SULLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE

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Ho accettato la sfida di Purocontatto , lanciàtami per tentare disperatamente una riabilitazione delle professioni di aiuto e di pensiero (non solo la mia!), anche se la vivo come una impresa molto difficile.

Di recente medici e scienziati sono messi molto in discussione, sia (con giusta causa) da genitori intelligentemente critici verso i limiti del sistema dei saperi, sia dalla cosidetta era di internet che ha visto scardinarsi la possibilità del dubbio e quindi la fiducia verso “l’esperto” fino alla sua estrema polarizzazione.

Questa stessa dinamica ha però un po’ sempre riguardato la professione che io esercito: l’assistente sociale è sempre stata vissuta dall’opinione pubblica come

“quella che mi deve dare…. \ quella stronza che si permette di portare via i bambini” e certo mai come un esperto autorevole di benessere dei minori.

Questo è in parte accaduto sicuramente  a causa di una professione che troppo spesso si è piegata all’assistenzialismo ed alla logica clientelare, ma anche perchè, come categoria di professionisti, sopratutto in Italia, stiamo facendo ancora molta fatica a dotarci di strumenti e metodi scientifici e oggettivi che rendano autorevole un sapere professionale.

All’estero la “scientificità” del lavoro sociale – soprattutto quello, difficilissimo e contestatissimo, della valutazione delle capacità genitoriali –  è molto meno messa in discussione perchè il social worker è un professionista con metodi e modelli teorici solidi e incontrovertibili.

Fino a qualche mese fa, comunque, tutto questo discorso poteva riguardare “gli addetti ai lavori” e, casomai, qualche genitori interessato dal percorso adottivo o da una separazione conflittuale…

Poi sono esplose due notizie di cronaca:

– la possibilità, prevista nel Decreto Loenzin sull’obbligo vaccinale e poi elisa da un emendamento in Senato, che le aziende sanitarie territoriali segnalassero al Tribunale per i Minorenni i genitori inadempienti all’obbligo.

– il caso del piccolo Charlie Gand, in cui la volontà dei genitori sugli atti medici verso loro figlio si è trovata in opposizione alle decisioni dei sanitari, così dover interpellare i diversi gradi di giudizio di una autorità terza su una questione drammatica e complessa.

Queste due vicende, esagerate dalla stampa ed esasperate sui social, hanno comunque portato molte mamma e molti papà, molti amici, ad interrogarsi ed interrogarmi:

  • Fino a che punto lo Stato può soverchiarmi come genitore?
  • Quando ha “diritto” a farlo, ammesso che ce l’abbia questo “diritto”?
  • Perchè non posso decidere per il mio bambino le cure più adatte a lui, il modello di salute che ritengo più opportuno?

Per rispondervi ho bisogno prima di annoiarvi coi fatti e con le informazioni, perchè ne ho sentite davvero di tutti i colori sulla legislazione,  sulle competenze e sulle procedure;  questi sono invece i punti dove un po’ di certezza e di ancoramento fattuale ci sono quantomeno di legislazione.

Poi entriamo invece nelle riflessioni, e lì le sfumature metodologiche si fanno più complesse e variegate.

I FATTI

La RESPONSABILITA’ GENITORIALE (avete letto bene: per legge, non si chiama più potestà genitoriale e tantomeno patria potestà, ed è una differenza terminologica densa di significato. Ricordiamocelo, quando rifletteremo più avanti) è regolamentata, nel nostro codice civile, dagli articoli che vanno dal 315 al 337 – con diverse modifiche e abrogazioni –  nonché dalla legge 184/1983 (diritto del minore ad una famiglia), modificata dalla legge n. 149/2001 e successivamente dal D. Lgs. n. 154/2013 .

L’elevato numero di articoli di legge ci fa capire la complessità della materia, che tocca tutti gli aspetti che riguardano la relazione giuridica tra genitore e figlio , così riassumibili:

  • custodire, ovvero destinare il proprio domicilio al minore, da cui non può allontanarsi senza il consenso del genitore;
  • allevare, ovvero fornire il necessario per sopravvivere, per esempio alimenti e vestiario
  • educare, secondo la diligenza del buon padre di famiglia, ai costumi del luogo dettati dall’esperienza comune;
  • istruire, eccezione questa tra le potestà, che consiste in un “obbligo di risultato” il cui adempimento dipende dalla prestazione di terzi, per esempio il sistema scolastico;
  • amministrare, sul piano ordinario, che comporta la gestione dei rapporti a carattere patrimoniale conservandone la sostanza;
  • usufruire dei beni, che consiste nell’uso e nel godimento di una ressenza alterarne la destinazione d’uso;
  • rappresentare, vale dire poter compiere negozi giuridici in sua vece, per es., al compimento degli obblighi scolastici, possono stipulare il contratto lavorativo di apprendistato oppure per es. permette di confrontarsi nel Consiglio di classe e con le autorità sanitarie.

In pratica, finchè va tutto bene, nella quotidianità della maggior parte dei genitori ,  esercitiamo naturalmente in ogni atto e in ogni momento la nostra responsabilità genitoriale quasi senza accorgercene, ma soprattutto senza che ad alcuno venga in mente di venire a mettercela in discussione.

Sono sempre meno rari, però , i casi in cui realizziamo, davanti a particolari eventi della vita o notizie di cronaca, che questa naturalezza non è scontata, proprio perchè fra gli articoli di legge che ho citato prima ce ne sono numerosi che affrontano proprio la regolamentazione di ciò che accade quando la responsabilità genitoriale “va in crisi” e l’autorità giudiziaria è chiamata ad occuparsene.

Pensate ad esempio, uso la casistica più frequente ormai, alle separazioni: va tutto bene finchè , essendo insieme, è quasi “scontato” che siamo d’accordo sulle decisioni da prendere per i bambini (scuola, dentista, catechismo…..).

Ma poi ci separiamo e salta fuori che non siamo più così coesi;  e siccome la responsabilità genitoriale è sempre condivisa, anche quando non stiamo più insieme, non sappiamo più capire se ha più ragione la mamma o il papà.

Chi decide in questi casi? Il giudice!

L’ordinamento lo prevede anche per le mamme e i papà sposati o conviventi, se si aprisse una divergenza.

Ma noi, fino a quel momento non  sapevamo che l’ordinamento prevede questo, e pensare che possa essere un terzo, magari avvalendosi dell’aiuto di esperti come psicologi o assistenti sociali, a toglierci un po’ del nostro potere (pensate alla parola potestà) sui nostri figli, ci fa scattare subito un aggressivo istinto di difesa.

Ma riflettiamo. Stiamo parlando di responsabilità condivisa. Facciamo un paragone con il  diritto commerciale: può capitare che due soci siano in disaccordo sulla linea migliore per l’impresa. In quel caso ci deve essere per forza la previsione di un mediatore.

La chiave non è il potere ma la migliore gestione degli interessi di UNA ENTITA’ TERZA. Tanto che se poi pensiamo che un socio o la totalità dei soci siano degli incapaci o violino le leggi sul fisco, sarà necessario nominare un curatore fallimentare, o la società andrà a rotoli.

Fino qui forse è chiaro a tutti, e probabilmente i più saranno d’accordo.

Eppure, quando si parla di giudice e di servizi sociali,  le coppie entrano in un delirio di onnipotenza per cui tendono a boicottare ogni lavoro di supporto alla risoluzione del conflitto, per mille motivi primo fra i quali la paura che “me li portino via”

E anche se, come vedremo più avanti, questa è un’ipotesi fortunatamente assai remota (nella misura in cui è l’extrama ratio), limitata davvero ai casi più gravi in cui non si può fare altro, questo spauracchio è duro a morire e contamina pesantemente il nostro  lavoro di cura.

Una certa stampa e la cattiva comunicazione della professione hanno creato questo cortocircuito, dimenticandosi volutamente di evidenziare la garanzia principale che ogni cittadino ha da questo rischio: il procedimento DE POTESTATE e’, come tutti quelli dell’ordinamento italiano, un contraddittorio con giusto processo!

Non succede, non può succedere , che un assistente sociale si svegli ed, in combutta col giudice, ti “porti via i bambini”.

C’è una pubblica “accusa”, o meglio un rappresentante dello Stato che avanza e difende gli interessi del minore in potenziale pericolo,  cioè il pubblico ministero presso La Procura Minori.

C’è la parte “avversa” cioè i genitori, con la loro “idea” di come crescere il proprio figlio; hanno dovere e diritto ad una difesa: atti, testimoni, memorie, motivazioni.

Poi c’è il giudice, chiamato a decidere se sia motivata la preoccupazione dello Stato per questo bambino o, al contrario, se i genitori non stiano creando pregiudizio o danno al bambino né violando un qualche dovere di quelli previsti dalla responsabilità genitoriale e\ o da altre leggi volte a tutelare l’infanzia.

