Per un parto senza dolore
Recentemente ho partecipato -fuori programma- ad un incontro informativo sull’anestesia peridurale.
Me ne sono stata lì, seduta in silenzio ad ascoltare un dottore che spiegava come è possibile avere un parto indolore. E ripensavo al mio parto, ai miei parti. E a tutto il dolore che li ha intrisi, fino a scendere nel più profondo angolino della mia dignità.
E mi sono chiesta, silenziosamente, se a qualcuno interessi scoprire un analgesico per quel dolore, per il dolore che io ho provato.
Dottore, dimmi se esiste un’anestesia contro il dolore di sentirsi incompetente, contro il dolore di sentirsi in balia di sconosciuti, contro il dolore di sentirsi osservati e giudicati, contro il dolore di sentirsi legati da cavi, cinture, monitor accesi.
Dimmi se esiste dottore, o se la scoprirete, un’anestesia per far sparire il dolore del tempo e del ritmo non rispettati: oh, dottore, questo sì che lacera. Non la pelle che è facile da ricomporre, ma l’anima, lacera l’incontro, lacera le basi della relazione. E questo, dottore, non lo si risolve con qualche punto dato distrattamente come da routine. Lo si risolve con mesi, a volte anni di duro lavoro per ritrovarsi.
Dottore vorrei sapere da lei che ama così tanto l’assenza di dolore, se può darmi qualcosa contro il dolore di non ricordare l’odore di mia figlia perchè quando me l’hanno finalmente messa tra le braccia era vestita con un vestito che non avevo mai visto e dalla pelle emanava odore di profumo e petrolati. Dimmi se c’è, dottore, un anestetico contro il dolore di un allattamento che fatica a prendere il via perchè è mancato il riconoscimento. Dimmi se esiste, dottore, una soluzione chimica perfetta per non sentire tutto quel dolore accumulato che quel neonato che ti ritrovi in braccio ti legge nell’anima, piangendolo senza posa.
Sai che penso, dottore? che l’unica anestesia che mi ha fatto sentire viva, che ha acquietato tutto questo dolore è stato lo smuovere profondo della mia energia più atavica quando la testa della mia bambina ha iniziato a scendere ed ho sentito tutto il mio corpo rispondere finalmente a lei, a noi.
Quel momento, quelle spinte così naturali, perchè sentivo lei che mi guidava da dentro, è ciò che mi ha fatto scoprire quanto fossi forte. Che mi ha fatto sentire che potevo riprendermi il mio sentire e la mia dignità, così perfettamente puliti e avvolti in tessuti sterili da rendere sterile anche l’esplodere della vita.
Mio marito, devastato da tutto quel dolore e dalla sua impotenza, poi mi dirà che in quel momento il dolore era sparito, che era sparita quella donna sofferente ed umiliata e che davanti a lui c’era di nuovo la sua sposa, forte come una tigre, che sapeva improvvisamente cosa fare.
Ma tu, dottore, cosa ne sai di quel momento? Eppure fai di tutto per convincere le donne a non sentirlo, a sentirlo meno. E alla fine ti lasci pure andare in un’esclamazione “viva la peridurale!” trasportato da un entusiasmo incosciente che sa di autoaffermazione.
E sembri, dottore, così sicuro di poter migliorare ciò che Dio ha creato, che non ti accorgi che sei lo strumento tramite cui si avvera la maledizione “tu, donna, partorirai con dolore”.
Dottore tu inganni te stesso e, quel che è peggio, inganni le donne, le famiglie.
Perchè il dolore vero, dottore, non si cancella con un’iniezione. Si cancella con il rispetto e la fiducia nelle donne e nella natura.
Si cancella stando in attesa ed intervenendo davvero soltanto quando c’è bisogno.
Si allevia facendo i medici ed occupandosi dei casi di patologia.
