SULLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE

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Ho accettato la sfida di Purocontatto , lanciàtami per tentare disperatamente una riabilitazione delle professioni di aiuto e di pensiero (non solo la mia!), anche se la vivo come una impresa molto difficile.

Di recente medici e scienziati sono messi molto in discussione, sia (con giusta causa) da genitori intelligentemente critici verso i limiti del sistema dei saperi, sia dalla cosidetta era di internet che ha visto scardinarsi la possibilità del dubbio e quindi la fiducia verso “l’esperto” fino alla sua estrema polarizzazione.

Questa stessa dinamica ha però un po’ sempre riguardato la professione che io esercito: l’assistente sociale è sempre stata vissuta dall’opinione pubblica come

“quella che mi deve dare…. \ quella stronza che si permette di portare via i bambini” e certo mai come un esperto autorevole di benessere dei minori.

Questo è in parte accaduto sicuramente  a causa di una professione che troppo spesso si è piegata all’assistenzialismo ed alla logica clientelare, ma anche perchè, come categoria di professionisti, sopratutto in Italia, stiamo facendo ancora molta fatica a dotarci di strumenti e metodi scientifici e oggettivi che rendano autorevole un sapere professionale.

All’estero la “scientificità” del lavoro sociale – soprattutto quello, difficilissimo e contestatissimo, della valutazione delle capacità genitoriali –  è molto meno messa in discussione perchè il social worker è un professionista con metodi e modelli teorici solidi e incontrovertibili.

Fino a qualche mese fa, comunque, tutto questo discorso poteva riguardare “gli addetti ai lavori” e, casomai, qualche genitori interessato dal percorso adottivo o da una separazione conflittuale…

Poi sono esplose due notizie di cronaca:

– la possibilità, prevista nel Decreto Loenzin sull’obbligo vaccinale e poi elisa da un emendamento in Senato, che le aziende sanitarie territoriali segnalassero al Tribunale per i Minorenni i genitori inadempienti all’obbligo.

– il caso del piccolo Charlie Gand, in cui la volontà dei genitori sugli atti medici verso loro figlio si è trovata in opposizione alle decisioni dei sanitari, così dover interpellare i diversi gradi di giudizio di una autorità terza su una questione drammatica e complessa.

Queste due vicende, esagerate dalla stampa ed esasperate sui social, hanno comunque portato molte mamma e molti papà, molti amici, ad interrogarsi ed interrogarmi:

  • Fino a che punto lo Stato può soverchiarmi come genitore?
  • Quando ha “diritto” a farlo, ammesso che ce l’abbia questo “diritto”?
  • Perchè non posso decidere per il mio bambino le cure più adatte a lui, il modello di salute che ritengo più opportuno?

Per rispondervi ho bisogno prima di annoiarvi coi fatti e con le informazioni, perchè ne ho sentite davvero di tutti i colori sulla legislazione,  sulle competenze e sulle procedure;  questi sono invece i punti dove un po’ di certezza e di ancoramento fattuale ci sono quantomeno di legislazione.

Poi entriamo invece nelle riflessioni, e lì le sfumature metodologiche si fanno più complesse e variegate.

I FATTI

La RESPONSABILITA’ GENITORIALE (avete letto bene: per legge, non si chiama più potestà genitoriale e tantomeno patria potestà, ed è una differenza terminologica densa di significato. Ricordiamocelo, quando rifletteremo più avanti) è regolamentata, nel nostro codice civile, dagli articoli che vanno dal 315 al 337 – con diverse modifiche e abrogazioni –  nonché dalla legge 184/1983 (diritto del minore ad una famiglia), modificata dalla legge n. 149/2001 e successivamente dal D. Lgs. n. 154/2013 .

L’elevato numero di articoli di legge ci fa capire la complessità della materia, che tocca tutti gli aspetti che riguardano la relazione giuridica tra genitore e figlio , così riassumibili:

  • custodire, ovvero destinare il proprio domicilio al minore, da cui non può allontanarsi senza il consenso del genitore;
  • allevare, ovvero fornire il necessario per sopravvivere, per esempio alimenti e vestiario
  • educare, secondo la diligenza del buon padre di famiglia, ai costumi del luogo dettati dall’esperienza comune;
  • istruire, eccezione questa tra le potestà, che consiste in un “obbligo di risultato” il cui adempimento dipende dalla prestazione di terzi, per esempio il sistema scolastico;
  • amministrare, sul piano ordinario, che comporta la gestione dei rapporti a carattere patrimoniale conservandone la sostanza;
  • usufruire dei beni, che consiste nell’uso e nel godimento di una ressenza alterarne la destinazione d’uso;
  • rappresentare, vale dire poter compiere negozi giuridici in sua vece, per es., al compimento degli obblighi scolastici, possono stipulare il contratto lavorativo di apprendistato oppure per es. permette di confrontarsi nel Consiglio di classe e con le autorità sanitarie.