E dove stanno gli assistenti sociali? Qui spesso casca l’asino. Non sono parte in causa. Sono ausiliari del giudice , o caso mai del Pubblico Ministero in alcuni casi (fase di indagine, predibattimentale): il loro compito è fornire quanti più elementi e informazioni sulla situazione di quel bambino a chi deve prendere una decisione per lui, oppure anche aiutare nel percorso di messa in opera di quella decisione.

Attenzione, che qui casca invece l’asino della mia categoria (perchè bisogna anche saper fare autocritica!) : gli elementi devono essere quanto più possibili oggettivi, liberi da interpretazioni e pregiudizi personali, evidence based cioè sostenute da fatti e indicatori chiari fin dall’inizio!

Voglio soffermarmi a chiarire un aspetto importante: il procedimento de potestate davanti al Tribunale per i Minorenni, che è di natura civile (non penale!), non cerca di trovare un colpevole per condannarlo,  e nanche di “dare ragione” ad una delle parti.

L’obiettivo è diverso e duplice: accertare se davvero c’è il pregiudizio per il bambino così come segnalato da qualcuno (il procuratore minorile riceve le segnalazioni di scuole, ospedali, genitori stessi, operatori, forze dell’ordine, che sono quasi sempre dubitative e interlocutorie tipo “siamo preoccupati, forse a questo bambino sta succedendo qualcosa, aiutateci..”) e, in caso ci fosse un rischio concreto, attivare tutti gli interventi necessari a superare quella condizione di disagio e rimettere il minore al sicuro CON O SENZA IL CONSENSO DEI SUOI GENITORI!

E’ chiaro che se il Giudice e\o i suoi esperti trovano in quei genitori spazi di accordo, collaborazione, accettazione dell’aiuto, il procedimento de potestate si chiude…si lascia aperto un monitoraggio, si lavora per il benessere del bambino DENTRO il benessere della sua famiglia.

Se invece questo non è possibile, se i genitori sono oppositivi e resistenti a tutto, il percorso di sostegno e cura del piccolo deve essere messo in mano alla RESPONSABILITÀ di qualcun’altro: da qui nascono i provvedimenti di limitazione o revoca della responsabilità genitoriale e l’affido a terzi.

Ora, un genitore che ha avuto la pazienza di leggere fin qui, si chiederà come può essere coinvolto in tutto questo, in che circostanza potrebbe mai “incappare” in una segnalazione e trovarsi ad affrontare uno scenario simile.

Vi tranquillizzo subito: nella stragrande maggioranza dei casi, per non dire nella totalità, parliamo di circostanze che non riguardano quasi sicuramente chi legge qui. Parliamo di famiglie con dinamiche perverse, con modalità trascuranti, maltrattanti, inadeguate per le più diverse ragioni: culturali, socioeconomiche….siete lontani da tutto questo.

Ma sono sicura che a ciascuno di voi sarà venuto in mente “quel compagno di vostro figlio, quel bimbetto che in parrocchia…”

E qui mi permetto una nota amara: per diversissime ragioni, che vanno dall’impoverimento della rete dei servizi alle modifiche legislative legano sempre più le mani ai giudici minorili: le segnalazioni si assottigliano anche se invece il disagio dilaga; e spesso le segnalazioni che si riescono a fare vengono archiviate, perchè gli elementi sono ritenuti troppo sottili.

Spesso i giudici non riescono a prendere decisioni coraggiose, perchè comunque si spezzano legami e si mette in crisi un sistema familiare: il risultato è che i bambini sono sempre più in sofferenza o in pericolo.

Questo per rispondere, lo ripeto amaramente, a chi vi fa pensare (con certe news, con certi servizi modello “Le Iene”) che sia terribilmente rischioso e facile che un bel giorno arriva un giudice e una assistente sociale e mi tolgono il bambino.

Non è così, non è affatto facile anche quando il maltrattamento è palese, anche supportato da dati certi (referti di ospedale, foto, racconti diretti del bambino…).

Anche in questo l’estremismo di una certa forma di opinione pubblica, quella sempre più dilagante nei social, non aiuta: o ci si posiziona sulla modalità condannante (bambino subito in adozione e genitore al rogo: e se ci fosse una sofferenza genitoriale dietro? una possibilità di lavorarci?) oppure su quella ipergarantista (era una brava mamma, ma che valutazioni hanno fatto gli assistenti sociali? Basate su cosa? Perchè non l’hanno aiutata? Forse la signora non vuole aiuto, forse il bambino non ha lividi ma segni ben più subdoli…).

É relativamente facile diffidare di queste modalità di giudizio: il centro è sempre il potere del genitore e non è mai la storia del bambino.

Ora arriviamo finalmente invece alla zona più grigia, ai casi più limite che ci hanno interrogato in questi giorni: i vaccini e Charlie Gand.

Intanto lasciatemi dire che la questione della responsabilità genitoriale accomuna queste due vicende per un lembo molto piccolo, solo quello che ci interroga su fino a che punto il potere dei genitori possa essere messo in discussione.

Il caso di Charlie nel suo complesso è denso di aspetti umani, bioetici, tecnici, antropologici e morali su cui io non pretendo di avere le conoscenze per potermi esprimere. Leggo e mi interrogo, continuamente.

Rispetto alla singola questione riguardo la responsabilità genitoriale di questa madre e questo padre, lasciatemi dire che io, pur da tecnica del settore, non conosco la legislazione inglese sulla potestà genitoriale e sulla sua limitazione in caso di problematiche sanitarie, quindi non posso esprimermi su questo aspetto della vicenda legale di Charlie (che peraltro sto cercando di approfondire: ho capito per esempio che il loro esercizio di responsabilità non è sospeso, non è stato messo in discussione circa la capacità di fare bene i genitori…ma devo capire meglio).
So invece che la legislazione italiana permette, ha sempre permesso, di – se necessario – rimettere nelle mani di un Giudice decisioni mediche importanti per il benessere del bambino.

Ma nella mia esperienza devo – ahimè! – registrare che ho visto utilizzare questa facoltà sempre con troppa, troppa ritrosia, quando era tardi e i buoi erano già scappati.
E’ giusto che un medico si interroghi profondamente ed attentamente prima di attivare “segnalazioni facili” al Tribunale per i Minorenni, è – soprattutto – più che mai giusto che sia formato nell’avere gli strumenti necessari per costruire il consenso con i genitori che magari all’ inzio non c’è.
E’ altrettanto giusto l’opportunità di far intervenire una autorità superiore in caso di disaccordo ci sia, se l’incolumità dei bambini può essere messa a rischio da decisioni non buone dei genitori.

Fare un esempio, anche di cronaca, non è difficile: i figli di testimoni di Geova che rifiutano trasfusioni, i bambini alimentati con diete inopportune che cadono vittima di gravi carenze vitaminiche, i figli di seguaci di medicine alternative che rifiutano la chemioterapia davanti a tumori guaribili con essa; difficile magari è posizionarsi, ma cosa scegliereste voi tra il rispetto di una scelta ideologica adulta e il pregiudizio grave sulla vita di un bambino?

Nel caso dei vaccini, evito qui di esprimere la mia opinione personale sulla questione generale e sulla tematica dell’obbligo perchè serve a poco;  mi soffermo sulla, ormai scongiurata, possibilità che gli inadempienti fossero segnalati al Tribunale per i Minorenni come “genitori che non rispettano una norma creata a difesa della salute dei minori e della salute pubblica in generale” (ora la capite meglio la differenza, vero? non sarebbe mai stata messa in discussione la capacità e la bontà di quei genitori, ma il loro rifiuto a rispondere ad una norma che, secondo lo Stato, protegge la salute dei figli…).

Lasciatemi dire che come professionista, mi sono interrogata molto, in modo profondamente critico su questa ipotesi.

Intanto perchè io rivendico una visione più ampia del benessere e della salute di un bambino ( singolo, o della collettività di una generazione ) : certo che può essere importante, e magari all’inizio inevitabile, obbligare i genitori resistenti ideologicamente e magari molto maleinformati a  provvedere ad una atto di salute come il vaccino.

Però ci sono genitori che sfiorano la trascuratezza e l’inadeguatezza circa la salute e le cure anche se parliamo di alimentazione, tecnologia e sviluppo psicognitivo, abuso dei farmaci per adulti: che facciamo, li segnaliamo tutti?!?
No. Serve informazione, prevenzione, misure di costruzione del consenso con le istituzioni mediche e sociali….insomma tutto ciò che quotidianamente si smantella privando il sociale dei fondi e del personale.