Conserva, dottore, la tua preziosa anestesia per i casi in cui davvero serve. E alle altre donne, dottore, aiuta a somministrare silenzio, rispetto, considerazione, conforto, presenza, pazienza, contatto, fiducia, stima. Ti stupirai, dottore, dei grandi risultati che si possono avere. E di quanto la pubblica sanità risparmierebbe.
N.D.A. contrariamente al mio solito, questo posto ho scelto che fosse molto personale. Oggi è il 5° compleanno della mia bambina e vorrei condividere questa riflessione che nasce da quell’esperienza nell’intento che sia utile ad altre donne. Non mi riferisco a casi di evidente patologia.
Complimenti Veronica per questo post! Bello bello bello!… Oltre a dire tanta verità cruda che a volte fa venire i brividi, altre volte fa uscire una lagrimuccia…
…quanto mi riconosco in queste parole.
Quanto dolore. Troppo dolore.
Quanta fatica per risalire, per ritrovarsi.
Quanto tempo perduto per sempre.
Quanta paura, anche solo di pensare ad una seconda possibilità.
Ecco. Grazie. Quanta verità, Veronica in questo post….e quanta nei commenti qui sopra… lacrime ogni volta che ci ripenso e una forte fitta al cuore e allo stomaco, ma non è il dolore fisico che spaventa (quello, è vero, si dimentica presto), sono il dolore del cuore e della mente.
Il dolore per non aver potuto dare a tuo figlio appena nato il calore e il profumo della sua mamma, il dolore per non aver sentito dire nemmeno “è vivo” prima che ti portassero via di corsa per poi riportarti dopo un tempo infinito da me con quella tutina sconosciuta che anche tu, Veronica descrivi, dopo un intero giorno di sofferenze; è il dolore per quella brevità di cordone che nessuno aveva visto, per la scarsa umanità vissuta intorno a noi, il dolore per aver sentito “ci sono le acque verdi, questo bambino deve nascere”, il dolore per l’uso della ventosa sulla tua testolina. Il dolore per quelle mani che prendevano la tua testolina e la schiacciavano contro il mio seno di mamma inesperta nei 3 giorni successivi al parto perchè secondo loro eri un “testone” che non voleva attaccarsi…..Non credo che riuscirò mai a perdonarli, ma soprattutto a perdonarmi per averti fatto vivere tutto questo piccolo mio, non so se mai passerà questo dolore.
Sono arrivata a questo articolo tramite un post di Facebook, l’ho trovato interessante e volevo lasciare un commento.
Da una parte mi e’ piaciuto come il dolore venga descritto in molte delle altre sue manifestazioni mentre spesso, quando si parla del dolore del parto, si pensa quasi automaticamente a quello fisico tralasciando tutte le altre sfaccettature.
Dall’altra c’e’ una cosa che non capisco mai fino in fondo. E’ giusto volere che i medici non convincano le donne a fare un’ epidurale, che non la usino a sproposito e che non la glorifichino. Ma quello che mi chiedo e’: perche’ certe donne, specialmente (ovviamente) quelle che non l’hanno usata, sono cosi’ fermamente e decisamente contrarie? Non mi riferisco solo a questo articolo, ho sentito altre donne, mie familiari, amiche parlarne e l’impressione e’ questa. E l’essere contrarie non e’ nemmeno poi per le eventuali complicazioni che ci potrebbero essere, anche sulla salute del bambino, ma per difendere questo dolore visto come salvifico e profondamente bello, vitale. Allora e’ questo quello che non capisco: per queste persone puo’ essere stato cosi’, ma, come ci insegnate voi donne che avete figli, i parti sono tutti diversi, le storie sono diverse e le persone sono diverse. Il dolore, poi, e’ una cosa estremamente soggettiva: ci sono persone che lo reggono di piu’, altre che lo reggono di meno, penso sia un dato di fatto. Per alcune il parto puo’ essere un momento incredibile, per altre e’ stata un’esperienza pesantissima. Una mia conoscente ha voluto essere sicura di partorire in modo piu’ naturale possibile, e per questo ha scelto una struttura che non desse antidolorifici vari, ma nemmeno stimolatori tipo ossitocine. Beh il travaglio e’ durato un tempo incredibile, alla fine era distrutta e anche molto provata psicologicamente, tanto da rivedere questa sua convinzione sul dolore. E ne avrei altre di esperienze simili. Insomma quello che voglio dire e’, l’epidurale forse non e’ la panacea e il dolore della vita non lo togliera’ mai, ma se puo’ aiutare donne che ne hanno bisogno, perche’ no? Allora anche io dico: evviva l’epidurale! Con criterio, con saggezza, ma ne sono convinta.