In pratica, finchè va tutto bene, nella quotidianità della maggior parte dei genitori ,  esercitiamo naturalmente in ogni atto e in ogni momento la nostra responsabilità genitoriale quasi senza accorgercene, ma soprattutto senza che ad alcuno venga in mente di venire a mettercela in discussione.

Sono sempre meno rari, però , i casi in cui realizziamo, davanti a particolari eventi della vita o notizie di cronaca, che questa naturalezza non è scontata, proprio perchè fra gli articoli di legge che ho citato prima ce ne sono numerosi che affrontano proprio la regolamentazione di ciò che accade quando la responsabilità genitoriale “va in crisi” e l’autorità giudiziaria è chiamata ad occuparsene.

Pensate ad esempio, uso la casistica più frequente ormai, alle separazioni: va tutto bene finchè , essendo insieme, è quasi “scontato” che siamo d’accordo sulle decisioni da prendere per i bambini (scuola, dentista, catechismo…..).

Ma poi ci separiamo e salta fuori che non siamo più così coesi;  e siccome la responsabilità genitoriale è sempre condivisa, anche quando non stiamo più insieme, non sappiamo più capire se ha più ragione la mamma o il papà.

Chi decide in questi casi? Il giudice!

L’ordinamento lo prevede anche per le mamme e i papà sposati o conviventi, se si aprisse una divergenza.

Ma noi, fino a quel momento non  sapevamo che l’ordinamento prevede questo, e pensare che possa essere un terzo, magari avvalendosi dell’aiuto di esperti come psicologi o assistenti sociali, a toglierci un po’ del nostro potere (pensate alla parola potestà) sui nostri figli, ci fa scattare subito un aggressivo istinto di difesa.

Ma riflettiamo. Stiamo parlando di responsabilità condivisa. Facciamo un paragone con il  diritto commerciale: può capitare che due soci siano in disaccordo sulla linea migliore per l’impresa. In quel caso ci deve essere per forza la previsione di un mediatore.

La chiave non è il potere ma la migliore gestione degli interessi di UNA ENTITA’ TERZA. Tanto che se poi pensiamo che un socio o la totalità dei soci siano degli incapaci o violino le leggi sul fisco, sarà necessario nominare un curatore fallimentare, o la società andrà a rotoli.

Fino qui forse è chiaro a tutti, e probabilmente i più saranno d’accordo.

Eppure, quando si parla di giudice e di servizi sociali,  le coppie entrano in un delirio di onnipotenza per cui tendono a boicottare ogni lavoro di supporto alla risoluzione del conflitto, per mille motivi primo fra i quali la paura che “me li portino via”

E anche se, come vedremo più avanti, questa è un’ipotesi fortunatamente assai remota (nella misura in cui è l’extrama ratio), limitata davvero ai casi più gravi in cui non si può fare altro, questo spauracchio è duro a morire e contamina pesantemente il nostro  lavoro di cura.

Una certa stampa e la cattiva comunicazione della professione hanno creato questo cortocircuito, dimenticandosi volutamente di evidenziare la garanzia principale che ogni cittadino ha da questo rischio: il procedimento DE POTESTATE e’, come tutti quelli dell’ordinamento italiano, un contraddittorio con giusto processo!

Non succede, non può succedere , che un assistente sociale si svegli ed, in combutta col giudice, ti “porti via i bambini”.

C’è una pubblica “accusa”, o meglio un rappresentante dello Stato che avanza e difende gli interessi del minore in potenziale pericolo,  cioè il pubblico ministero presso La Procura Minori.

C’è la parte “avversa” cioè i genitori, con la loro “idea” di come crescere il proprio figlio; hanno dovere e diritto ad una difesa: atti, testimoni, memorie, motivazioni.

Poi c’è il giudice, chiamato a decidere se sia motivata la preoccupazione dello Stato per questo bambino o, al contrario, se i genitori non stiano creando pregiudizio o danno al bambino né violando un qualche dovere di quelli previsti dalla responsabilità genitoriale e\ o da altre leggi volte a tutelare l’infanzia.