Altro discorso ancora poi è pensare che una famiglia che sollevi dubbi LEGITTIMI sulla vaccinazione del proprio figlio, magari perché c’è una storia familiare di reazioni allergiche o di problemi immunocorrelati, avrebbe potuto rischiare di doversi prendere la briga di “giustificarsi” davanti ad un giudice minorile, che sinceramente ha tanti e tanti minori in grave pericolo di cui occuparsi.

Per essere più chiara e andare nel dettaglio così da tranquillizzare e comunicare la professione correttamente, lasciatemi immaginare con voi come sarebbe potuta andare una (ormai) ipotetica segnalazione al TdM per inadempienza vaccini.

La procedura all’inzio è uguale, poi biforcheremo l’esempio in due casi…

La Asl di Vattelapesca segnala la famiglia di Giovannino alla procura minori della sua regione; il procuratore verifica che la segnalazione sia fondata e invia il fascicolo al magistrato minorile. Egli a questo punto potrebbe convocare direttamente i genitori o inviare ai servizi sociali una richiesta di indagine su questo nucleo, circa la specifica problematica. Naturalmente i genitori in questione, informati dell’apertura di procedimento, sono tenuti a farsi rappresentare legalmente da un avvocato. L’avvocato ha facoltà di seguirli in ogni passaggio, essendo presente (sì, anche ai colloqui con le assistenti sociali) e chiedendo chiarimenti e garanzie. Può anche leggere le relazioni e le comunicazioni fra giudice e servizio. Dunque voi capite: non ci dovrebbe proprio essere spazio per noi esperti del giudice per lavorare male o in modo partigiano e infedele.

In ogni caso il percorso di valutazione con le famiglie SI CONDIVIDE, nelle risorse buone che emergono così come nelle criticità. E’ un DOVERE DEONTOLOGICO.

Ammettiamo che il giudice decida di dare mandato ai servizi e io mi trovi a dover convocare la mamma e il papà di Giovannino per capire come stanno le cose.

Qui biforchiamo:

Caso 1: mi trovo la classica mamma che legge il blog dei 5 stelle, mammepedia e complottoblog e su quello, aderendo acriticamente ad un pensiero non scientifico, ha deciso che non vaccina i suoi pupi. Io posso e devo aiutarla a maturare un pensiero critico sulle cose che ha letto, sul confronto con la scienza e sul benessere ed il rischio per il suo bambino.

Nota bene: ricordiamo che in quel momento io sono un professionista che SERVE LO STATO. Le e gli assistenti sociali non hanno l’obiezione di coscienza, importa ‘na cippa a nessuno come la penso io davvero sui vaccini! Diciamo che io Rossana a servire lo Stato sono abbastanza fortunata e non vado troppo in crisi. Ma se così non fosse non potrei certo colludere con la madre che ho descritto sopra!

Il mio compito è capire cosa accade a questa famiglia e, se riesco, costruire un consenso . Se non riesco, devo riportare al giudice le dinamiche della scelta di questi genitori e dare a lui elementi per valutare se sono pregiudizievoli per il bambino.

Se lui decidesse che effettivamente lo sono, potrebbe  sospendere la parte di potestà che riguarda questa decisione medica e disporre, con un atto motivato contro il quale si può fare ricorso in appello, la vaccinazione del bambino.

Fortunatamente questa ormai è un’ipotesi scongiurata. Potrei evitare, perciò, di dirvi che a volte non riusciamo a far eseguire decreti che mettono i bambini al sicuro da madri alienanti o padri violenti….figuriamoci i vaccini! Ecco.

Insomma: se non adempi ad un decreto del tribunale minori non è che ti piombano gli elicotteri in casa, per capirci.

Caso 2, il più interessante: mi trovo altri genitori, diversi, che sono più che disponibili a spiegarmi, e a “provarmi” anche (semplicemente facendomi vedere le stesse documentazioni sulle quali si sono basati loro per scegliere!) che c’è una storia familiare di reazioni allergiche o di problemi immunocorrelati, ma che non hanno trovato un pediatra disponibile a certificare la cosa (come da articolo 1 comma  3 del decreto) perchè la loro è diciamo più una paura che non una stretta evidenza scientifica. A parte che mi complimento con la pusillanimità del pediatra, la valutazione da dare al giudice su questa vicenda c’è: è nella motivazione e nella storia di quel bambino e della sua famiglia, ed è ragionevole e sensata. Molto probabilmente il Giudice archivierà con un non luogo a procedere.

Quando leggete sui social storie troppo diverse da questa procedura che ora un po’ meglio conoscete, dubitate. Interrogatevi. E’ molto facile giudicare un lavoro complesso con famiglia in difficoltà di cui in realtà non sappiamo nulla.

Spesso nella dinamica problematica di una famiglia c’è anche la sua soluzione: il compito del Servizio Sociale è, maieuticamente, farla emergere. E se a volte, per attivare questo processo, serve la coercizione di un’autorità è nostro dovere utlizzarla: il centro del nostro agire non è il potere sul bambino, è il suo benessere ed il suo supremo interesse.

(Rossana)

 

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Gli esperti di Puro Contatto: Rossana Ferrari

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  • Assistente Sociale, specializzata in tutela minorile affidamento e adozione
  • Ricercatrice e formatrice in Scienze del Servizio Sociale; pubblicazione articoli di professione su temi riguardanti il diritto penale minorile, le separazioni conflittuali (approccio del parent coordinator modello di Debra Carter), l’adozione internazionale, l’approccio etnopsichiatrico (Cooperativa Crinali Milano).
  • Educatrice volontaria in un Centro di Aggregazione Giovanile
  • Mamma di Sara , 11 anni e Arianna , 3 anni.

Occuparmi del benessere dei bambini e della tutela di minori in difficoltà è stato prima di tutto il mio lavoro: la mia prima costruzione di identità come adulto verso i piccoli è stata professionale.

Poi sono diventata mamma…e il saper fare si è meravigliosamente e faticosamente mescolato col saper essere. La mia maternità è entrata nel mio lavoro, ma è anche successo di essermi trovata, come mamma, seduta “dall’altra parte della scrivania” (da quel momento in poi, faccio i colloqui in un tavolo tondo…).

Nell’immagine che ho scelto per descrivermi osservate tre piani…sono ordinati, ma voi immaginate che non siano rari a mescolarsi. Nel primo vedete la mia immagine di madre, che con Arianna ha avuto anche il privilegio di sperimentare il Portare una bimba nata con un importante deficit congenito alla vista. Nell’ultimo in basso vedete un po’ la mia idea di professione, ma come potete osservare le mie stesse figlie sono “prestate” come esperienza, insieme ad un gusto personale per l’arte giapponese ukiyo-e. Nell’immagine centrale c’è la connessione, il senso comune tra quello che sono per le mie bambine e ciò che metto al servizio dei bimbi con i quali lavoro.

La comunicazione di questo mondo è particolarmente ostile alle madri  e al loro compito di cura.

La comunicazione di questo mondo è particolarmente ostile anche al mio lavoro, soprattutto perchè la mia professione non ha imparato a comunicarsi: il risultato è che l’opinione pubblica ha del Servizio Sociale, e della tutela minori in particolare, un’idea del tutto distorta… che allontana le famiglie in difficoltà invece che avvicinarle.

Purocontatto mi offre il tentativo di rovesciare questa prospettiva…proviamo!

Contatti: rossanachiaraferrari@gmail.com

Mani che tracciano percorsi

18673150_1504040462948150_1622502755580797339_o 2Quando a due o tre anni ti presentano un fratellino o una sorellina non hai tante parole per accoglierlo.

E nemmeno per raccontare cosa ti accade nel cuore, quel tumulto di emozioni che si mischiano: amore istintivo, paura, gelosia, entusiasmo.

Quanti sentimenti! E quante poche parole!

Eppure la via d’uscita esiste e loro lo sanno, i bambini, come fare: hanno la loro risorsa più preziosa, il linguaggio della pelle.

Per conoscere il nuovo arrivato lo vogliono e lo devono toccare.

Per poter comprendere l’istintivo amore, vogliono e devono abbracciare e baciare quel fratellino.

Per metabolizzare la loro gelosia, la loro paura, vogliono e devono essere abbracciati, toccati, accarezzati, contenuti e rassicurati da chi non conosce menzogna: la pelle.

Però, spesso, non sappiamo ritagliarci un momento per dar spazio a questo tipo di contatto.

Pensiamo che il tempo dedicato al grande sia “valido” solo se il piccolo non è presente.

Temiamo che la maldestrezza tipica dei due-tre enni possa nuocere al neonato.

E restiamo con la grande frustrazione di non star costruendo niente di armonico, rifugiandoci nella “saggezza” comune del “poi passa”.

Ma che cosa debba passare, esattamente chi lo sa?

Se passerà l’emozione, se passerà il bisogno di esprimerla, chissà?

