che ho vacillato. Di giorno sì e di notte no.
Come ho potuto dare ascolto a queste idee, me lo chiedo ancora. Credevo di avere un’intelligenza nella media, ma devo dire che in quel periodo il mio spirito critico, la mia capacità di discernimento e la mia stessa esperienza personale di bambina coccolata e tenuta, a volte, nel lettone, erano completamente svanite.
Quando è nato il secondo figlio e le mie conoscenze si sono ampliate, anche la mia forza di volontà e sicurezza in me stessa sono cresciute di pari passo.
Dove altro poteva stare, il mio bambino, se non in braccio a me? Dove altro poteva dormire, se non con i suoi genitori?
Uscita da poco da un’esperienza di notti insonni passate a camminare per casa o seduta in poltrona (ebbene sì, non chiedetemi perché, ma ho dato ascolto ad un libro che diceva che dormire nel lettone avrebbe causato danni… ma sul perché dormire in poltrona o in giro per casa in braccio alla mamma non causasse gli stessi danni, non ci avevo mai riflettuto), ritrovarmi ad essere travolta dagli ormoni dell’allattamento e scivolare in un sonno completamente rilassato col mio bambino sulla pancia, era un’esperienza nuova e meravigliosa.
E che dire, poi, dello svegliarsi e vedere la faccina sorridente del tuo piccolo, che ti guarda come se avesse visto la cosa più bella del mondo? C’è qualcosa, in tutto l’universo, che potrei preferire al sorriso del mio bambino? Al suo sguardo innamorato e fiducioso? Al profumo della sua pelle, al sapore del suo leggero sudore, quando lo ricopro di baci?
Cominciare una giornata così, ripaga di qualsiasi cosa. E quando, divenuto un po’ più “ingombrante”, la notte a volte non riuscivo a riprendere sonno subito perché un po’ scomoda, anche allora quei momenti di silenzio, di pace, di pausa, erano un modo per trovare il tempo di riflettere, programmare, ripensare, assaporare… tempo che, durante il giorno, con due bambini, non è facile trovare.
Il proseguimento naturale di tutto questo è stato l’arrivo del terzo bambino, il quale ha potuto usufruire anche della fascia, cosa che fino ad allora non ero riuscita a trovare. La mia schiena gliene sarà eternamente grata, ma, soprattutto, ha permesso a me stessa di soddisfare il mio essere una mamma “ad alto contatto”.
Sì, perché non è solo il bambino ad avere bisogno del contatto con la mamma!
Anche la mamma ne ha bisogno, è un bisogno reciproco.
Io ne avevo bisogno.
E tutto questo mi ha aiutato ad essere una mamma migliore, più attenta, meno stanca e meno nervosa.
A volte, quando lavoro con le mamme, capita che un allattamento sia recuperato semplicemente incoraggiando la mamma a stare a contatto col suo bambino più a lungo possibile.
Ma il contatto fa paura. Ci rende totalmente parte della persona che tocchiamo. Diventiamo tutt’uno con lei; siamo indifesi, scoperti, totalmente disponibili. Siamo noi stessi.
Il contatto fisico ci fa entrare in una relazione più profonda con l’altro. In una dipendenza di affetti.
Forse proprio per questo è tanto osteggiato.
Crescere generazioni di uomini e donne incapaci di entrare in armonia con l’altro, incapaci di lasciarsi andare all’affetto, all’empatia, al mettersi a nudo indifesi uno di fronte all’altro è, secondo me, un ottimo modo per creare società chiuse da governare senza problemi e pronte da mandare in guerra contro il primo “nemico” di turno.
Ma chi è abituato a guardarsi negli occhi, a sentire il calore del corpo dell’altro, a godere delle sue carezze, davvero riuscirà a vedere nell’altro un nemico da abbattere, piuttosto che una ricchezza da conoscere?
(Paola)
Cantate Mamme!