E dove stanno gli assistenti sociali? Qui spesso casca l’asino. Non sono parte in causa. Sono ausiliari del giudice , o caso mai del Pubblico Ministero in alcuni casi (fase di indagine, predibattimentale): il loro compito è fornire quanti più elementi e informazioni sulla situazione di quel bambino a chi deve prendere una decisione per lui, oppure anche aiutare nel percorso di messa in opera di quella decisione.

Attenzione, che qui casca invece l’asino della mia categoria (perchè bisogna anche saper fare autocritica!) : gli elementi devono essere quanto più possibili oggettivi, liberi da interpretazioni e pregiudizi personali, evidence based cioè sostenute da fatti e indicatori chiari fin dall’inizio!

Voglio soffermarmi a chiarire un aspetto importante: il procedimento de potestate davanti al Tribunale per i Minorenni, che è di natura civile (non penale!), non cerca di trovare un colpevole per condannarlo,  e nanche di “dare ragione” ad una delle parti.

L’obiettivo è diverso e duplice: accertare se davvero c’è il pregiudizio per il bambino così come segnalato da qualcuno (il procuratore minorile riceve le segnalazioni di scuole, ospedali, genitori stessi, operatori, forze dell’ordine, che sono quasi sempre dubitative e interlocutorie tipo “siamo preoccupati, forse a questo bambino sta succedendo qualcosa, aiutateci..”) e, in caso ci fosse un rischio concreto, attivare tutti gli interventi necessari a superare quella condizione di disagio e rimettere il minore al sicuro CON O SENZA IL CONSENSO DEI SUOI GENITORI!

E’ chiaro che se il Giudice e\o i suoi esperti trovano in quei genitori spazi di accordo, collaborazione, accettazione dell’aiuto, il procedimento de potestate si chiude…si lascia aperto un monitoraggio, si lavora per il benessere del bambino DENTRO il benessere della sua famiglia.

Se invece questo non è possibile, se i genitori sono oppositivi e resistenti a tutto, il percorso di sostegno e cura del piccolo deve essere messo in mano alla RESPONSABILITÀ di qualcun’altro: da qui nascono i provvedimenti di limitazione o revoca della responsabilità genitoriale e l’affido a terzi.

Ora, un genitore che ha avuto la pazienza di leggere fin qui, si chiederà come può essere coinvolto in tutto questo, in che circostanza potrebbe mai “incappare” in una segnalazione e trovarsi ad affrontare uno scenario simile.

Vi tranquillizzo subito: nella stragrande maggioranza dei casi, per non dire nella totalità, parliamo di circostanze che non riguardano quasi sicuramente chi legge qui. Parliamo di famiglie con dinamiche perverse, con modalità trascuranti, maltrattanti, inadeguate per le più diverse ragioni: culturali, socioeconomiche….siete lontani da tutto questo.

Ma sono sicura che a ciascuno di voi sarà venuto in mente “quel compagno di vostro figlio, quel bimbetto che in parrocchia…”

E qui mi permetto una nota amara: per diversissime ragioni, che vanno dall’impoverimento della rete dei servizi alle modifiche legislative legano sempre più le mani ai giudici minorili: le segnalazioni si assottigliano anche se invece il disagio dilaga; e spesso le segnalazioni che si riescono a fare vengono archiviate, perchè gli elementi sono ritenuti troppo sottili.

Spesso i giudici non riescono a prendere decisioni coraggiose, perchè comunque si spezzano legami e si mette in crisi un sistema familiare: il risultato è che i bambini sono sempre più in sofferenza o in pericolo.

Questo per rispondere, lo ripeto amaramente, a chi vi fa pensare (con certe news, con certi servizi modello “Le Iene”) che sia terribilmente rischioso e facile che un bel giorno arriva un giudice e una assistente sociale e mi tolgono il bambino.

Non è così, non è affatto facile anche quando il maltrattamento è palese, anche supportato da dati certi (referti di ospedale, foto, racconti diretti del bambino…).

Anche in questo l’estremismo di una certa forma di opinione pubblica, quella sempre più dilagante nei social, non aiuta: o ci si posiziona sulla modalità condannante (bambino subito in adozione e genitore al rogo: e se ci fosse una sofferenza genitoriale dietro? una possibilità di lavorarci?) oppure su quella ipergarantista (era una brava mamma, ma che valutazioni hanno fatto gli assistenti sociali? Basate su cosa? Perchè non l’hanno aiutata? Forse la signora non vuole aiuto, forse il bambino non ha lividi ma segni ben più subdoli…).

É relativamente facile diffidare di queste modalità di giudizio: il centro è sempre il potere del genitore e non è mai la storia del bambino.