Nel frattempo quel che passa sono le giornate, nel tentativo costante di inibire il contatto maldestro, di cercare momenti da dedicare solo al più grande, districandosi tra i pianti di uno e dell’altro così diversi eppure così uguali.

E se invece ci fosse un piccolo aiuto?

No, non parlo di nonne e suocere che vengono a cucinare o a portare il grande ai giardini. Ben vengano ma non  sono, adesso, il nostro “fuoco”.

Vorrei raccontarvi, infatti, della magia del massaggio infantile.

Di tutti i benefici del massaggio infantile sul neonato e sulla relazione tra neonato e genitore potete leggere sul sito ufficiale di AIMI.

marchio 2000 con sfondoQui, invece, vi voglio parlare del potere del massaggio sui fratelli ed in funzione della stabilizzazione di un nuovo equilibrio familiare.

Il bambino grande ha bisogno di toccare, di entrare in relazione, di sentire, di conoscere.

Come si concilia questo con il timore che i gesti ancora maldestri non siano pericolosi per il bimbo?

La reazione più comune degli adulti è negare o interrompere il contatto accompagnando il gesto con le espressioni più incomprensibili della storia, almeno per un bambino:

– No! così gli fai male! [ok, così no…e come allora?!]

– Fai piano! [io STO facendo piano!]

– Fai “caaaaaro”! [Ok, devo fargli una carezza. Quanto pesa la carezza?]

Senza alternative, o con alternative così vaghe che l’unica cosa che il bambino può capire è che quel che sta facendo o come lo sta facendo non va bene.

Si rischia di aumentare la distanza, di dare un messaggio di incompetenza , di trasmettere sfiducia e sospetto, di nervosismo.

Si rischia di ignorare che gran parte della maldestrezza è dovuta al vortice emotivo e che quest’ultimo non farà che intensificarsi, in questo caso.

Il massaggio è un angolo di responsabilizzazione, di permesso, di concentrazione.

Sono bambini piccoli, ma chi l’ha detto che un bimbo piccolo non può ascoltare, comprendere, imparare?

Una proposta preziosa può essere massaggiare insieme.

Spiegare i gesti, anche attraverso il tatto, il contatto. Mostrarli, farli provare. Una mano dopo l’altra lentamente. Magari sulle gambine, che non sono così delicate.

Un piccolo rituale ogni volta: prendere e scaldare l’olio tra le mani, chiedere il permesso, scoprire il tocco gentile che “ascolta” prima di iniziare.

Tutto, nel massaggio, canalizza l’emozione confusionaria verso qualcosa di importante, di strutturato.

Ecco un modo per toccare quel piccolino con competenza, con concentrazione. Ecco che mamma e papà insegnano e quindi si fidano, danno un compito, un ruolo, definiscono un posto emotivo e fisico di libertà: perché laddove non siamo “schiavi” delle emozioni, siamo liberi, profondamente, di esprimerle, di viverle, di starci dentro nell’ascolto e nell’elaborazione. Laddove ci sentiamo valorizzati nel nostro ruolo e nelle nostre capacità, siamo già più capaci di dare.

Nel massaggio condiviso, stiamo dedicando del tempo prezioso, un momento prezioso che proprio lo è perché non è esclusivo.

Con questi momenti si sostiene il nuovo equilibrio. Perché si vive un momento bello insieme, senza esclusioni: si capisce che il bello continuerà anche con il nuovo arrivo, anzi, specialmente con il nuovo arrivo.

Poi l’ossitocina riempie l’aria ed improvvisamente anche il grande chiede un massaggio. Magari piccolo, magari rapido. Oppure un abbraccio, una coccola alla testa.

Ecco la porta per entrare in un contatto più profondo, più diretto, più sincero.  Un contatto non mediato da schemi mentali, aspettative, timori. Un contatto magico che ha il potere di unire, rilassare, trasmettere amore come nessun altro.

Per questo sono così grata le rare volte in cui un genitore viene al corso accompagnata dal bambino grande. Perché so che è iniziato il loro percorso che le porterà ad essere una nuova e rinnovata splendida famiglia.

Le mani lo disegnano, tiepide d’olio, sulla pelle e magari su una bambola. E poi si intrecciano e poi una testolina bionda si appoggia al petto di mamma, scappa un sorriso, appare una piccola tazza per prendere il tè come i grandi e con i grandi mentre il piccolo succhia il seno o pisola, rilassato, sul cuscino.

Nella stanza si diffonde un’emozione carica di dolcezza, di empatia, di partecipazione.

E le chiacchiere delle mamme, oggi, si sono scordate di animare la pausa, soppiantate da un silenzio vibrante, carico d’amore.

(Veronica)

Mani libere…di prendersi cura

IMG_20170505_104628Una delle frasi che ho amato di più sulla maternità è di Verena Schmid che nel suo “Venire al mondo e dare la luce” afferma: quando nasce un bambino nascono anche una madre e un padre.

In effetti l’arrivo di un pargolo in casa porta grandi rivoluzioni e stravolgimenti: saltano gli orari, crollano le abitudini, i ritmi si serrano e tutto gira attorno al piccolo nuovo membro della famiglia. Con il passare delle settimane le cose iniziano ad assestarsi, nuove routine e nuovi equilibri prendono il posto di ciò che ormai è solo il ricordo lontano di una vita che nemmeno si ricorda più di aver avuto. La nuova famiglia sta germogliando.

Gli animali di famiglia vivono un po’ passivamente questo complesso processo di distruzione e ricostruzione su nuove fondamenta, catapultati da un giorno all’altro nel percorso di cambiamento di un gruppo familiare che fino a ieri dava sicurezza e affidabilità attraverso abitudini consolidate e rituali condivisi.

All’improvviso cambiano gli orari, si pranza e si cena in momenti insoliti, di notte non c’è più quel rassicurante silenzio, di giorno – se la famiglia è allargata – può esserci un gran via vai di persone e gli umani di casa sembrano più distanti, presi inevitabilmente dall’impegno dato dal nuovo arrivato (urlante, invadente e odoroso “di strano”, per giunta!).

Una delle abitudini più a rischio di venir sacrificate in questo periodo di riadattamento, anche nelle famiglie più inclusive dei non umani conviventi, è l’uscita con il cane. Questo vale soprattutto per la mamma e per varie ragioni: può essere reduce da un parto impegnativo che le richiede di riprendersi mentre si occupa del bimbo; può avere delle difficoltà nella gestione del piccolo che la allontanano da altre incombenze più delegabili; può essere semplicemente stanca (ebbene sì) e desiderare di trascurare alcune cose; sul lato pratico, può trovare disagevole spingere una carrozzina e gestire un guinzaglio contemporaneamente, a maggior ragione se il cane è medio-grande, lei non ha aiuti esterni ed è pervasa dalla sensazione di dover imparare a muoversi nel mondo nella sua nuova condizione.

Del cane, allora, finisce di occuparsi il papà, magari a fine giornata, stanco e desideroso di godersi il piccolo (e quindi frettoloso nel rientrare) oppure la nonna, lo zio, il cugino, persone sicuramente di famiglia ma non la SUA famiglia, dal punto di vista del cane. Quello che è un lieto evento per tutti, rischia di trasformarsi per lui in una situazione di isolamento o, comunque, di ripiego.

Ma anche per la mamma o per la coppia stessa, abituata a vivere il cane come un membro attivo della famiglia, piacevole da coinvolgere quotidianamente, dover rinunciare alle passeggiate a più zampe può risultare frustrante, oltre a togliere l’occasione di fare moto e stare all’aperto, attività importanti per evitare l’isolamento indotto, talvolta, dal prendersi cura di un bimbo sotto l’anno.

Ecco allora che la fascia può diventare uno strumento aggregante, non solo tra mamma e bambino ma tra la neo-famiglia e il suo cane.

L’uso della fascia lascia libere le mani per permettere anche alla mamma sola di condurre il cane in sicurezza, evitando la scomodità di spingere un passeggino  e insieme gestire un guinzaglio. In questo modo anche il più esuberante dei cani può essere portato in passeggiata mentre il piccolo dorme o inizia a scoprire il mondo dalla sua postazione riservata.

I vantaggi vanno a doppio senso, abbracciando l’intera relazione. Il cane sentirà che la sua presenza è ancora valorizzata malgrado il riassetto sociale in corso, la mamma ha l’occasione di uscire e svagarsi e magari socializzare, al bar o in piazza,  o semplicemente rilassarsi in una tranquilla passeggiata nel verde. Il bimbo inizia a godere del mondo, dell’aria aperta e del contatto profondo con chi lo ama.

Ma, se tutto cambia, è così importante  fornire  una certa continuità alle uscite a cui il cane è abituato? Insomma, non lo capisce che c’è un cucciolo d’uomo e la priorità ora è lui?