Parliamo ai nostri bimbi fin da quando sono nella nostra pancia, quando ancora non li abbiamo incontrati ma già li conosciamo. Gli parliamo e anche cantiamo per loro, lo facciamo spontaneamente, perché sappiamo che in qualche modo ci possono sentire e anche capire. Da dove ci viene questa sicurezza? E’ l’istinto della mamma, è la profonda saggezza del nostro corpo che ci porta a ricercare una relazione con il nostro bambino fin dal momento che sappiamo, sentiamo, della sua presenza. Ed è vero, il nostro bambino, là dentro, al sicuro, nel suo mondo tutto speciale, può sentirci. Non solo, lui ci sente in un modo totale e totalizzante. Sente la musica della sua mamma. Si, perché ogni donna in gravidanza è totalmente Musica, con i suoi movimenti, i suoni del corpo, il ritmo del respiro, il battito del cuore… e naturalmente la sua voce. La voce della mamma è la musica più bella per ogni bambino. Il suono arriva da dentro e da fuori, si trasmette attraverso le strutture del corpo materno e nel liquido amniotico ogni vibrazione giunge al piccolo corpicino formandolo e in-formandolo. I suoni contribuiscono alla formazione della sua struttura fisica e nervosa; esperienza prima ed attivante per gli organi di senso, diventa esperienza affettivo-relazionale. Il bambino “sente” la nostra voce ricevendola con tutto il suo corpo, e tramite essa sente tutta l’emozione che proviamo mentre gli parliamo o gli cantiamo. Il feto cresce all’interno della pancia della mamma, potremmo dire che più vicino di così non si può, ma il contatto con lei avviene tramite il dialogo sonoro fatto di suoni e movimenti: il feto si muove, reagisce, ‘risponde’, quando sente la voce della mamma, e anche del papà.
Il contatto mamma-bambino attraverso la voce è un contatto magico, musicale, fisico, spirituale. Permette di costruire una relazione sonora che dura tutta la gravidanza e oltre. Il bimbo riconoscerà la voce della mamma e anche le melodie che gli cantava, e sarà per lui tranquillizzante perché gli riattiverà uno stato di sicurezza e calma.
La voce della mamma che parla, o canta, al suo piccolo, è una voce particolare: l’essere indirizzata a lui, la sua intenzionalità comunicativa, le conferisce caratteristiche timbriche particolari e riconoscibili dal bambino.
La nostra voce, quando ci rivolgiamo al nostro bambino, ha un colore e un calore speciale, è avvolgente, e regala al bimbo l’esperienza di essere pensato e immaginato, accolto e amato.
Quindi cantate mamme! Il vostro canto è un regalo per voi e per il vostro bambino, una “coccola sonora” tutta vostra.
Cantate per voi, per godere della musicalità tutta speciale della gravidanza, perché il canto rilassa, scioglie le tensioni, regolarizza il respiro, attenua il dolore.
Cantate per ascoltarvi, per contattare la vostra emotività, fare esperienza piena della magia di diventare mamma, ad un livello che va oltre il pensiero razionale.
Cantate ai vostri bimbi in pancia, che vi sentono, vi esperiscono, e una volta nati vi ri-conoscono nella voce, e fanno esperienza di continuità. Lasciate che la vostra Musica accompagni la vostra gravidanza e arricchisca lo sviluppo del vostro bambino.
Cantate ai vostri bimbi tenendoli in collo, ancora meglio in fascia, avvolgeteli con le vostre vibrazioni, coinvolgeteli nella musicalità della vostra relazione, che non sarà solo nella voce che uscirà dalla vostra bocca ma nel contatto con il corpo vibrante, il ritmo e il movimento, il massaggio cadenzato del respiro.
E infine, cantate anche con il papà, così che anche nel suono si uniscano le energie del femminile e del maschile, che il bimbo senta la forza e la presenza di entrambi, di questa famiglia che nasce.
(Tiziana)
Gli esperti di Puro Contatto: Tiziana Pericoli
Dott. Tiziana Pericoli
Psicologa, Counsellor, Psicoterapeuta della Gestalt.
Si occupa di gestione dell’emotività e delle difficoltà relazionali, lavora in psicoterapia individuale e conduce gruppi esperienziali.
Ha approfondito le potenzialità della voce come strumento terapeutico di espressione ed elaborazione.
Si occupa in particolare di sostegno psicologico in gravidanza, percorsi di rilassamento e pratica vocale.
Con il suo progetto “Mamme In-Canto” promuove l’uso della voce, associata a respirazione e movimento, per la gravidanza, il parto e la relazione con i neonati. Conduce incontri di gruppo “Canto In Pancia” e “Canto In Fascia”, in collaborazione con Puro Contatto.
contatti:333/5985035
Studio Pericoli
Via Fabroni 7
Firenze
Ti porto…al sicuro
Siamo in estate, e come ogni estate piano piano si viene sommersi – è proprio il caso di dirlo – da pubblicità di supporti per il babywearing “adatti a portare in acqua”.
