Ma tu che ne pensi della GPA?
Ultimamente tanti dei miei contatti, genitori o colleghi, mi hanno posto la stessa domanda: “ma te cosa ne pensi della GPA (Gestazione Per Altri)?”
Ma come si fa ad avere un solo pensiero, a prendere una sola posizione definitiva e limitata, pro o contro, su qualcosa che ha così tante sfaccettature e coinvolge così tanti aspetti?
Perché c’è il punto di vista della donna.
Perché c’è il punto di vista dei genitori programmati.
Perché c’è il punto di vista del bambino.
Perché c’è il punto di vista sociale.
Perché c’è il punto di vista emotivo personale di ognuno.
Perché c’è il punto di vista della filosofia della scienza.
Troppi punti di vista per un solo pensiero.
Perciò, oggi mi trovo a scrivere di questo argomento.
Per mettere in fila i pensieri e rispondere a quelle domande non con una posizione ma con tante riflessioni e con tante sfaccettature del mio sentire, come questo argomento richiede.
Ma chi pone una domanda si rende disponibile a sentire la risposta nella sua completezza. Anche in un post lungo e noioso come sarà questo. Altrimenti meglio neppure cominciare.
E parlerò di GPA che NON significa parlare di omogenitorialità se non di sfuggita.
Ci tengo a precisare che per me i genitori sono coloro che hanno amore e rispetto per i loro figli. E che queste due condizioni non sono legate MAI all’orientamento sessuale. Approfitto per avvertire che qualsiasi commento di carattere omofobico, violento o aggressivo non verrà autorizzato.
La GPA è una pratica vecchia quanto il mondo e, come tale, non scardinabile né contenibile neppure volendo: finché ci saranno donne in grado di procreare e disposte o anche, peggio, costrette, a farlo – per vari motivi – per altre persone, il modo di concludere l’operazione si troverebbe.
Se un uomo riconosce un neonato come suo e la madre rinuncia alla maternità, quel neonato sarà affidato al padre. Che quell’uomo sia sposato con un’altra donna, con un altro uomo o single, il bambino è suo. Si comprende, perciò come a livello legale sia inutile qualsiasi proibizione di questa pratica.
Dove voglio arrivare con questo? Voglio arrivare a dire che, per i primi 4 punti di vista che ho elencato, l’unica strada che io sento come sensata e costruttiva da percorrere sia regolamentare la pratica anche IN ITALIA per creare garanzie per tutti.
Per la donna, perché si eviterebbero le situazioni di sfruttamento o di violenza (che oggi tristemente abbondano nei paesi del terzo mondo). Perché sarebbe protetta nei suoi diritti di abortire o meno in caso si rivelino delle patologie, o di tenere o meno il bambino in caso non riesca a raggiungere quella che chiamano “distaccamento emotivo”.
Per i genitori programmati, perché potrebbero vivere l’intera gravidanza da vicino, presenti, conoscendo e facendosi conoscere dal loro bambino.
Per i bambini, perché andrebbero a finire tra le braccia di persone note, di cui conoscono la voce e la pesantezza della mano sulla pancia.
Ancora per i bambini, perché potrebbero trovare tutela qualora qualcosa vada storto ed evitare l’abbandono – o per lo meno l’abbandono economico – come è successo per il piccolo Anton.
Non sta certo a me mettermi a discutere sul desiderio di una coppia di volere un figlio né sul diritto di una donna di far quel che vuole con il suo corpo. Non sta a me perché ho desiderato tanto essere madre e so che è un desiderio potente che, se non esaudito, lascia un enorme vuoto. E non sta a me perché sono una donna e, nel momento in cui mi sono sentita privata – proprio in sala parto – della libertà di decidere su cosa fare del mio corpo, mi sono sentita come una tigre in gabbia.
Però mi preme mettermi – come tento sempre di fare – nei panni del bambino.
Trovo interessante e limitativo come tutti guardino avanti negli anni affermando – supportati da numerosi ed autorevoli studi – che i bimbi nati con GPA, crescendo, non riportano danni o conseguenze.
Come se il dolore provato non contasse o non dovesse essere considerato solo perché poi passa.
Considero la capacità di resilienza una delle più grandi risorse dell’essere umano. Sono certa che questi bambini, desiderati ed amati, vivano vite felici.
Ma questo non mi distoglie – e gli studi sulla vita intrauterina e perinatale mi confortano – che il neonato sia privato in modo programmato di ciò che si aspetta fuori dall’utero e di una relazione d’amore profondo dentro la pancia di chi lo porta. Queste privazioni provocano un dolore, ancorché passeggero, che secondo me deve essere onorato, considerato, ascoltato.
E l’unico modo di limitare questi disagi, a parer mio, è che i genitori programmati non debbano andare dall’altra parte del mondo a trovarsi una mamma portatrice e perciò rinunciare a starle accanto nel tempo della gestazione: la possibilità di stare vicino casa e di farsi conoscere precocemente da quel bambino che prenderanno in braccio (ci sono tanti modi, primo fra tutti potrebbe essere un percorso di aptonomia), darebbe sicuramente sollievo ai bambini , di cui tanto sembriamo importarci.