Certo che lo capisce. Ma dovremmo evitare di fargli credere che questo si traduca in una minore attenzione nei suoi riguardi, in un relegarlo agli scarti di tempo. Per un animale profondamente sociale come il cane questa potrebbe rivelarsi una sofferenza troppo grande da tollerare, andando a inficiare persino l’accoglienza e poi la futura relazione col neoarrivato.

I cani sono abili lettori delle dinamiche familiari e sono dotati di una grande tolleranza ai cambiamenti sociali, purché essi avvengano in nome di una coesione di gruppo di cui si sentono parte attiva. La fascia può essere uno strumento straordinario per traghettare nel nuovo mondo non solo il bimbo ma, idealmente, anche il cane in modo che il suo ruolo nel tessuto familiare resti confermato, così da gettare i semi di una convivenza che richiede solo occasioni aggreganti per evolvere e crescere.

(Sonia Campa)

Gli esperti di Puro Contatto: Sonia Campa

18575360_10212995856120926_605650909_oSonia è  Consulente della relazione uomo-gatto, istruttrice cinofila, operatrice di zooantropologia didattica, mamma di Alice e compagna di vita di cinque gatti ed un cane. Ama la scrittura (è suo “l’insostenibile tenerezza del gatto” edito da Compton) e da un decennio si occupa professionalmente di aiutare le famiglie a costruire relazioni sane con i loro cani e gatti, puntando sull’ascolto e l’accoglienza della diversità. Si occupa della formazione di volontari, di proprietari e di consulenti in tutta Italia e di divulgazione scientifica scrivendo per le pagine di Focus Wild.

Contatti: Sonia Campa 3285768821

 

Riflessioni di un’ostetrica moderna

ostetricaSin dalle elementari, decisi che da grande avrei fatto l’ostetrica perché mi piacevano i bambini, ma non c’avevo capito granchè… eh sì, perché già dall’inizio del mio tirocinio universitario capii subito di chi invece avrei dovuto occuparmi maggiormente: delle donne e non dei bambini.

L’ostetrica, ho capito, che non è colei che fa nascere i bambini (come si sente sempre dire), ma è colei che, silenziosa ma presente come un gatto, guida la donna al miglior parto e il bambino alla miglior nascita.

Come? Non facendo niente…

E che lavoro sarebbe allora non far niente ci si potrebbe chiedere?!?!

Il lavoro dell’ostetrica, invece, è un duro lavoro, oggi più che in passato!

Non è vero che oggi siamo facilitate perché ci sono le ecografie e non si usano più le mani… ci sono i cardiotocografi e non si usano più le orecchie… ecc, ecc … al mondo d’oggi fare l’ostetrica è davvero molto faticoso.

Infatti, non sono le mani o le orecchie che riposano a fare il lavoro più semplice, perché tanto per fare l’ostetrica ci vogliono più che altro il cuore e l’anima, nel senso che se sei un’ostetrica lo sei sempre, lo sei dentro, insomma è la tua missione.

La missione di noi ostetriche moderne, penso io, sia molto ardua, e qual è?

Restituire il parto, la nascita, il sapersi madri alle donne!

Un sapere e una faccenda ahimè molto complicati al giorno d’oggi poiché le mani maschili sul parto hanno fatto sì che le donne dimenticassero il loro saper essere gravide, il loro saper partorire, il loro saper allattare.

E’ tutto racchiuso in schemi e tabelle (per carità servono… ma non sono tutto!) e tra numeri, ascisse e ordinate, le donne perdono il loro istinto, delegano il loro corpo, il loro cuore e la propria mente ad altri che le espropriano del loro POTERE !

Ebbene, l’ostetrica deve far riacquistare questo potere alle donne, lo deve risvegliare dal torpore dal quale è offuscato da troppo tempo!

Ecco allora perché faccio l’ostetrica, per permettere alle donne di ritrovare la fiducia in loro stesse, per permettere alle donne di sentirsi forti come rocce, di sentirsi potenti, di sentirsi dee!

No, non esagero!

Ogni donna che partorisce compie un piccolo miracolo, dona alla luce una nuova vita… cioè vi sembra poco?

Gli uomini hanno sempre avuto paura di ciò e maschilizzando e medicalizzando, cercano di appropriarsi il merito della nascita.

Quante volte sentiamo dire dalle donne “l’ha fatto nascere X ostetrica o X medico” e ahimè anche tanti medici o colleghe che dicono “ l’ho fatto nascere io!”.

Niente di più terribile!

La vittoria più grande per me nell’assistere una donna, è che dopo il parto sia fermamente consapevole che il suo bimbo/a è nato grazie alla sua forza (e anche dei bimbi per carità anche loro fanno la loro parte ..) e al suo POTERE di dare alla luce.

Questo, però, quando non accade genera molta frustrazione… e purtroppo molto frequentemente non accade, perché l’ostetricia moderna ahimè prevede molta medicalizzazione e il non rispetto dell’andamento e dei tempi fisiologici del travaglio.

Per un’ostetrica, quindi, diventa difficile difendere la donna da disturbi esterni, ma lo facciamo ed è questo il nostro lavoro: difendiamo le donne!

Se proprio devo dirla tutta, personalmente gradirei più autonomia e meno persone nei travagli… porte che sbattono, chiacchiericci, persone che entrano ed escono … queste cose mi fanno proprio arrabbiare!!

E se danno fastidio a me che non ho le contrazioni, mi immagino una “povera” donna che cerca di creare la sua tana e si sente disturbata in continuazione… una follia!

Quindi sì, meno persone nei travagli e , se proprio non fosse possibile farne a meno, che almeno stiano zitte… e ferme… non si dovrebbe notare la loro presenza, perché non si può facilitare un processo involontario , si può solo non disturbarlo!!

Ecco, vi prego NON DISTURBATE una donna in travaglio!

E poi sì, che almeno la fisiologia sia nostra, noi siamo le tutrici della fisiologia… basta con interventi inutili e dannosi, basta rompere le membrane senza indicazione clinica, basta far spingere le donne a comando perché no… dilatazione completa non vuol dire per forza inizio del periodo espulsivo… basta costringere le donne a pancia in su come tartarughe in difficoltà, basta fare tagli al perineo per accelerare un espulsivo senza motivo, basta dare un “aiutino” sulla pancia per far nascere prima il bambino… insomma BASTA , non se ne può proprio più!

Tutto per accelerare, per far prima… come se ci stesse scadendo il tempo massimo… d’altronde tutta la nostra società va di fretta: fastfood, cibi pronti, macchine, cellulari, sms, Facebook… eh sì, c’entra c’entra… perché non c’è più tempo di cucinare, non c’è più tempo per mangiare, non c’è più tempo per le passeggiate, non c’è più tempo per incontrarsi, non c’è più tempo per fare due chiacchiere e ,purtroppo, non c’è più tempo per partorire!

Quindi, alla fine di tutta questa lunga e tortuosa riflessione, volete sapere perché ho fatto l’ostetrica?

Per custodire il tempo della nascita.

(Monica)

Avrei voluto scrivere un’invettiva…

…ma l’amore che ho per il mio lavoro e per il benessere delle famiglie l’ha trasformata in un appello. E quindi…

2072182368_21d779be74“Il miracolo della 34 strada” è un classico della filmografia natalizia americana. Affascinante nel suo bianco e nero, nella moda anni ’30 e nei dialoghi di un livello linguistico che a confronto con la nostra quotidianità sembra quasi aulico. È un film poetico e molto dolce che consiglio a tutti, specie i più romantici.

Nell’intricata vicenda ad un certo punto Babbo Natale, provvisoriamente impiegato come sua controfigura in un grande magazzino, invece di perseguire la classica politica dello spingere ai clienti oggetti in giacenza, che in verità non desiderano e non soddisfano il loro bisogno, consiglia di rivolgersi alla concorrenza.

Quest’idea che all’inizio lascia tutti sbigottiti si rivela essere geniale perchè i clienti si sentono improvvisamente valorizzati nelle loro reali richieste e bisogni e, pur comprando l’oggetto alla concorrenza, diventano poi clienti fissi ed entusiasti del grande magazzino che li ha fatti sentire così importanti.

Ecco. Il mio appello comincia così. Come Babbo Natale.

E mi rivolgo ovviamente a tutti quelli che lavorano intorno alle famiglie: personale medico, educatori, consulenti di varia natura, doule, psicologi e psicoterapeuti, pedagogisti, counselor, osteopati, volontari, e chi più ne ha più ne metta.accanto-alla-madre-le-basi-per-essere-la-doula-di-cui-il-mondo-ha-urgente-bisogno_articleimage

Costruite intorno a voi una rete di professionisti il più possibile ampia e curata. Conosceteli uno ad uno, mettetevi in relazione, andate a vedere come lavorano, raccogliete feedback in giro e poi legatevi in proficue collaborazioni. Così, se siete in presenza di un problema e comprendete di non poterlo risolvere, potete fare affidamento su chi magari la soluzione può trovarla.