Se tutto va bene tra qualche mese partoriro’ anche io, vorrei potercela fare da sola, ma se dovessi non farcela, penso che opterei per qualche forma di antidolorifico (che poi l’epidurale non e’ nemmeno l’unico).
Ciao Eva! innanzitutto il mio migliore augurio perchè il tuo parto sia esattamente come lo vuoi tu, che è la cosa più importante da tutelare. Poi: io non sono assolutamente contraria all’epidurale, tutt’altro. Sono contraria al fatto di intenderla come unica panacea alla sofferenza legata al parto e come “opzione buona per tutte”. Per quanto riguarda il dolore per me, e parlo in modo totalmente soggettivo, non solo ha avuto senso e mi ha aiutata. Ma se devo dirla tutta non è stato propriamente dolore ma la sensazione di una grandissima fatica resa possibile da una grande forza. E proprio perchè la percezione del dolore è così diversa da donna a donna, un anestetico qualsiasi non può essere considerata la soluzione buona per tutte. Un saluto!
È esattamente ciò che ho vissuto 31 anni fa partorendo mio figlio, un esperienza devastante di dolore, mi sono riappropriata del mio corpo e della mia dignità durante le spinte conclusive, quando finalmente il piccolino ha potuto fare da solo e io mi sono” trovata affacciata sulla porta dell’immenso”, ne ho riportato conseguenze fisiche per cui mi sono dovuta operare.U’esperienza che mi ha segnato profondamente e che non ho mai dimenticato, la rabbia di scoprire dopo tanti anni che non era quella la cosiddetta “normalità “di partorire, il rispetto per tutto ciò che è fisiologico ecco la normalità, lasciare fare alla natura che sa benissimo come comportarsi. Avrei subito meno danni se mi fossi accucciata in una foresta e partorito da sola che non in un “civilizzato” ospedale.
Mi piace molto quello che hai scritto, quando ho partorito non ho pensato all’epidurale, sicuramente perchè è andato tutto bene e poi il dolore più forte è quello del travaglio non certo quello del parto, che come hai descritto benissimo tu è assolutamente naturale senti le spinte venire da dentro dal tuo bambino che vuole uscire, l’emozione fortissima quando me l’hanno dato in braccio appena nato, al contatto con la mia pelle ha smesso immediatamente di piangere…..
Ragazze, ho partorito a casa due volte e partorirei anche domani. Ricordi bellissimi, forse solo col rimpianto di non avere reso ancora più solenni quei momenti con elementi mistici, letture di poesie o altra musica etc etc… Come due feste bellissime alla fine delle quali: “la prossima volta preparo anche una torta così e cosà”… etc etc
Ma io questo dolore indescrivibile non me lo ricordo affatto. I bimbi pesavano alla nascita 3.950 e 4.200 e non ho subito alcuna lacerazione o complicazione.
E non sono wonder woman…
Se mi fossi trovata in un ospedale, in luogo estraneo, con persone estranee che io non conoscevo e non stimavo (perché non conoscevo) e che non riconoscevo, distesa in un letto (la posizione più assurda per partorire), sono certa che avrei sofferto per anni e forse non avrei pensato di avere un altro bambino…
Io me ne sono stata da sola per un paio di ore, sino all’arrivo delle ostetriche a preparare la vasca, regolarne la temperatura, a dondolarmi sulla palla, a rassettare, ad andare al bagno, nella riservatezza e nell’intimità della mia casa, dove io ero padrona e gli altri ospiti discreti.