Questo mi fa sentire l’esigenza di scrivere di sicurezza che è un argomento prezioso ed importante e, prendendo la palla al balzo, parlarne allargando a più situazioni la mia riflessione.
Dividerò quindi questo articolo in sezioni, cosicché sia di facile consultazione anche parziale a seconda dell’interesse di ciascuno. Iniziamo…
SUPPORTI E LEGATURE
per portare in modo sano e sicuro ci sono numerosi supporti ergonomici e numerose tecniche utilizzabili a seconda delle necessità e preferenze. Non è questo il luogo per dilungarsi in tempi e modi d’uso ma mi preme sottolineare delle caratteristiche necessarie ad entrambi per essere considerati sicuri e corretti.
Fasce portabebè e tecniche di legatura
Le fasce usate per portare i bambini non devono mai avere cuciture che ne interrompano la trama (es. non si possono unire due pezzi di stoffa per ottenere la lunghezza necessaria). In caso di fasce “ring sling” (ovvero quelle corte con l’anello), è importante che l’anello non presenti saldature ma che sia “un pezzo unico” e che i bordi siano facilmente regolabili per trazione (i bordi imbottiti, ad esempio sono assolutamente impossibili da tirare a dovere) perché una fascia poco tirata è una fascia che non sostiene a sufficienza e che quindi potenzialmente provoca l’accartocciarsi del bimbo su se stesso con conseguente compressione toracica che ostacola la respirazione.
Le fasce devono essere colorate con colorazioni che non contengano metalli pesanti o elementi potenzialmente tossici (i bambini le ciucciano tantissimo!). A garanzia delle colorazioni potremmo non accontentarci degli standard di importazione dei tessuti in europa ma riferirsi a certificazioni ad hoc (la più “famosa” è, probabilmente, OEKO).
Le legature scelte devono garantire la posizione corretta del bambino (verticale, schiena a C, ginocchia più alte del sedere, piante dei piedi parallele al suolo, pochissima distanza tra portato e portatore (al massimo un pugno appoggiato al petto dalla parte delle 4 dita), almeno due dita tra mento e torace del bambino, gambette aperte ma non iperdivaricate (una “prova” utile a capire quale sia la posizione corretta del nostro bimbo è metterlo supino su una superficie semirigida: lui solleverà d’istinto le gambette verso la pancia e quella posizione è la sua posizione naturale e quindi da rispettare/riprodurre durante la legatura).
Una piccola digressione merita la posizione cosiddetta “a culla”.
(Dal mio contributo su “I cuccioli non dormono da soli” di A.Bortolotti. Bibliografia nel testo originale).
Gli studi e le statistiche sul rischio di morte in fascia si riferiscono nella loro totalità al cattivo uso di questa posizione. Si tratta di una posizione in cui il bebè viene adagiato sdraiato sulla stoffa, con il proprio fianco a contatto con il torace del portatore. La posizione è corretta quando il pancino è rivolto verso l’alto, la testa è più in alto del sedere, le ginocchia rannicchiate verso la pancia, la stoffa ben tesa in modo che la colonna vertebrale e la testina siano sostenute in asse e che il piccolo non si “accartocci” né affondi nella stoffa. Il problema è che la posizione corretta è piuttosto difficile da mantenersi, principalmente perchè i neonati, d’istinto, si girano verso il portatore. In questa posizione ruotata, la stoffa produce una tensione forte sul torace che può impedire il corretto movimento toracico della respirazione. Anche per quanto riguarda la prevenzione alla displasia, questa posizione non è consigliabile perchè allo stesso modo, la stoffa – nel momento dell’inevitabile torsione del bambino verso il genitore, tende a schiacciare verso l’interno la gambetta (e quindi l’incastro del femore con l’anca non viene mantenuto nell’angolazione ottimale).
Supporti strutturati e semi strutturati
Normalmente i supporti prodotti dalle aziende specializzate in babywearing corrispondono ai canoni di sicurezza necessari (la comodità e le caratteristiche delle varie proposte esulano dall’argomento quindi non ne tratterò). Per quanto riguarda i supporti autoprodotti o prodotti da piccoli artigiani è necessario un controllo accurato delle cuciture e delle chiusure. Un operatore professionale di babywearing (consulente, istruttore etc) potrà aiutarvi a capire se un supporto è ben fatto e sicuro.