Ammettere di non riuscire non è fallire. E non è perdere “il cliente”. È fare l’unica cosa sensata in coscienza: mettere il bene della famiglia sopra ogni cosa.

Perderete soldi? quanti? 80€? 200€? quantifichiamo. Valgono la serenità e la salute di una famiglia?

Perderete stima? no. La guadagnerete. Perché quella famiglia sarà certa che per voi non c’è niente di più prezioso ed importante della sua felicità. Ed i soldi di cui sopra potranno diventare un ottimo investimento.

Mi rivolgo a tutti senza distinzioni.

Signori ginecologi non abbiate paura a chiedere aiuto ad ostetriche o agli infermieri. Sì, la loro laurea non è lunga e complessa come la vostra ma a volte un punto di vista diverso, l’esperienza, un approccio alternativo possono davvero essere utili.

Allo stesso modo, ostetriche (laddove non formate nei campi specifici) vi prego: consulenti di babywearing, insegnanti di massaggio, educatrici, doule, consulenti IBCLC sono vostre risorse non conconcorrenti. Specie per quanto riguarda l’allattamento al seno che è fondamentale: chiamatele, consultatele, consigliatele alle mamme che vogliono allattare. La vostra formazione è bella e completa ma non approfondita su questo tema come quella di una IBCLC. Non è nessun reato dire “Ho fatto il possibile adesso non so più aiutarti, però ho una collega che sono certa potrà essere risolutiva“.

Ma poi anche sul babywearing: un supporto messo male pregiudica la salute della schiena della mamma e del bambino e specie quando le situazioni esulano dalla fisiologia, chiamateci.

Le qualifiche non sono ufficiali e forse sono “poco” rispetto alla vostra laurea ma non avete fatto e fate battaglie per affermare il vostro legittimo posto accanto alla madre nel travaglio e nel parto al posto delle lauree ingombranti dei medici?

Valga lo stesso per le altre categorie. A volte non è la quantità dello studio fatto ma la qualità e l’approccio che possono offrire uno spunto diverso. Il mio amato ginecologo, Dott. Marco Santini, quando lo conobbi che stavo per partorire la mia prima bimba ,disse alle studentesse che indicavano per me il cesareo come unica soluzione:  “Noi lavoriamo con le persone e con gli ormoni. Se seguite solo i protocolli queste donne le tagliate tutte”.

Noi tutti facciamo del nostro meglio e godiamo di quel riconoscimento che solo il raggiungimento della soddisfazione della famiglia riesce a creare. Ma quando la soddisfazione non c’è è inutile aggirare l’ostacolo e sminuire la necessità della famiglia. Non arriverà nemmeno se la richiesta si placa. Perché in fondo sappiamo di non aver fatto abbastanza.

Ma se mando una mamma o un papà da qualcuno di fiducia risolutivo ecco che in quel momento il mio cuore sa di aver fatto il possibile. E rimane solo amore.

Chi sostiene la genitorialità lavora con le persone. E le persone non sono frullatori. Non hanno un libretto di istruzioni. Non sono appartamenti in cui ogni impianto ha il suo professionista di riferimento e basta. Le persone sono complesse. Hanno storie, traumi, blocchi, risorse, meraviglie. A volte dove il lavoro di uno psicoterapeuta ha bisogno di tempi lunghi (assolutamete validi e raccomandabili ovviamente), un educatore può trovare soluzioni “tampone” per migliorare la qualità della vita e facilitare il lavoro di tutti. All’ultimo fantastico corso di aggiornamento AIMI sul “Il Massaggio e il bambino con bisogni speciali” una delle due meravigliose conduttrici, la Dott.ssa Simona de Simone – psicologa – raccontò come in una determinata situazione la svolta positiva fu l’intervento di una mamma, semplicemente alla luce della sua esperienza. Questo che significa? che l’esperienza di un genitore vale più di una formazione seria e di una professionalità appassionata? No. Vuol dire che in QUEL momento, in QUELLA situazione era ciò che meglio rispondeva al bisogno. E la bellezza, la sensibilità, la dedizione di un operatore si manifesta proprio in comprendere e lasciar intervenire altri senza giudizio o – peggio ancora – pregiudizio.

Ecco il mio appello. Mettetevi in ascolto. Attivate empatia, ossitocina, pazienza, disponibilità ma soprattutto umiltà. Fate il vostro meglio sempre. Anche se il vostro meglio ha un titolo o un cognome diverso dal vostro. Ricordate sempre che il vostro motore è il benessere delle famiglie. Che le guerre tra poveri per recintare un pezzettino di terra finiscono sempre con la talpa che non conosce reticolati e mangia le radici.

Senza forti impulsi alla cooperazione, alla sociabilità, al reciproco aiuto, il progresso della vita organica, il miglioramento dell’organismo, il rafforzamento della specie diventano assolutamente incomprensibili. In realtà, lo Haldane e lo Huxley ritengono che la competizione fra adulti della stessa specie sia, nel complesso, un male biologico” – Ashley Montagu

(Veronica)

Caro Babbo Natale…

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Tra pochi giorni è Natale.

I miei bambini hanno scritto la letterina che gli elfi si son portati via l’8 dicembre e adesso aspettano i regali, godendosi con impazienza le luci scintillanti del solito albero, dei soliti addobbi di ogni anno.

Li guardo e penso che il Natale è una favola bella e crudele. Penso che un sacco di bambini nel mondo non hanno da festeggiare nemmeno la vita, perché per molti di loro non è un dono ma una condanna che si prolunga in modo incomprensibile.

Penso che tanti altri sono bambini forti e felici perché sani ed amati ma abituati a non credere a nessun regalo, perché nessuno regala nulla né ai grandi né ai piccini: il lavoro è poco, lo stato sociale devastato e Babbo Natale è già tanto se mette insieme pranzo e cena.

Ma torno a guardare i mie figli. Mentre confezionano con le loro mani e tutto l’impegno del mondo piccoli pupazzi di neve che portano sacchetti di biscotti per amici e parenti.

Bisogna ricordare che la magia ormai è appannaggio di pochi eletti (tra i quali rientriamo, con un po’ di ottimismo) ma che il Natale sia la festa della magia, per me è inutile negarlo.

Ormai è una festa melting pot con la sua forza pagana, con la lettura religiosa cattolica così ingombrante, specie nel nostro Paese, con le influenze nordiche, con le sue pennellate commerciali, altrettanto ingombranti.

Babbo Natale, che sia un Santo, un folletto, un vecchietto, un guardiano, è una figura meravigliosa.

Vestitelo di rosso e pure con le bollicine, di verde e col cappello a punta, tutto dorato come una stella ma il risultato non cambia. Lui realizza piccoli desideri in modo gratuito (una cosa che davvero non sopporto e che mi sono permessa di non tramandare è il concetto meritocratico per cui Babbo Natale porta i doni solo ai “bambini buoni”).

Eppure si sente il bisogno, in giro, di prendersela con lui.

E – badate bene – non sono le categorie di cui sopra, le non beneficiarie dell’abbondanza natalina che sferrano l’attacco.

Sono psicologi, educatori, genitori scrupolosi.

Che si scagliano contro il sacco dei doni e la slitta trainata dalle magiche renne con la veemenza dei positivisti, di chi ha fatto del Reale l’agnello dorato dei propri giorni.

Perché ai bambini non si può mentire. E quindi non si può raccontare dell’esistenza di Babbo Natale. Perché poi quando scopriranno che non esiste, resteranno traumatizzati, proveranno delusione, rabbia, e perderanno la fiducia nei genitori e nel mondo.

E poi è pure servo della Coca Cola, quel tal signore vestito di rosso.

Rimango come stordita da queste riflessioni.

Non sono una psicologa, sono una mamma qualsiasi. Che si alza di notte in punta di piedi per mettere i pacchetti sotto l’albero. Uno per uno, perché un desiderio solo si realizza in questa notte magica.

Non voglio entrare nel merito delle scelte educative di ogni genitore. Ognuno prende la strada che sente più propria, in coscienza, e fa bene.

Ma davvero mi fa sorridere che si parli di menzogna.

Perchè io sono una bambina che babbo Natale lo ha visto dalla finestra della sua cameretta in mansarda. Con slitta, renne e tutto il resto.

Ero già grandicella e mi sono molto arrabbiata quando gli altri intorno a me, famiglia compresa (imbarazzata dalla mia età e dalla mia convinzione, anche contro il loro interesse) non hanno creduto che fosse vero.

Perché si capisce dagli sguardi canzonatori di chi ha messo i regali sotto l’albero mantenendo una “farsa” affettiva a cui nemmeno il figlio piccolo crede più…tanto più non dovrebbe la figlia grande.