Ancora: le coppie che decidessero di affrontare questo percorso potrebbero essere seguite, accompagnate ed informate ALMENO quanto ogni coppia che aspetta un bambino. E sostenute nei primi tempi dopo la nascita.
Si potrebbero aumentare le possibilità – attraverso la sensibilizzazione sulle caratteristiche del passaggio da dentro a fuori la pancia – di veder aumentati i parti naturali, di offrire un “atterraggio” graduale e consapevole dei bambini nel nostro mondo attraverso pratiche come il pelle a pelle con la portatrice e con i genitori programmati e forse – chissà – l’allattamento anche parziale almeno per il tempo dell’assunzione del colostro.
Insomma, per quanto riguarda questi aspetti penso che vietare, multare, mettere fuori legge non ottenga se non odio, aumento dei casi clandestini o per vie non ufficiali e del conseguente sfruttamento delle donne e mancanza di tutela per i bambini.
Il mio punto di vista emotivo lo tralascio. Perché non è rilevante, perché non stimolerebbe alcuna riflessione ma l’ennesimo dramma sentimentale come quelli di cui raccontano gli articoli dei giornali, che tanto lucrano su questo aspetto e tanto hanno distrutto di coscienza sociale e di giornalismo di qualità.
Infine, sul punto di vista della filosofia della scienza e della medicina, posso dire che sento necessario il fermarsi, il porsi la domanda seriamente sui quali confini sia giusto tracciare nell’intervento dell’uomo sui processi della vita. così come facciamo per i processi della malattia, della morte o della dignità dell’uomo.
Credo che sia necessario porsi la domanda se sia eticamente corretto investire tanto lavoro e tante energie per modificare un processo perfetto come la nascita e renderlo adatto anche ai casi per cui, nonostante la sua perfezione circolare, non funzioni.
Modificare la perfezione, non è renderla imperfetta?
Anche le medicine sono oltre la natura, anche il guarire o l’accompagnare a morire con dignità sono contro natura, è vero. Ma qui non si discute l’intervento dell’uomo sulla natura in processi almeno apparentemente affetti da “errori” (la malattia è un errore nel processo di nascita – crescita – maturazione – invecchiamento – morte) ma il suo intervento in un processo perfetto ed ottimizzato.
Modificare la perfezione in nome del desiderio è giusto? è sbagliato? è accettabile?
Questo probabilmente non influirà sul perdurare della pratica (appunto come già detto, vecchia quanto il mondo) ma credo che PER ME siano state le domande chiave nel farmi un’opinione etica. Forse gli antichi l’avrebbero chiamata Hybris.
PER ME come persona, come essere umano, come umano pensante la GPA è un po’ troppo, troppo oltre i limiti che credo l’uomo debba rispettare.
(E già vedo occhi strabuzzati: “Ma come… è favorevole alla legalizzazione e alla regolamentazione legislativa della GPA e non le piace la GPA?!”)
Ma non sono un medico, non sono una scienziata e non sono nemmeno una filosofa.
Quindi, detto ciò, non credo che la mia opinione debba essere per forza quella giusta, né che debba tendere all’universale, né tantomeno che debba collocarsi alle basi di una regolamentazione legislativa.
Per questo, il mio intento è di non giudicare ma di lavorare, stavolta come operatrice, seppur nel mio piccolo, perché ci siano le migliori condizioni di accoglienza sulla Terra di questi bambini e le migliori condizioni di accompagnare i loro genitori, biologici e/o programmati, alla conoscenza dei loro bisogni e del loro modo di comunicarli.
E tra queste condizioni c’è la vicinanza fin dal concepimento.
In alternativa (e come sarebbe meglio “a complemento”!) il contatto.
Specie per queste famiglie sarà importante poter scardinare i pregiudizi comuni sul “viziare” i neonati: è attraverso la pelle che ci si conosce, che ci si impara a comprendere e ad amare e che si nutre il processo di cura.
Cura di una perdita che comunque il bambino subisce. Cura delle storie che si accumulano in una famiglia così allargata: i genitori programmati e le loro famiglie, la donatrice, la portatrice, il bambino. Perché ogni nascita, comunque essa sia e comunque avvenga, in ogni parte del Mondo, ha il potere di dare origine ad un potentissimo e meraviglioso processo di cura dei suoi attori.
La pelle cura e nutre ogni relazione, ogni cammino.
Alla fine di questo lungo articolo, esausta per l’afflato di violenza che circola su questo argomento ormai da troppo tempo, vorrei solo concludere: lasciate spazio all’amore.
All’amore di chi genera e di chi attende, all’amore di chi raccoglie i figli del mondo abbandonati e calpestati, all’amore di chi accompagna la nascita perché avvenga nel miglior modo possibile, all’amore di chi può pensare leggi a tutela dei più fragili e dell’amore stesso.
Perché avere una propria posizione etica e filosofica non si trasformi mai in violenza, mai in costrizione, mai in negazione consapevole dei diritti delle persone.
(Veronica)