LUOGHI ED ATTIVITÀ
Le semplici regole del buon senso basterebbero ad indicare quali luoghi o quali attività siano compatibili con la presenza di un bambino piccolo in primis e con il babywearing in particolare. Ma, purtroppo, la bella sensazione di avere le mani libere ed il bambino saldamente assicurato a noi ci porta spesso ad andare oltre il buon senso, per cui non fa male riportare alcune indicazioni di base.
Mare, laghi, fiumi
Per portare in questi luoghi “vacanzieri”, valgono le regole generali della sicurezza.
Buona norma è andare in spiaggia con almeno un altro adulto oppure in una spiaggia
provvista del servizio di bagnino. Malori improvvisi ed inattesi possono sempre capitare per cui questa regola vale in genere anche per gli adulti senza bambini.
Fatta questa premessa, una fascia al mare può essere
comodissima: per le nanne tranquille, per una passeggiata sul bagnasciuga…o anche come copertina, amaca, parasole, paravento!
L’importante è non usare fasce o supporti per il babywearing in acqua.Portare un bambino legato a noi in acqua ci dà un falso senso di sicurezza: abbiamo le mani libere per magari star dietro ad un fratellino più grande o ad un amico peloso, non si corre il rischio che “ci scivoli” e il bambino sta tranquillo. Però questo senso di sicurezza nasconde una grande insidia. In caso che l’adulto scivoli o – peggio – abbia un malessere, il bambino rimane nell’impossibilità totale di attivare i propri riflessi salvavita e le proprie capacità di andare naturalmente verso la superficie.
Legato, immobilizzato è assolutamente passivo e rimane schiacciato dal corpo del genitore. Anche se l’incidente viene rapidamente risolto, i tempi per soccorrere il bambino e stimolarne la ripresa della respirazione si fanno terribilmente lunghi. Chi sa soccorrere sa quanto sia prezioso ogni secondo: dover aprire un supporto oppure estrarre il bambino da una legatura può compromettere davvero la sua vita. Se invece il bambino vi scivola dalle braccia per qualsiasi motivo (perchè è solo scivolato, perché siete scivolati voi, per un vostro malessere etc) si prenderà uno spavento e piangerà un poco subito dopo ma in acqua il suo istinto gli permetterà di andare verso la superficie e di essere soccorso in tempi brevissimi ed in modo efficace.
Montagna
Niente di meglio di una bella passeggiata nel fresco di un bosco o nei prati montani in cui possiamo incontrare tanti animali e vedere fiori ed alberi bellissimi! E niente di meglio che andarci in fascia o in marsupio per la comodità di grandi e piccini. Ovviamente, anche in questo caso, vige la regola del secondo adulto. In due adulti possiamo fare belle passeggiate e anche lunghe camminate in percorsi da soft trekking. Ovviamente non è assolutamente il caso di portare in una ferrata o in
arrampicata libera un bambino in fascia o marsupio. Per pur
esperti che siate, il rischio di cadere trascinando con voi il vostro bambino è grande e costante.
Certe esperienze sono belle anche perché si fatica per viverle in allenamento e capacità. Non precorriamo i tempi e lasciamo ai nostri figli la possibilità di viverle grazie al proprio percorso di vita.
Sport vari
In generale qualsiasi sport che non sia “soft” non deve essere praticato con i bambini in fascia sia per la loro sicurezza che per il benessere della nostra schiena che verrebbe sollecitata in modo esagerato: sì a camminate e a piccoli piegamenti corretti…e magari anche a qualche passo di danza (sempre relativo anche al tipo di danza che scegliamo)! Scegliamo movimenti o attività a cui il nostro corpo sia possibilmente allenato ed abituato ed eseguiamoli in proporzione alla nostra possibilità di controllo della situazione e di sicurezza per portato e portatore. Non starò certo a prendermi la briga né il fastidio mentale di fare un elenco dettagliato di attività “proibite” o sconsigliate perché sono convinta che ogni genitore abbia la piena consapevolezza di sé e delle sue possibilità e che possa anteporre il buon senso al proprio bisogno di fare con il suo bambino ciò che ha sempre fatto prima. Penso che ascoltarsi ed osservare sé stessi ed il proprio bambino, valutare con serenità e avere un buon grado di prudenza siano elementi sufficienti a prendere decisioni sensate.
Mezzi di trasporto
Non si portano i bambini in fascia in nessun mezzo di trasporto dal cavallo al cammello (sì, sono esseri viventi e non solo mezzi di trasporto ma spesso li usiamo come tali e come tali stanno in questo’elenco), dalla barca alla bici, dalla moto all’auto.