I miei bimbi erano miei e assieme abbiamo partorito. Nei giorni precedenti il parto ci siamo raccolti e parlati con i segnali del corpo, anche con lievi fitte di dolore, interpretandole.
Durante il parto i segnali erano più forti, più urgenti, più incisivi e mi dicevano cosa fare, come muovermi, il dolore non va combattuto, va ascoltato. Andrebbe spiegato (come l’hanno spiegato a me le mie ostetrice) che il dolore è un messaggio che ti manda il corpo.
E’ come il pianto di un bimbo. Al bimbo che piange non gli si dice di tacere, si chiede, si investiga, si sente cosa vuole.
Il mio utero mi urlava di concentrarmi, di rilasciare la muscolatura, di rilassarmi e di respirare serenamente per preparare le ossa del bacino all’apertura e così i muscoli preposti.
Dovevo intimargli di stare zitto sedandolo?
E come avrei potuto proseguire?
Chi mi diceva cosa fare e quando?
Un medico? E lui era nella mia pancia? Come poteva sapere cosa stava succedendo lì dentro? I tempi dei miei bambini?
No, la mia placenta, il mio utero, il mio bacino, il mio cordone, il mio corpo, il mio bambino sono troppo importanti e meritano troppo rispetto perché io li taccia sedandoli con la presunzione -maleducata, stupida, irrispettosa- di voler fare tutto da sola o, peggio, di volermi far manovrare da perfetti estranei da me.
Come te anche io mi sono sentita ridotta a “corpo” senza che fosse vista la mia mente, come tu non ti sei sentita riconosciuta perché ti hanno proposto l’epidurale, io non mi sono sentita riconosciuta perché non c’era modo di avere nessun sedativo a richiesta. Lo stesso atteggiamento di questo medico che pensa di aver capito tutto e ti propone l’epidurale come se fosse la panacea, l’ho trovato nelle ostetriche che scrivono su Internet e qualche volta te lo dicono in faccia, che l’epidurale è il MALE e che il dolore è salvifico e ti insegna a sacrificarti.
Mi sono trovata nella situazione in cui il mio ospedale faceva (e credo faccia ancora) ostruzionismo all’epidurale, ho provato non solo il terrore di morire che so che si impossessa di molte donne, ma soprattutto il terrore di essere lasciata morire con indifferenza e crudeltà. Mi ero convinta di dovermi fidare degli operatori e di chi mi diceva che il dolore del parto è sostenibile. Poi quando mi sono trovata lì e ho sentito quelle urla terrificanti, dentro di me ho pensato che mi avevano mentito – e che quelle ostetriche annebbiate che desiderano forzarti a partorire come dicono loro perché credono di fare il meglio per te, non esistono solo su Internet. Sono come una scolara cattiva che non ama studiare, un rompicapo per un insegnante che adora la sua materia e non si capacita del fatto che non tutti la trovino appassionante. Per tre anni non ho più potuto avvicinarmi a quell’ospedale – ma nemmeno a quella città – senza sentire le urla delle partorienti nelle orecchie, che tornavano nei momenti di difficoltà. Dopo un paio d’anni sono entrata in psicoterapia, a cui ho affiancato da qualche mese una terapia EMDR. Sta dando i suoi frutti, sono incinta e ho passato i primi tre mesi di angoscia totale perché dopo un cesareo le possibilità di avere un’epidurale sono obiettivamente molto basse. Per fortuna apparentemente l’ospedale in cui partorirò ora ha una politica diversa e a quanto ho capito, con una diagnosi di sindrome post-traumatica da stress (le urla che sentivo erano un sintomo di questo) sono una persona che presenta un’indicazione medica per l’epidurale. Poi magari non l’avrò lo stesso, ma se adesso ho trovato il coraggio di ritentare è perché ho trovato un’ostetrica che non mi capiva ma mi ha presa per mano, e perché questo ginecologo mi ha guardata in faccia e non mi ha biasimata per la mia paura.