Ora arriviamo finalmente invece alla zona più grigia, ai casi più limite che ci hanno interrogato in questi giorni: i vaccini e Charlie Gand.

Intanto lasciatemi dire che la questione della responsabilità genitoriale accomuna queste due vicende per un lembo molto piccolo, solo quello che ci interroga su fino a che punto il potere dei genitori possa essere messo in discussione.

Il caso di Charlie nel suo complesso è denso di aspetti umani, bioetici, tecnici, antropologici e morali su cui io non pretendo di avere le conoscenze per potermi esprimere. Leggo e mi interrogo, continuamente.

Rispetto alla singola questione riguardo la responsabilità genitoriale di questa madre e questo padre, lasciatemi dire che io, pur da tecnica del settore, non conosco la legislazione inglese sulla potestà genitoriale e sulla sua limitazione in caso di problematiche sanitarie, quindi non posso esprimermi su questo aspetto della vicenda legale di Charlie (che peraltro sto cercando di approfondire: ho capito per esempio che il loro esercizio di responsabilità non è sospeso, non è stato messo in discussione circa la capacità di fare bene i genitori…ma devo capire meglio).
So invece che la legislazione italiana permette, ha sempre permesso, di – se necessario – rimettere nelle mani di un Giudice decisioni mediche importanti per il benessere del bambino.

Ma nella mia esperienza devo – ahimè! – registrare che ho visto utilizzare questa facoltà sempre con troppa, troppa ritrosia, quando era tardi e i buoi erano già scappati.
E’ giusto che un medico si interroghi profondamente ed attentamente prima di attivare “segnalazioni facili” al Tribunale per i Minorenni, è – soprattutto – più che mai giusto che sia formato nell’avere gli strumenti necessari per costruire il consenso con i genitori che magari all’ inzio non c’è.
E’ altrettanto giusto l’opportunità di far intervenire una autorità superiore in caso di disaccordo ci sia, se l’incolumità dei bambini può essere messa a rischio da decisioni non buone dei genitori.

Fare un esempio, anche di cronaca, non è difficile: i figli di testimoni di Geova che rifiutano trasfusioni, i bambini alimentati con diete inopportune che cadono vittima di gravi carenze vitaminiche, i figli di seguaci di medicine alternative che rifiutano la chemioterapia davanti a tumori guaribili con essa; difficile magari è posizionarsi, ma cosa scegliereste voi tra il rispetto di una scelta ideologica adulta e il pregiudizio grave sulla vita di un bambino?

Nel caso dei vaccini, evito qui di esprimere la mia opinione personale sulla questione generale e sulla tematica dell’obbligo perchè serve a poco;  mi soffermo sulla, ormai scongiurata, possibilità che gli inadempienti fossero segnalati al Tribunale per i Minorenni come “genitori che non rispettano una norma creata a difesa della salute dei minori e della salute pubblica in generale” (ora la capite meglio la differenza, vero? non sarebbe mai stata messa in discussione la capacità e la bontà di quei genitori, ma il loro rifiuto a rispondere ad una norma che, secondo lo Stato, protegge la salute dei figli…).

Lasciatemi dire che come professionista, mi sono interrogata molto, in modo profondamente critico su questa ipotesi.

Intanto perchè io rivendico una visione più ampia del benessere e della salute di un bambino ( singolo, o della collettività di una generazione ) : certo che può essere importante, e magari all’inizio inevitabile, obbligare i genitori resistenti ideologicamente e magari molto maleinformati a  provvedere ad una atto di salute come il vaccino.

Però ci sono genitori che sfiorano la trascuratezza e l’inadeguatezza circa la salute e le cure anche se parliamo di alimentazione, tecnologia e sviluppo psicognitivo, abuso dei farmaci per adulti: che facciamo, li segnaliamo tutti?!?
No. Serve informazione, prevenzione, misure di costruzione del consenso con le istituzioni mediche e sociali….insomma tutto ciò che quotidianamente si smantella privando il sociale dei fondi e del personale.

Altro discorso ancora poi è pensare che una famiglia che sollevi dubbi LEGITTIMI sulla vaccinazione del proprio figlio, magari perché c’è una storia familiare di reazioni allergiche o di problemi immunocorrelati, avrebbe potuto rischiare di doversi prendere la briga di “giustificarsi” davanti ad un giudice minorile, che sinceramente ha tanti e tanti minori in grave pericolo di cui occuparsi.

Per essere più chiara e andare nel dettaglio così da tranquillizzare e comunicare la professione correttamente, lasciatemi immaginare con voi come sarebbe potuta andare una (ormai) ipotetica segnalazione al TdM per inadempienza vaccini.