Ci sono ovviamente alcune eccezioni:
Autobus e Pullman, treni e metropolitane non hanno, generalmente, sedili di sicurezza per bambini piccoli. IN questo caso è più sicuro usare la fascia delle braccia perché questo ci mette nelle condizioni di non mollare la presa in caso di reazione ad un urto e di usare le nostre braccia come stabilizzatori di posizione. Lo stesso concetto vale anche nelle situazioni estreme ed ASSOLUTAMENTE OCCASIONALI in cui una macchina non ci offra la sicurezza richiesta: non mi riferisco certo all’auto dello zio o dell’amica che è senza seggiolino (in quel caso è responsabilità del genitore portare con sé ed usare SEMPRE i necessari strumenti di sicurezza per il proprio bambino, anche nelle macchine altrui!) ma ad esempio del servizio taxi di un Paese che non prevede sedute di sicurezza (per cui non sia possibile in alcuna maniera richiedere un taxi dotato di sedute di sicurezza) ed in cui per motivi validi non siete riusciti a portare ovetto o seggiolino da casa.
In aereo è possibile usare la fascia dal momento dello spegnimento del segnale “allacciate le cinture”.
Spesso i pericoli si nascondono dietro le situazioni più piacevoli e spensierate: l’amica fascia non si può proprio lasciare fuori dalla valigia…ma non scordiamo neppure l’amico buon senso.
Buon babywearing!
(Veronica)
grazie ad Adele Ricci e a Anamaria Militaru Photography per la gentile concessione della foto in spiaggia
Tra lacrime e sorrisi
Sono ormai quasi 4 anni che incontro i genitori. Ed in modo ricorrente, perché la vita è abitudinaria anche quando si tratta di piccole o grandi sofferenze, incontro un dolore speciale: legato al parto, ad un allattamento mancato, ad una perdita in famiglia, ad una solitudine, ad un problema inatteso e troppo grande.
Mamme e papà tristi.
Mamme e papà che si sforzano di sorridere al loro piccolo, un po’ per proteggerlo un po’ perché è davvero difficile, per la nostra cultura, conciliare la sofferenza con la gioia della nascita, ammettere di essere tristi, di essere in difficoltà “in un momento che DEVE essere tanto felice”.
Come se i sentimenti avessero uno spazio limitato nel nostro cuore. Come se dove sta la gioia non possa stare anche il dolore.
Ma l’animo umano è grande, immenso e frastagliato.
E…sì, ci sta tutto nel cuore.
Ci sta la gioia.
Ci sta il dolore.
Ci sta (purtroppo) il senso di colpa.
Ci sta l’amore (e su quello puntiamo sempre).
Arriviamo ad essere genitori con in testa un modello assoluto: il genitore felice, il genitore forte, il genitore positivo, il genitore protettivo.
Da dove sia venuto esattamente questo modello non lo so dire. Forse qualche amico antropologo o psicologo potrebbe aiutarci in questo…
Quello che so è che è un modello pericoloso per tutti.
Per i genitori, perché impiegano le proprie forze per creare un’immagine positiva di se stessi invece che per elaborare la propria sofferenza.
Fino a che non diviene un’abitudine: l’immagine si fa spessa e resistente ed il dolore si nutre e cresce e rimane, silenzioso e minaccioso, nascosto là sotto, ad allevare il suo erede più crudele, il senso di colpa.
Per i bambini, perché ricevono un messaggio contrastante: come può il sorriso che vedono sposarsi con il disagio che sentono?
Eh già, non importa quanto spessa sia la crosta: i bambini vanno oltre, scovano il clandestino e lo tengono d’occhio…anzi: lo tengono a pelle, perché con quella arrivano bene fin negli angoli più misteriosi del nostro animo.
“Il bambino balinese è portato sia liberamente sul fianco […] sia dentro un’imbracatura. […] Il contatto con il corpo materno gli fornisce direttamente l’indicazione di fidarsi del mondo esterno o di temerlo: nonostante la madre riesca a controllarsi in modo da sorridere e mostrarsi gentile al forestiero o a chi appartiene ad una casta superiore, senza che la sua espressione cortese lasci trasparire il minimo timore, le urla del bambino che essa tiene in braccio ne tradiscono l’intimo panico” (Balinese Character” G. Bateson, M. Mead, 1942 – “Il linguaggio della Pelle”, A. Montagu 1989)
E cosa può comprendere un bambino da due messaggi tanto contrastanti? Come può figurarsi un bambino la complessità d’animo di un adulto?