In bocca al lupo a tutte, vi auguro di trovare sempre qualcuno che vi ascolti e non vi dica come dovete partorire a prescindere.
Condivido in pieno.. Io ho partorito in Margherita ed ho fatto la migliore scelta possibile… Ricordo perfettamente l’attimo in cui ho ‘imparato’ a spingere, l’attimo in cui la mia bimba ha deciso che voleva aiutarmi a farla nascere!
Sono una donna anestesista e chiedo a Veronica quale professionista da lei interpellato l’avrebbe convinta a far quello che lei non voleva , quale medico anestesista l’abbia ingannata ,ingannando se stesso ,quale anestesista abbia mostrato entusiasmo incosciente ( che sa di autodeterminazione ?)…. Veronica non ha interpellato nessun anestesista ,perché ha ritenuto di non averne bisogno ……ha fatto una scelta rispettabile e legittima ,spero sapendo cosa fosse il consenso informato a un atto medico non voluto . Veronica ha scelto di governare il dolore del suo travaglio con tecniche antalgiche personali in base a una esperienza sensoriale soggettiva , felice della sua autodeterminazione ! Però il resto del mondo sia chiama …Anna, Lucia , Laura , Anita,milioni di donne libere di scegliere come Veronica ,con esperienze personali diverse, con soglie emozionali soggettive, che vogliono l’analgesia peridurale , o meglio una analgesia che venga confezionata addosso come un proprio vestito, in relazione ai tempi del travaglio e alla percezione algica soggettiva. Purtroppo non tutti i centri ostetrici offrono questo servizio ( i nostri politici la pensano come Veronica :”partorirai con dolore ” ) per cui molte donne non sono libere di scegliere come lei . A queste donne che chiedono ‘l’epidurale ” somministro cara Veronica CON ENTUSIASMO COSCIENTE ciò che tu pensi i dottori anestesisti non conoscano . E ‘ nostro patrimonio culturale : l’ascolto , il rispetto,il conforto , la pazienza ,la condivisione, le competenze , la scienza ,coscienza e perizia ! Grazie F.S.
Buongiorno Franca,
La ringrazio del suo intervento a cui mi permetto di rispondere per chiarire il punto di vista che forse non sono riuscita ad esperimere a dovere nell’articolo. IO non ho niente in particolare contro l’epidurale né tantomeno contro il diritto delle donne a richiederla. L’intenzione era raccontare un parto, nella fattispecie il mio, in cui l’epidurale avrebbe ulteriormente complicato le cose. Certamente nessun medico anestesista mi avrebbe costretto a scegliere questa opzione ma un incontro come quello a cui ho assistito con tanto entusiasmo come se la peridurale fosse la panacea contro tutti i dolori del mondo secondo me disconsidera come dolore quello vero e profondo che dura nel tempo (e che ho avuto modo di soffrire, descritto nell’articolo) mentre dà molta importanza ad un tipo di dolore che nella mia esperienza dolore non è stato ma punto di forza.
Questo per dire che nelle donne visto che siamo diverse l’una dall’altra a volte ciò che è considerato dolore in una non lo è nell’altra. Quindi io credo fortemente che va pure bene dare un’opzione in più ma che puntare sulla partoanelgesia per diminuire la sofferenza significa considerare solo un aspetto della sofferenza. Quando vengono rispettate tutte le condizioni ideali per un parto in autonomia e una donna sceglie l’epidurale poco male. Ma se la si usa come carta “jolly” nella speranza di far tutto più semplice in ogni occasione, si va inevitabilmente incontro all’aumento del dolore e non alla sua diminuzione. Sono felice di sapere che lei ha un approccio così empatico alle sue pazienti. Non sempre è così e non sempre la peridurale, somministrata con tutto l’entusiasmo cosciente del mondo, aiuta né sempre risolve.