E forse quegli sguardi avrebbero valutato il nuovo punto di vista, si sarebbero forse pentiti della menzogna, chissà…

Eppure io mi sono arrabbiata.

Perché in effetti io davvero ho visto quel che raccontavo.

Semplicemente, ancora non avevo chiara la differenza del vedere con gli occhi fisici o con gli occhi dell’immaginazione.

Forse tendiamo a scordare di legittimare il sogno della caratteristica dell’esistenza.

Forse i sogni hanno, per noi, perso la dimensione esistenziale e sono rimasti con il due di picche della dimensione emotiva a tentare di resistere agli assalti della realtà.

Per questo si parla di menzogna e di trauma: perché abbiamo dimenticato che l’esistenza dell’immaginato non è un sottogruppo dell’ esistenza fisica ma solo un’altra sfera…

Ma non c’è menzogna laddove si arricchisce la favola del valore dell’esistenza. Ci sono orizzonti più ampi, sfumature più complesse del reale. Ma nessuna menzogna.

Io, bambina e poi adulta, non ho mai smesso di credere che babbo Natale esista. Ho solo compreso che quella che mi raccontavano era una favola…e smettere di credere nelle favole mai!

Viviamo epoche strane in cui si fanno battaglie per affermare il diritto alla fantasia, l’importanza della lettura, il potere dell’immaginazione.

Ma non quando l’immaginazione entra nella sfera del vero attraverso un pacchetto scintillante o il giocattolo desiderato.

A quel punto è troppo, si vìolano i confini, si va oltre il lecito, oltre l’innocuo. Si va dove è pericoloso andare, dove non ci sono limiti. Dove il sogno è legittimato e si realizza in carne ed ossa. Dove c’è qualcuno che mette da parte il proprio ego a vantaggio della magia.

Ora che i miei figli iniziano ad essere grandi, li guardo armeggiare con la colla a caldo e penso a come accadrà che capiranno che i miei racconti sono una favola, che il regalo di Babbo Natale è prezioso perchè è un simbolo, anche se chi lo mette sotto l’albero siamo noi genitori: il simbolo del dono per donare, per il piacere di farlo, per il compito karmatico di fare felici, di regalare stupore. Come il massaggio, come il leggere una storia, come il legare sulla schiena quando non hai da andare in nessun posto, come le coccole sul lettone il sabato mattina.

Spero che di questi sogni di oggi, di questa attesa, di questa emozione che solo il dono  ed il gesto fini a se stessi, disinteressati, possono provocare, resti il sapore ed il segno.

Spero che di questa loro determinazione di scrivere la propria lettera, di definire il loro desiderio, di andare a letto per non essere sorpresi svegli dalla magia (che si sa, da svegli funziona decisamente peggio!) resti traccia nel loro crescere.

Che faccia di loro persone consapevoli di quanto è potente il dare senza voler necessariamente ricevere, che faccia di loro persone libere di desiderare, capaci di sognare, determinate a far di tutto per realizzare il proprio sogno, per trasformare il mondo in un posto migliore.

Questo chiedo a Babbo Natale. Ed un po’ di pace, ed un po’ di uguaglianza per i miei fratelli e le mie sorelle nel mondo.

(Veronica)

Leggere, leggere…(prima parte: i libri illustrati)

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E a grande richiesta ecco le liste dei miei libri magici!

Non li dividerò per età perchè secondo me quasi nessun libro è adatto ad una sola fascia etaria.

Men che meno li dividerò per genere (libri per maschi, libri per femmine) perchè è proprio un’eresia.

Per una volta non consiglierò saggi o simili perchè lo faccio tutto l’anno e mi sono annoiata.

La suddivisione sarà semplicemente tra illustrati, storie con immagini e senza. Poi, vedete voi…

Non vi racconterò trame e non vi dirò se sono o meno adatti all’età del vostro bambino. E questo perchè non siamo solo noi che scegliamo i libri: anche i libri ci scelgono. Con i loro colori, il formato, l’odore. Quindi andate in libreria, portate pure questa lunga lista ma poi guardateli e scegliete solo quelli che vi colpiranno. Ogni libro è se stesso anche grazie all’energia di chi lo sceglie, di chi lo dona.

ILLUSTRATI

Che belli gli illustrati! Li pensiamo per i piccoli ma ogni adulto avrebbe diritto a sprofondarsi nelle loro magia.

Gli illustrati hanno poche parole ma quando sono belli, le parole vengono incorniciate e valorizzate dalle immagini e si crea qualcosa di molto simile alla poesia.

Tra gli illustrati che ci sono piaciuti di più, in ordine rigorosamente insensato, sparso e mescolato, ci sono quelli che sto per elencare. Manca sicuramente qualche titolo magari anche importante perchè ne abbiamo letti tanti in sette anni. Ma se notaste dei grandi assenti, non esitate a commentare questo articolo suggerendoli!

  • Tutti i libri di Leo Lionni (Babalibri). Inutile stare a fare l’elenco della lavandaia. Sono libri preziosi, con uno stile inconfondibile e molto suggestivo. Parlano di amicizia, di unione, di differenze, di complementarietà, di valore di ogni individuo e del suo ruolo sociale.

  • La grande fabbrica delle parole (Terre di Mezzo). Un piccolo grande libro con poche parole, disegni meravigliosi e un messaggio importante sul sentimento, anima della comunicazione.

  • La prima volta che sono nata (Sinnos). Un viaggio nella vita attraverso le tappe importanti, sempre intrise di emozioni e relazioni. Per chi ama commuoversi con delicatezza e meraviglia

  • Carlo alla scuola dei draghi (Motta Junior). Un librone con disegni incredibili. Sulle differenze ed il loro potenziale. Prosa e rime.

  • Tararì tararera, storia in lingua piripù (Carthusia): un libro con le illustrazioni semplici che ci porta oltre il confine delle convenzioni linguistiche. Per esercitare la comunicazione non verbale, l’espressività e ridere molto molto molto. (nota in più: libro facilmente massaggiabile!)

  • Urlo di mamma. (NordSud) Un viaggio bellissimo e catartico per genitori e bambini. Una recensione più approfondita potete leggerla qui. (nota in più: libro facilmente massaggiabile!)

  • Quando sarò grande (Babalibri, cartonato): un libro semplice per iniziare a pensare che a volte i cattivi lo sono perchè gli altri li pensano così.

  • Il piccolissimo bruco mai sazio (Mondadori): un libro buffo con illustrazioni incantevoli che parla della più poetica tra le metamorfosi del mondo animale.

  • C’è qualcosa di più noioso che essere una principessa rosa? (Settenove): illustrazioni poeticissime per un libro che libera il diritto ai colori e ai sogni di bambini e bambine!

  • Il re che non voleva fare la guerra (EDT Giralangolo): ancora un viaggio per il mondo ed i punti di vista. Contro gli schemi sociali, sull’affermazione di sé (e sulla pace)

  • Zampe fatte così (La Coccinella): un libro in rima, con buffe illustrazioni che si fa un giro tra le caratteristiche delle zampette degli animali e che propone una bella riflessione su come desiderare di essere ciò che non siamo porta spesso a risultati non del tutto soddisfacenti.

  • Un trascurabile dettaglio (Terre di Mezzo): un libro delicatissimo dalle illustrazioni buffe sulle diversità. L’aspetto negativo della diversità è negli occhi di chi guarda…e basta poco per trasformare un difetto in un tesoro

  • La principessa azzurra (Coccole Books): ancora un libro che scalza ogni pregiudizio di genere e che fa gli sberleffi alle aspettative sociali su bambini e bambine.

  • Salverò io la principessa! (Lapis): una fantasia divertente e buffissima come lo sono i giochi dei bambini. Con finale a sorpresa…

  • mangerei volentieri un bambino (Babalibri): sui tempi e i modi dei desideri, sui percorsi di crescita, sulla preoccupazione dei genitori per il cibo che pare sia trasversale addiruttura tra le specie. Ah…e sui coccodrilli!

  • Il nemico (Terre di Mezzo): un libro doloroso ed importante come la guerra e pieno di pace da costruire attraverso l’incontro ed il riconoscersi. Ancora un viaggio attraverso se stessi, gli altri, le aspettative sociali e la manipolazione dell’individuo. I disegni sono essenziali e piccoli quasi annegati in un deserto bianco. Molto forte ed emotivo.

  • Ajdar (Rizzoli): un libro sul rispetto per il pianeta e sull’infanzia come speranza del mondo. Un libro che ha deciso di scardinare i luoghi comuni sul coraggio, sui ruoli e sulla paura. Illustrazioni fantastiche, una storia bellissima.

