In contatto con il mondo
Un piccione tubando con aria indifferente plana vicino alla panchina dei giardini. Subito il coro si alza: dello stupito entusiasmo dei piccoli, del disgustato rigetto dei grandi.
Il piccione è sporco, fastidioso, brutto. L’incarnazione animale del degrado urbano.
Su questo non ci piove, quasi tutti gli adulti sono concordi.
Eppure i piccoli li indicano impazienti e lanciano gridolini d’emozione alla volta degli sgraziati volatili, e ricercano condivisione.
E come questa cosa infastidisce gli adulti tutori! Cosa mai vedranno in quegli insulsi animali?
Ci vedono la grandezza della vita, delle sue multiple forme, del suo miracolo costante.
Ci vedono un punto in comune, nel movimento e nella voce che comunica.
Si riflettono istintivamente, in forme di vita così apparentemente distanti.
Oppure no, ed io sto vaneggiando ed i bambini sono soltanto adulti in fieri, qualcosa di imperfetto di cui dobbiamo sopportare vani entusiasmi dettati da un’immatura percezione del bello.
Orbene, comunque la pensiamo, c’è un esercizio importante che possiamo fare.
Alcuni la chiamano “educazione al bello”, a me piace più “condivisione”.
L’essere umano, grande o piccolo che sia, ha bisogno del bello.
E che il nostro obiettivo sia plasmare o comunicare, non possiamo davvero farci scappare quest’occasione d’oro.
Usciamo e camminiamo e guardiamoci intorno cercando di dimenticare l’abitudine al solito paesaggio.
Come in un enorme rompicapo, cerchiamo le piccole differenze che cambiano l’atmosfera da un giorno all’altro: un piccolo germoglio, un cane che passa impegnato nell’annusare la zona non familiare, un uccellino (o il famigerato piccione) con un verme nel becco, i colori di un tramonto, la luna in un cielo di giorno o il suo brillare nell’oscurità. Un fiore sul davanzale di una finestra, due vecchiette sulla panchina del parco che sorridono agitando la mano, un altro bambino che passeggia con il suo adulto, una nuvola a forma di delfino, i pesci nella fontana, uno scoiattolo particolarmente ardito, una coccinella sul polsino, un bruco giallo e nero, un fiore di cappero che sfida il cemento di un muro, la tela del ragno tra gli arbusti, una formichina e l’enorme briciola che trasporta, un tramonto che colora la zona industriale o che dà il tocco finale alla bellezza di una collina o del mare.
E mostriamo, mostriamo tutto. Anche se i nostri interlocutori sono piccoli, piccoli, “appena dei neonati”. Tutto ciò che abbia dignità di spettacolo naturale o che ci sembri una sciocchezza. Mostriamo tutto. Cerchiamo di non pensare mai che, visto che sono piccoli, “non possono apprezzare” o che “sia inutile”. Cerchiamo di non farlo perchè, semplicemente, non è vero, e chi c’è passato potrà confermare. I bambini ricordano, riconoscono, ammirano, mostrano a loro volta, a loro volta collezionano tesori visivi, impronte di mondo.
Ed, infine, approfittiamone per ricordarci di quando tutto ci stupiva. Così per i nostri piccoli, saremo anfitrioni nel palazzo del Mondo, guadagneremo la loro meraviglia, ci potremmo beare del loro stupore e di quello sguardo riconoscente e ammirato.
Ma la cosa più bella è che avremo comunicato loro che siamo sulla stessa linea d’onda, che il loro entusiasmo è naturale e per niente vano, che capiamo e a nostra volta proviamo, quelle piccole grandi felicità.
E forse, con questa condivisione tra generazioni, arriverà loro il messaggio che ogni dettaglio del mondo è un tesoro prezioso.
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