Durante la mia prima esperienza di parto fatta anche di due tipi di induzione artificiale e di tanta mancanza di rispetto mi è stata più volte offerta l’anestesiaa visto che il consenso informato io l’avevo firmato (perchè in caso di induzione mi confermerà che è pratica consigliata). Ho rifiutato d’istinto non so neanche perchè ed è stato ciò che forse mi ha lasciato un briciolo di ricordo buono del mio parto.
Le ripeto, che forse le sia sfuggito nel testo, che io non sono affatto tra quelle che sostengono il “partorirai con dolore” semplicemente perchè non riconosco come dolore la sensazione legata al parto. Come dolore io riconosco tutto quello che ho scritto. E so per certo che l’unica soluzione a quel dolore sia il rispetto dei tempi, della persona, della natura. L’empatia e l’ascolto. Il silenzio.
Il punto è che i molti politici di cui lei accenna non la pensano affatto come me: pensano che sia normale il dolore straziante che ho provato io come pensano che sia normale il dolore fisico.
Io vorrei soltanto che, accanto al riconoscimento del sacrosanto diritto della donna a scegliere un’intervento analgesico, ci sia l’altrettanto sacrosanto riconoscimento del diritto a gestire il proprio parto e ad essere trattata con rispetto.
Saluti,
Veronica
Le rispondo con la definizione del dolore fornita dalla IASP o international association for the studi of pain: esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta come tale. L’epidurale antalgica non ė una panacea, il suo obiettivo è eliminare la componente sensoriale del dolore ( quello del travaglio di parto è riconosciuto come uno dei più intensi).
Per attenuare il dolore psicologico ed emozionale le strategie possono essere le più disparate, l’empatia del medico spesso non ė sufficiente.
L’ induzione farmacologica del travaglio di parto non ė competenza dell’anestesista e la scelta di aderire a tecniche antalgiche avviene in un colloquio precedente all’arrivo in sala parto.
Con questo volevo solo precisare indicazione e effetto terapeutico della peridurale antalgica.
Grazie
F. S.
Cara Franca,
non dubito che lei sappia fare il suo mestiere. Saprà, quindi, che quando a termine gravidanza c’è un ricovero per induzione viene consigliato – nelle strutture in cui è disponibile – il colloquio con l’anestesista. Ed è a quello che mi riferivo, non ho mai parlato di intervento in sala parto. Nella fattispecie venni ricoverata il venerdi pomeriggio per iniziare l’induzione tramite gel il giorno seguente dopo pranzo.
Per la definizione del dolore, potrei riportarle anche la definizione del vocabolario italiano “Stato o motivo di sofferenza spirituale, spec. se provocata da una realtà ineluttabile che colpisce o condiziona duramente il corso della vita”: il punto è che finchè si continuerà a considerare il dolore del parto solo dal punto di vista fisico senza le componenti emotive, si proporranno soltanto soluzioni analgesiche farmacologiche. E sono fermamente convinta che seppur sacrosanto diritto per le donne che le richiedano, tali risposte farmacologiche non siano soddisfacenti ad alleviare il dolore del parto (e dopoparto) che non si ferma al corpo.
Con questo rimarco il mio grande rispetto per le donne che scelgono tale terapia ed il mio sostegno acciocchè i diritti loro vengano rispettati e valorizzati.
Il continuo “becchettarsi” tra analgesisti e chi sceglie e considera importante una via più naturale (specie nel mio caso in cui NON C’E’ giudizion negativo!) mi viene da pensare non sia altro che frutto del timore che rispettando certe condizioni venga a diminuire la richiesta. Fosse così vorrei tranquillizzarvi: per come stanno le cose in Italia non corriamo, purtroppo, alcun rischio simile.
Un rispettosissimo saluto.