Si chiederà se la causa del dolore sia lui? Si chiederà perché i genitori sorridono quando stanno male?
Non possiamo dirlo: certo è che questi bimbi spesso piangono in modo incomprensibile ed inconsolabile.
Magari per dar voce al dolore dei genitori costretto al silenzio o magari per dar voce all’incertezza, al senso di timore che una situazione così complicata suscita in loro.
Ma davvero dobbiamo per forza essere sempre forti e sorridenti per il bene dei nostri bambini?
Davvero i nostri bambini hanno bisogno di genitori che li tengano lontani dall’ombra del dolore anche a costo di mentire?
Davvero i nostri bambini hanno bisogno di un sorriso a tutti i costi, anche quando abbiamo il nodo in gola?
Queste sono domande a cui ciascuno risponderà secondo le priorità del suo cuore.
Io, però, oggi voglio raccontare che c’è anche un altro modo.
Un’altra strada che rimette in gioco tutto: la nostra prospettiva, le nostre possibilità di considerare, condividere, conoscere e farci conoscere, dare e ricevere fiducia.
Raccontare.
Sembra forse una cosa sciocca l’idea di parlare con un neonato.
Eppure è magica.
I bambini ascoltano.
I bambini comprendono i nostri “sto soffrendo” e soprattutto i nostri “non è colpa tua”.
Li comprendono da subito, fin da dentro la pancia.
Non so se sia il potere magico delle parole o se la mancanza di maschere lasci fluire l’energia in modo diretto ed efficace.
Ma comprendono.
E cosa può comprendere un bambino nel momento in cui la sua mamma o il suo papà apre il proprio cuore e gli racconta di un dolore?
Forse sentirà che il suo amato genitore si fida di lui? Forse sentirà con la sua pelle, con la sua magia, tutta la sincerità del mondo?
Ancora una volta, non possiamo dirlo: certo è che questi bimbi spesso smettono di piangere ed ascoltano.
Certo è, anche, che il dolore narrato, smascherato, portato alla luce, piano piano si fa più tenue, come un’ombra della notte all’alba.
Perché, raccontando il nostro dolore, concentriamo su di lui le nostre forze e ci concediamo la chance di poterlo combattere per lo meno ad armi pari.
“Affinché l’avvenimento piu comune divenga un’avventura è necessario e sufficiente che ci si metta a raccontarlo […] Quando si vive non accade nulla. Le scene cambiano, le persone entrano ed escono, ecco tutto. Non vi e mai un inizio. I giorni si aggiungono ai giorni, senza capo ne coda, e un’addizione interminabile e monotona. […] Vivere è questo. Ma quando si racconta la vita, tutto cambia” ( “La nausea” J.P. Sartre, 1932)
Non è una ricetta, non è (forse) niente di scientifico.
Ma da chi amiamo preferiamo la sincerità alla perfezione, la fiducia nelle nostre forze alla protezione che dà per scontato che siamo “troppo poco” per affrontare la vita. Preferiamo che l’amato si metta a nudo, mostrando le sue imperfezioni e le sue debolezze, invece che accompagnarci con una creazione illusoria di forza, equilibrio e serenità costante.
E per i bambini, forse, non è diverso. Forse anche a loro non servono genitori perfetti. Forse è più nutriente la sincerità.
(Veronica)
Le grandi mani di papà
Le mani di papà sono grandi e forti
rassicurano e proteggono.
E poi sanno farsi leggere e
e sanno tuffarsi nelle profondità delle emozioni.
Le mani di papà sanno aspettare
perché hanno aspettato lunghi mesi
sanno tenere con cura
e sollevare fin sopra le nuvole.
Le mani di papà sanno scivolare
hanno scivolato a lungo
sulla luna piena del pancione
cercando di conoscere
senza l’aiuto degli occhi,
guidate solo dal cuore.
Le mani di papà, che bello incontrarle di nuovo!
Forse un po’ ruvide, certo…
ma non lo sono anche certi frutti dolcissimi?
Le mani di papà lavorano
ma proprio lì,
tra il palmo e le dita
non smettono mai di stringere e proteggere
il loro grande, grandissimo amore.
(Veronica)
grazie a papà Emiljan, al piccolo Orlando e a mamma Francesca per la foto meravigliosa