La procedura all’inzio è uguale, poi biforcheremo l’esempio in due casi…

La Asl di Vattelapesca segnala la famiglia di Giovannino alla procura minori della sua regione; il procuratore verifica che la segnalazione sia fondata e invia il fascicolo al magistrato minorile. Egli a questo punto potrebbe convocare direttamente i genitori o inviare ai servizi sociali una richiesta di indagine su questo nucleo, circa la specifica problematica. Naturalmente i genitori in questione, informati dell’apertura di procedimento, sono tenuti a farsi rappresentare legalmente da un avvocato. L’avvocato ha facoltà di seguirli in ogni passaggio, essendo presente (sì, anche ai colloqui con le assistenti sociali) e chiedendo chiarimenti e garanzie. Può anche leggere le relazioni e le comunicazioni fra giudice e servizio. Dunque voi capite: non ci dovrebbe proprio essere spazio per noi esperti del giudice per lavorare male o in modo partigiano e infedele.

In ogni caso il percorso di valutazione con le famiglie SI CONDIVIDE, nelle risorse buone che emergono così come nelle criticità. E’ un DOVERE DEONTOLOGICO.

Ammettiamo che il giudice decida di dare mandato ai servizi e io mi trovi a dover convocare la mamma e il papà di Giovannino per capire come stanno le cose.

Qui biforchiamo:

Caso 1: mi trovo la classica mamma che legge il blog dei 5 stelle, mammepedia e complottoblog e su quello, aderendo acriticamente ad un pensiero non scientifico, ha deciso che non vaccina i suoi pupi. Io posso e devo aiutarla a maturare un pensiero critico sulle cose che ha letto, sul confronto con la scienza e sul benessere ed il rischio per il suo bambino.

Nota bene: ricordiamo che in quel momento io sono un professionista che SERVE LO STATO. Le e gli assistenti sociali non hanno l’obiezione di coscienza, importa ‘na cippa a nessuno come la penso io davvero sui vaccini! Diciamo che io Rossana a servire lo Stato sono abbastanza fortunata e non vado troppo in crisi. Ma se così non fosse non potrei certo colludere con la madre che ho descritto sopra!

Il mio compito è capire cosa accade a questa famiglia e, se riesco, costruire un consenso . Se non riesco, devo riportare al giudice le dinamiche della scelta di questi genitori e dare a lui elementi per valutare se sono pregiudizievoli per il bambino.

Se lui decidesse che effettivamente lo sono, potrebbe  sospendere la parte di potestà che riguarda questa decisione medica e disporre, con un atto motivato contro il quale si può fare ricorso in appello, la vaccinazione del bambino.

Fortunatamente questa ormai è un’ipotesi scongiurata. Potrei evitare, perciò, di dirvi che a volte non riusciamo a far eseguire decreti che mettono i bambini al sicuro da madri alienanti o padri violenti….figuriamoci i vaccini! Ecco.

Insomma: se non adempi ad un decreto del tribunale minori non è che ti piombano gli elicotteri in casa, per capirci.

Caso 2, il più interessante: mi trovo altri genitori, diversi, che sono più che disponibili a spiegarmi, e a “provarmi” anche (semplicemente facendomi vedere le stesse documentazioni sulle quali si sono basati loro per scegliere!) che c’è una storia familiare di reazioni allergiche o di problemi immunocorrelati, ma che non hanno trovato un pediatra disponibile a certificare la cosa (come da articolo 1 comma  3 del decreto) perchè la loro è diciamo più una paura che non una stretta evidenza scientifica. A parte che mi complimento con la pusillanimità del pediatra, la valutazione da dare al giudice su questa vicenda c’è: è nella motivazione e nella storia di quel bambino e della sua famiglia, ed è ragionevole e sensata. Molto probabilmente il Giudice archivierà con un non luogo a procedere.

Quando leggete sui social storie troppo diverse da questa procedura che ora un po’ meglio conoscete, dubitate. Interrogatevi. E’ molto facile giudicare un lavoro complesso con famiglia in difficoltà di cui in realtà non sappiamo nulla.

Spesso nella dinamica problematica di una famiglia c’è anche la sua soluzione: il compito del Servizio Sociale è, maieuticamente, farla emergere. E se a volte, per attivare questo processo, serve la coercizione di un’autorità è nostro dovere utlizzarla: il centro del nostro agire non è il potere sul bambino, è il suo benessere ed il suo supremo interesse.

(Rossana)

 

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