Veronica
CaraVeronica se ne faccia una ragione ….e’ solo lei che misconosce la componente somatico/sensoriale del dolore , è una sua virtù saperla accettare e risolverla a modo suo . Io le confermo da medico specialista che i numeri delle donne che ricorrono alla peridurale antalgica non le danno ragione . E stia pure serena che il timore ( non so su quale base scientifica ) che si riduca la richiesta di analgesia e’ solo una sua elucubrazione!
Rispettando le scelte di ogni donna ….. ( io ho partorito due figli senza dolore , la mia cara amica no ) le auguro una serena estate .
la capacità di leggere a cuore aperto e senza pregiudizi e di soffermarsi a riflettere sulle parole altrui è rara dote di pochi eletti.
Grazie del suo contributo.
Brava Veronica !Ottima autoanalisi
Cara Veronica,
Arrivo qui oggi per la prima volta dopo che mio marito, che sa quanto sensibile io sia a questo tema, mi ha girato il link.
Sfondi una porta aperta e tocchi un tema fondamentale. Purtroppo in Italia percepito ancora come capriccio corollario.
Io vivo in Inghilterra, dove è ormai pratica comune che una donna prepari un birth plan, specificando con precisione i suoi desideri rispetto al parto. Grazie a un lavoro paziente e appassionato di molte bravissime ostetriche inglesi pretendere un parto calmo e una bella esperienza sta diventando se non la norma, purtroppo, almeno una pratica diffusa.
Io insegno corsi prenatali che hanno proprio il focus sul fatto di affrontare la nascita come qualcosa che può essere fatto bene se messe in condizione di farlo. Chissà che non si diffonda anche in Italia questa sensibilità per il diritto di tuttti di avere esperienze positive!
Quanto alla famigerata peridurale, resto molto grata di vivere in un tempo in cui sia disponibile, ma penso sia triste che la si proponga come unica alternativa al dolore. C’è una grande differenza tra il mettere alla luce un bambino e il farlo nascere con il supporto di strumenti esterni. Chi sostenga il contrario o è in malafede o non sa quello che dice.
Ti abbraccio e ti ringrazio per questo bel post.
Cecilia
http://Www.hypnobirthingnw3.com
Faccio tanti auguri alla bimba, ma questo post non mi piace. Anch’io ci sono arrivata da Facebook. Ho tre figli (uno nato senza dolore in maniera naturale, cosa possibilissima, in un ospedale normale e altri due nati in un reparto speciale creato per il parto naturale). Avrei voluto partorire in casa, ma non mi son mai trovata al momento giusto in luoghi dove fosse permesso. Questo post non mi piace perché è uguale ai post tipicamente femministi, che vedono ed esprimono una realtà deformata, seppure il principio alla base (pro parto naturale) lo condivido al 100%. Una parte della realtà (intesa come quadro più completo) me l’ha spiegata la primaria del reparto dove sono nati i miei primi 2 figli, presentando un pò il sistema alle partorienti e dicendo cose che immaginavo, ma preferisco dirvele con le sue parole: le strutture si adeguano alla richiesta della gente quando questa richiesta è abbastanza numerosa. Quindi, ok, chi scrive questo post (esattamente come chi ha girato un video che mi è capitato di vedere, che è stato creato in Argentina, e chi ha scritto tutti gli altri articoli che ho potuto leggere finora dello stesso stile nelle lingue che conosco) ha vissuto le cose in questo modo e non dico che non sia una persona sincera, ci mancherebbe altro, le è capitato proprio un medico uomo e non ha provato a pensare (e soprattutto a scrivere) che se fosse stata una dottoressa non sarebbe cambiato nulla, e l’impatto sul lettore è rimasto un pò impregnato di classico vittimismo femminista, ma questo potrebbe essere un risultato non cercato, salvo poi vedere che chi scrive (peraltro molto bene) vorrebbe non tanto che il dottore si levasse di mezzo ma che consigliasse altre cose, quindi la donna andrebbe sempre guidata. C’è quella teoria di sottofondo del complotto sbagliato che si vorrebbe sostituire con un