  • La principessa e il drago (Sottosopra): allargando i propri orizzonti si scoprono amici dove i pregiudizi ci indicavano nemici. Ed è così che si arriva ad essere liberi.

  • La principessa ribelle (Salani): un libro giocoso e buffo su un argomento serissimo. Il riproporsi infinito di situazioni che ci stanno strette, finchè ci affidiamo all’intervento di altri per decidere della nostra vita. Un libro che ci insegna la libertà, la chiarezza dei propri sogni e la forza per realizzarli che si nasconde dentro di noi.

  • Nina (Ed. Curci): un libro in bianco e nero sulla storia di Nina Simone e sul razzismo. Come affrontare un tema profondo e doloroso sulle note di una poesia che spazia dalla musica alle immagini alle parole.

  • La Guerra degli Elefanti (Mondadori. Di David McKee, l’autore del famoso Elmer i cui libri in generale non sto neanche a nominare perchè, come i libri di Leo Lionni, non hanno bisogno di presentazioni né raccomandazioni). Un libro geniale, sulla guerra e sulla sua drammatica inevitabilità finchè le differenze saranno vissute come un problema. Un libro sulla ricchezza della pace, e sulla potenza del rifiuto dello scontro.

  • Dieci dita alle mani, dieci dita ai piedini (Il Castoro): un libro in rima, dolcissimo e massaggiabile. Sulle differenze che non cambiano l’essenza.

  • Dalla testa ai piedi (La Margherita, cartonato): per leggere, giocare e conoscere il corpo e le sue potenzialità.

  • Una mamma albero (Lapis): un libro commovente sulle mamme e sugli alberi. Dalle radici ai rami, la base sicura della relazione mamma-bimbo.

  • Le mani di papà (Babalibri): un libro commovente sui papà, il loro ruolo educativo ed emotivo, le loro grandi mani.

  • Il buco (gribaudo): un libro magico sul nostro mondo interiore che spesso percepiamo come mancanza di qualcosa, come difetto e con cui iniziamo a convivere nel momento in cui ne accettiamo l’esistenza…e a quel punto si fa piccolo, il buco, ma straordinariamente magico! Un libro graficamente affascinante e ricchissimo di spunti.

  • Il mostro peloso (Emme Edizioni): chissà che l’aggressività dei mostri non provenga dalla loro mancanza di ironia. Oppure dalla paura delle proprie caratteristiche…una bambina coraggiosa ed irriverente rompe l’incantesimo della solitudine.

    Un po’ più difficili da trovare:

  • Nasce un bambino, naturalmente (Scuola Elementale di Arte Ostetrica). In tre lingue (italiano, francese, tedesco), sul parto. Con disegni di una delicatezza che solo l’assenza di pregiudizio, l’accoglienza ed il rispetto possono creare.

  • Il tesoro di Lilith (Carla Trepas Casanovas): un libro sulla sessualità femminile durante il percorso della vita, la storia di un albero che voleva ballare

Mi fermo qui, consapevole che questa lista è incompleta e che probabilmente vi ho lasciato fuori libri importantissimi e bellissimi. Mi fermo qui perchè voglio mettere un punto, perchè questo elenco non vuol essere una guida ma un’ispirazione a nuove scoperte letterarie o a piacevoli ri-scoperte.

Se, come me, state a Firenze fate un salto in libreria! Ad esempio alla mia amata

Libreria Marabuk (che ringrazio per la foto dell’articolo) in via Maragliano 29/e

o per chi sta dall’altra parte della cittò, la

Libreria Gioberti

in via Gioberti 37/a

Buona lettura a tutti, grandi e piccini.

(A breve anche le altre due liste!).

Veronica.

 

 

La paura del contatto

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Cosa posso scrivere, io, come mamma, come consulente per l’allattamento, a proposito del tema del contatto con il proprio bambino?

C’è qualcosa di nuovo di cui posso parlare, o c’è qualcosa di già appurato, ma ancora da approfondire? O forse è meglio che parli solo della mia esperienza come mamma?

Quello che è sicuro è che, se scelgo di parlare solo come mamma, non posso evitare di parlare anche di ciò che ha significato per il mio maternato la scoperta e lo studio della fisiologia dell’allattamento e di tutti i temi ad esso collegati, che ho appreso nel mio cammino per diventare consulente.
Sono sempre stata una persona molto amante delle coccole, ho sempre amato il contatto fisico con le persone che amo.

Quando è nato il mio primo bambino, mi è quindi venuto naturale coccolarlo, tenerlo in braccio il più possibile. Il problema è sorto quando questo mio modo di sentire si è scontrato con le opinioni di alcuni. “Lo vizi” era, ovviamente, quella più quotata.
Rispondevo che, se non lo avessi coccolato mentre era piccolo, difficilmente avrei potuto farlo una volta cresciuto. “Non credo che a vent’anni vorrà essere tenuto in braccio dalla mamma, quindi è meglio che ne approfitti adesso”, rispondevo.

Ma quando le opinioni sono diventate sentenze e presagi di sicuri danni, provenienti, questa volta, da “fonti autorevoli”, ecco che ho vacillato. Di giorno sì e di notte no.

Come ho potuto dare ascolto a queste idee, me lo chiedo ancora. Credevo di avere un’intelligenza nella media, ma devo dire che in quel periodo il mio spirito critico, la mia capacità di discernimento e la mia stessa esperienza personale di bambina coccolata e tenuta, a volte, nel lettone, erano completamente svanite.

Quando è nato il secondo figlio e le mie conoscenze si sono ampliate, anche la mia forza di volontà e sicurezza in me stessa sono cresciute di pari passo.
Dove altro poteva stare, il mio bambino, se non in braccio a me? Dove altro poteva dormire, se non con i suoi genitori?
Uscita da poco da un’esperienza di notti insonni passate a camminare per casa o seduta in poltrona (ebbene sì, non chiedetemi perché, ma ho dato ascolto ad un libro che diceva che dormire nel lettone avrebbe causato danni… ma sul perché dormire in poltrona o in giro per casa in braccio alla mamma non causasse gli stessi danni, non ci avevo mai riflettuto), ritrovarmi ad essere travolta dagli ormoni dell’allattamento e scivolare in un sonno completamente rilassato col mio bambino sulla pancia, era un’esperienza nuova e meravigliosa.

E che dire, poi, dello svegliarsi e vedere la faccina sorridente del tuo piccolo, che ti guarda come se avesse visto la cosa più bella del mondo? C’è qualcosa, in tutto l’universo, che potrei preferire al sorriso del mio bambino? Al suo sguardo innamorato e fiducioso? Al profumo della sua pelle, al sapore del suo leggero sudore, quando lo ricopro di baci?
Cominciare una giornata così, ripaga di qualsiasi cosa. E quando, divenuto un po’ più “ingombrante”, la notte a volte non riuscivo a riprendere sonno subito perché un po’ scomoda, anche allora quei momenti di silenzio, di pace, di pausa, erano un modo per trovare il tempo di riflettere, programmare, ripensare, assaporare… tempo che, durante il giorno, con due bambini, non è facile trovare.

Il proseguimento naturale di tutto questo è stato l’arrivo del terzo bambino, il quale ha potuto usufruire anche della fascia, cosa che fino ad allora non ero riuscita a trovare. La mia schiena gliene sarà eternamente grata, ma, soprattutto, ha permesso a me stessa di soddisfare il mio essere una mamma “ad alto contatto”.
Sì, perché non è solo il bambino ad avere bisogno del contatto con la mamma!
Anche la mamma ne ha bisogno, è un bisogno reciproco.
Io ne avevo bisogno.
E tutto questo mi ha aiutato ad essere una mamma migliore, più attenta, meno stanca e meno nervosa.
A volte, quando lavoro con le mamme, capita che un allattamento sia recuperato semplicemente incoraggiando la mamma a stare a contatto col suo bambino più a lungo possibile.

Ma il contatto fa paura. Ci rende totalmente parte della persona che tocchiamo. Diventiamo tutt’uno con lei; siamo indifesi, scoperti, totalmente disponibili. Siamo noi stessi.
Il contatto fisico ci fa entrare in una relazione più profonda con l’altro. In una dipendenza di affetti.
Forse proprio per questo è tanto osteggiato.

Crescere generazioni di uomini e donne incapaci di entrare in armonia con l’altro, incapaci di lasciarsi andare all’affetto, all’empatia, al mettersi a nudo indifesi uno di fronte all’altro è, secondo me, un ottimo modo per creare società chiuse da governare senza problemi e pronte da mandare in guerra contro il primo “nemico” di turno.

Ma chi è abituato a guardarsi negli occhi, a sentire il calore del corpo dell’altro, a godere delle sue carezze, davvero riuscirà a vedere nell’altro un nemico da abbattere, piuttosto che una ricchezza da conoscere?

(Paola)