complotto giusto, tanto per ribadire che la parte femminile del mondo non è responsabile, è stata guidata nella maniera sbagliata e nemmeno ora si prende delle responsabilità ma va guidata diversamente. E infatti la protagonista parla al dottore e non dice una parola alla stragrande maggioranza di donne che non chiedono altro che questo tipo di approccio medicalizzato e diretto dal personale medico. Ricordo ad esempio una ragazza che sono andata a trovare una volta per farle gli auguri per la gravidanza e mi ha detto con enfasi: ‘Non voglio sapere assolutamente niente di come funziona, voglio entrare in ospedale e che si occupi di tutto il dottore’. Nel mio caso, per i primi due parti non ho avuto dottori vicino, ma il personale (solo femminile) che c’era mi ha fatta sentire esattamente come la protagonista di questo racconto. Trattandomi come un’incompetente se chiedevo di escludere a priori l’episiotomia, per esempio, o se credevo che si stesse avvicinado il momento del parto. Le differenze tra quel reparto ed un reparto classico erano strettamente circoscritte a ciò che si era deciso a priori di offrire in quanto si era inteso come un servizio richiesto dalle utenti: la possibilità di scegliere la posizione in cui partorire, la stanza singola con le tendine a fiori non simile a una stanza d’ospedale, ecc. Se tanto mi dà tanto, ciò che manca è la volontà da parte della maggioranza di chiedere altre cose. Il mio terzo parto, in un classico ospedale pubblico: mi han trattata malissimo le ostetriche e le infermiere, invece il medico era gentilissimo ma effettivamente era obbligatorio che assistesse. Quello che voglio dire è che il bersaglio della critica di questo post dovrebbe essere un’altro, secondo me, e cioè dovremmo comprendere che sì, le cose stanno come descrive, ma il ‘colpevole numero uno’ è la maggioranza che richiede (o accetta) questo tipo di servizio, e poi si possono anche criticare comportamenti arroganti di personale medico (di entrambi i sessi, però) che sono la diretta conseguenza del fatto che l’utenza media percepisce queste professioni come ‘altolocate’, non saprei spiegarmi meglio, un caro saluto a tutti/e.
Manuela sono mortificata che tu abbia ricevuto dal mio articolo l’impressione di voler sostituire un “complotto buono” ad uno cattivo. L’idea che volevo dare è proprio della mancanza di empatia che spesso accompagna i sostenitori tout court di una certa “soluzione”. Come ho scritto nelle mie risposte ai commenti precedenti, la mia “polemica” era contro il concetto dell’anestesia come unica risposta possibile al dolore. Quando secondo me non è così. Probabilmente se avrai voglia di leggere qualche altro articolo di questo blog ti potrai rendere conto di come il mio modo di vedere le cose sia proprio contrario ai complotti ed alle ricette preimpostate.
Questo articolo è nato – come ho premesso – da un’esperienza personale e di quella vuol parlare senza pretesa di generalizzare ma con la semplice consapevolezza che sia un’esperienza che rispecchia altre (tante) esperienze simili di donne e famiglie.
Veronica
Grazie per la tua risposta. Come accenno nel commento non è il tuo singolo post che mi spinge a reagire ma il fatto che sia in linea, nei punti che ho notato, con una propaganda femminista che a molte di noi sta stretta. E soprattutto che finora non ha portato benefici. Ma mi rendo conto che questo sia stato un caso e che tu non avevi questo obiettivo. Parlando di anestesia, comunque, siamo sempre lì, io ho chiesto nei tre casi che non mi venisse somministrata e mi ero anche informata sul fatto che può risultare inutile, perché in alcuni casi ritarda il parto che poi avviene quando l’effetto scade, ma per queste mie idee son stata attaccata da donne, mie vicine, che difendevano l’anestesia. L’ultimo dei miei problemi, in questo caso specifico, erano i medici. Se l’utenza media è questa, ecco i risultati. Questo è il punto di vista che ho potuto sviluppare. Un abbraccio.